73

67 11 12
                                    

Alla fine mi sono addormentata sul serio e Christian ha continuato a stringermi a sé, fino a quando non ho riaperto gli occhi.

«Hei», sospira, accarezzandomi il viso, così da spostarmi i capelli bagnati.
Mi sembra passata una vita, da ieri sera, ed invece non può essere passato molto, le mie dita sono appena aggrinzite.
«Come stai?», mi domanda, cercando i miei occhi.
«Non lo so», rispondo, sinceramente.
Con lui bene, con lui sto sempre bene.
Ma dopo?
Quando lui non c'è?
«Che ne dici di uscire? L'acqua sta diventando fredda», mi sposta un po', così da potersi alzare in piedi.
Toglie il tappo, e l'acqua possa inizia a scendere.
Si tira su, gronda acqua da ogni parte e mi schizza addosso gocce trasparenti.
Mi sorride ed esce dalla vasca.
Va a prende un asciugamano, lo apre, è enorme.
Lo stende verso di me, così che mi possa alzare, senza che lui mi guardi.
Ma ormai non mi importa più.
Mi ha già vista questa notte.
Afferro l'asciugamano e me lo avvolgo intorno alle spalle.
Esco anche io dalla vasca.
Lui prende un altro asciugamano per sé, e poi usciamo dal bagno.
Mi segue in camera mia.

«Ti lascio sola, così puoi cambiarti», dice, prima di chiudersi la porta alle spalle, dopo avermi riservato un altro sorriso dei suoi, uno di quelli più ammalianti.
È ancora notte.
Non so che ore siano di preciso.
Ma io mi sento solo stanca.
Troppo stanca.
Vado verso la mia valigia, ancora intatta, ed estraggo il pigiama.
Mi cambio la biancheria e poi mi vesto.
Mi stendo sul letto.
Ma ho freddo.
Un freddo terribile.
Che parte da dentro di me, dalle mie ossa.
E non so come fermarlo.
Sento la mancanza di Christian.
Vorrei che fosse qui, e mi abbracciasse di nuovo.
Fisso il soffitto della stanza, incapace di decidere cosa fare.
Raggiungerlo nella sua stanza, o restare qui, con le mie gelide ombre.
Sembrano essersi impossessate di me, nei momenti di solitudine.
Sono ormai dentro di me.
Non posso più combatterle, solo conviverci, arginandole.
Faccio un respiro profondo e poi scendo dal letto.
I miei passi non fanno rumore, e arrivo davanti alla sua porta, con il respiro veloce, e la mano protesa verso la maniglia che trema come in preda ad una scossa elettrica.
Sto per tornare indietro, quando la porta si spalanca.
Christian, con addosso anche lui il pigiama, rimane stupito.
«Cosa fai?», mi domanda, senza smettere di sorridere.
«Volevo venire da te», ammetto, ormai non mi interessa più cosa possa pensare di me.
Chissà quante cose già pensa, che io non posso controllare, e delle quali non mi rendo neanche conto.
Mi sorride di nuovo, e allunga un braccio verso di me.
Lo poggia sulle mie spalle e mi stringe a lui.
Mi accompagna nella sua stanza, chiudendosi la porta alle spalle.
Va a sedersi sul letto.
Mi invita accanto a sé, battendo la mano sul materasso.
Non me lo faccio ripetere e lo ascolto.
Mi siedo accanto a lui.
Mi afferra una mano e mi trascina giù, fino a quando non ci ritroviamo distesi, a fissare di nuovo il soffitto.
Ma adesso è diverso.
Siamo in due.
Tutto ciò che vedo io, se lo vede anche lui, significa che almeno un po' è parte della realtà.
Continua a stringermi una mano, mentre mi si avvicina e con l'altro braccio mi avvolge a sé.
«Hai sonno?», mi domanda, baciandomi il capo.
Annuisco, senza parlare.
Ormai incapace di farlo.
Ogni parola sembrerebbe stonata, fuori posto.
Tutto ciò di cui ho bisogno, è il suono del suo cuore, la prova tangibile della sua esistenza.
«Allora chiudi gli occhi, e credimi se ti dico che sarò ancora qui, quando li riaprirai, e che se vuoi sarà così ancora e ancora», sospira, prima di accarezzarmi i capelli ancora umidi.
Lo ascolto.
Inspiro il profumo della sua pelle e dei suoi vestiti, e mi lascio andare nella rassicurante convinzione di essere finalmente sulla strada giusta.
Non so ancora dove porta, ma ho l'ardire di credere che possa essere quella giusta.

Christian ha mantenuto la promessa.
È ancora qui.
Ed è sveglio.
Mi sta osservando.
Mi sento in imbarazzo.
Sorrido.
«Ciao», sussurro.
«Ciao», risponde, sorridendo a sua volta.
«Che ore sono?», il sole entra dalle finestre, ma potrebbe essere mattino, come potrebbe essere pomeriggio.
Mi sento così bene, e riposata, che potrebbe essere passato anche un giorno intero.
«Le nove e mezza», risponde.
Mi stiro sul letto, indolenzita, accorgendomi di avere il naso chiuso.
Bene, ci mancava solo il raffreddore.
«Hai preso molto freddo», afferma Christian, con il volto un'espressione terribilmente corrucciata.
Ancora non si spiega il motivo del mio atteggiamento.
Mi sono sentita morire.
Ecco cosa è successo.
E avrei voluto che fosse vero.
Ieri.
Sono felice di essere ancora qui, però, viva.
Oggi.

GOLDEN-quella sera le nuvole trattennero le lacrime.         WATTYS2019Where stories live. Discover now