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Ho spedito le mie dimissioni all'ufficio notarile, non volendo rivedere nessuna delle persone che ci lavorano, e ho ripreso con le ricerche per un nuovo lavoro, ma la paura di ricadere nella stessa situazione mi impedisce di accettare offerte che potrebbero rivelarsi molto buone per la mia situazione.
Ho paura, una paura tremenda, folle e forse anche insensata, a volte, ho paura persino di Valerio.
Il giorno dopo "l'incidente" mi ha chiesto come stavo, e si sarebbe sicuramente reso utile, se glielo avessi permesso, ma non voglio più avere a che fare con nessun uomo.
Non ho più soldi in banca, dopo aver comperato ciò che mancava all'appartamento, e mi restano soltanto i soldi ricevuti per i pochi giorni di lavoro dal notaio Di Lauro, ma ormai non mi importa più di nulla, neanche di dover morire di fame.

Indosso il completo più bello che ho, giacca a quadretti color salmone e bianchi, gonna abbinata, e un cappello giallo.
Lego i miei capelli in uno chignon basso e metto le chiavi di casa e cellulare nella borsetta in pelle rossa che porterò con me.
Esco.
Ho bisogno di aria.
Passeggio lentamente, osservo i turisti, i negozi aperti, le persone che escono dai portoni, i bambini che trascinano i genitori, e quelli che si lasciano trascinare.
Che senso ha tutto questo?
Che senso ha avere dei figli, che senso ha lavorare, mangiare, vivere, respirare, amare?
Che senso ha?
La morte ha senso: con lei tutto finisce.
O almeno lo spero.
Ho appena svoltato in via Condotti, quando lo vedo.
È girato di spalle, sta accarezzando una ragazza dai capelli più neri del buio che sento dentro.
Lo riconoscerei anche se fosse bendato, ricordo il suo corpo, dopo averlo toccato a forza in ogni suo millimetro.
Roger Finnigan, la mia morte, sta rifacendo tutto da capo, ma con un'altra ragazza.
Non riesco più a muovermi.
Il braccio sinistro piegato a sorreggere la borsetta, il destro abbandonato lungo il fianco, mentre un soffio di vento mi fa cadere il cappello, spingendolo tra i miei piedi.
Il ricordo di ciò che è stato mi annebbia la vista, mi acceca.
Vedo solo il suo viso, imperlato di sudore, i suoi occhi socchiusi, le sue labbra contratte, ed avverto ancora il suo respiro.
È caldo, è nauseante, è sul mio petto, è sul mio collo, è nella mia bocca.
Mi passa davanti un uomo con una bambina, muovono la bocca, forse emettono anche dei suoni, ma non li sento.
Mi osservano, si osservano, lasciano cadere qualcosa a terra, se ne vanno.
Roger prende per mano la ragazza.
Si allontanano.
Devo parlare con lei, metterla in guardia.
Ma che diritto ne ho?
Dovrei raccontarle cosa è successo a me, ma ne avrei davvero il coraggio?
Mi ascolterebbe?
Se qualcuno lo avesse detto a me, non gli avrei mai creduto.
Scompaiono dalla mia visuale.
Resto ancora immobile, incapace, ora più di prima, di comprendere il senso di tutto questo.
Perché li ho dovuti incontrare?
Quale motivo mi ha spinto ad essere qui, oggi, proprio dove sarebbero stati loro?
Ho il dovere di aiutare quella ragazza?
O è solo un modo come un altro che il destino ha trovato per torturarmi?
Mi abbasso a raccogliere il cappello e ci trovo dentro due euro.
Non capisco.
Possibile che quell'uomo e quella bambina mi abbiano scambiata per un'artista di strada?
Ero paralizzata, è vero, ma non ero poi così diversa dagli altri...
O forse sì?
Probabilmente non servirebbe a nulla chiedersi il perché di questo.
Torno a casa, nella speranza di non dover uscire più.
Sono ormai vicino al portone quando vedo il signor Di Lauro, appoggiato al muro del mio palazzo.
Mi sta aspettando.

Mi volto velocemente e torno in dietro, ma deve avermi vista, perché sento i suoi passi seguirmi, farsi sempre più vicini, proprio come quelli che percepisco nell'incubo che popola tutte le mie notti.
«Golden!», mi chiama, prima di fare l'ultimo passo e afferrarmi un braccio.
«Golden, ti prego, torna a lavoro. Non sarai più una segretaria, non dovrai più lavorare in quell'ufficio, mi accompagnerai, mi farai solo compagnia, e ti pagherò...», cerca di convincermi a cambiare idea, ma non riesco a capire come possa anche solo illudersi di una simile eventualità.
«Come una prostituta?!», gli rispondo, liberandomi dalla sua presa e iniziando a correre.
Le scarpe che indosso sono troppo alte, mi impediscono di mantenere quella distanza che mi potrebbe salvare.
Ma a condannarmi sono io, ancora una volta.
Metto un piede nel punto sbagliato e l'asfalto del marciapiede mi accoglie senza troppa dolcezza.
La faccia finisce contro la superficie nera e ruvida, mentre un braccio resta piegato sotto il mio peso.
Cerco di rialzarmi, pregando che non mi sia rotta nulla.
Di Lauro mi aiuta, e non posso impedirglielo.
«Golden», pronuncia il mio nome allarmato, come se davvero gli importasse qualcosa di me.
Mi alzo in piedi ed una fitta tremenda mi attanaglia la pancia.
È diversa da quella che sento quando ho paura, è diversa da quella che sento quando ho fame, è diversa da qualsiasi altra cosa.
Sento le gambe tremare e poi le braccia di un uomo sorreggermi, quando invece avrei preferito morire, battendo la testa contro lo stesso asfalto sul quale ho perso mio figlio.

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Buona Pasqua a tutti dreamers!
880 baci tutti per voi😘😘😘😘😘😘😘😘😘😘😘😘😘
Come passate questo giorno?🐣🐇❤

GOLDEN-quella sera le nuvole trattennero le lacrime.         WATTYS2019Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora