32. Con affetto, Derek

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Sirenity:

Perché il Sole deve essere così luminoso?
Con un verso di disapprovazione aprii gli occhi. Sentivo la testa pesante e i muscoli intorpiditi. Quanto ho dormito? Sembrano passati solo pochi minuti. Mi guardai intorno, quasi tutti erano svegli e già belli indaffarati. Mi rialzai lentamente, sbattendo le mani sui vestiti pieni di sabbia. Tenni gli occhi socchiusi, avevo ancora voglia di dormire ma non era il momento di adagiarsi sugli allori. Dovevo trovare un modo per tornare a casa, non sapevo quanto l'energia di Fantasy sarebbe durata. Pensando a lei mi venne una fitta al cuore e il mio stomaco si chiuse automaticamente. Ce l'hai fatta ad essere accettata tra i Guardiani del passato? Sei qui al mio fianco? Osservai l'orizzonte stringendo i pugni e trattenendo nuove lacrime. Dovevo restare concentrata, almeno adesso, poi ci sarebbe stato tempo per versare altre lacrime e perdersi nel dolore.
Cercai Erik con lo sguardo, era esattamente dove lo avevo visto l'ultima volta. Sembrava una statua da quanto stava immobile. Mi avvicinai a lui e, alle spalle, lo abbracciai. Lo strinsi forte tra le mie braccia; non sussultò né mi guardò. Poggiai la fronte contro la sua schiena aspettando una sua reazione. Non escludermi, non rimanere in silenzio, dobbiamo essere uniti ora più che mai.
Non diedi voce ai miei pensieri, anche se avrei tanto voluto. Sarebbero state parole al vento, lui era lì con me fisicamente, ma la sua mente stava navigando tra chi sa quali pensieri. Sentii alcuni suoi muscoli contrarsi, in silenzio, prese una mia mano e intrecciò le nostre dita. Ci rilassammo entrambi a quel dolce contatto ed Erik, finalmente, abbandonò la sua cupola fatta di silenzi e di lacrime non versate.
«Dobbiamo trovare una soluzione per andarcene da questa isola»
La sua voce risuonò sicura, però una piccola goccia d'acqua cadde sulle nostre mani unite.
«Lo so, ma ora come ora non ho proprio idee»
«Nave in vista!»
Entrambi ci voltammo e vedemmo i pirati correre verso la vicina spiaggia. Saltavano e agitavano i loro cappelli al cielo. Guardai il mare e, in effetti, c'era un galeone che veniva verso di noi; sorrisi emozionata. Ecco la nostra soluzione! Una follata di vento mosse dolcemente i miei capelli e fece danzare i rami pieni di foglie. Sei stato tu, Aer? Immagino di sì, grazie.
«Riconosco quel Galeone»
La voce di Erik era priva di allegria e i suoi occhi diventarono più cupi di prima. Strinsi la sua mano cercando di infondergli io mio sostegno.
«Raggiungiamoli»
Sussurrò mantenendo quasi perfettamente un tono piatto.

Dalla nave venne buttata l'ancora e molte scialuppe, stracolme di persone, vennero verso la riva.
Tutti erano allegri e alcuni si buttarono perfino in acqua per raggiungerli al più presto. Sembravano dei bambini, erano emozionati e avevano dei sorrisi che andavano da un orecchio all'altro.
Erik e Romeo osservarono i nuovi venuti, aspettando pazienti colui che faceva le veci di capitano. Io mi estraniai da tutto. Ignorai gli schiamazzi, le grida, i richiami degli uccelli; mi immersi nei ricordi e sentii gli occhi pizzicare. La sensazione di vuoto e freddo riemersero violenti come un fiume in piena. Alcune lacrime iniziarono a scendere, ripercorrendo silenziose la strada che altre prima di loro avevano solcato. Sei diventata una stella o ti sei dissolta nel nulla? Non ti ho visto brillare, le nubi oscuravano il cielo.
«Staremo al tuo fianco capitano Wilson!»
Un grido di esultanza si levò dalla folla e sbattei più volte le palpebre. Devo essermi persa tutto il discorso di Erik. Il moro era in mezzo ai suoi pirati, ora diventati più numerosi, e si guardava a torno con un leggero sorriso.
Non passò neanche mezzo minuto, si voltò verso di me, sentendosi osservato. Con un elegante movimento si tolse il cappello e fece un leggero inchino nella mia direzione. Scossi la testa sorridendo e lo raggiunsi per dargli una mano.

Erik:

Mi arrampicai sulla piccola scaletta per salire sul galeone, avevo lasciato a Sirenity e Romeo il compito di controllare lo svolgimento dei preparativi. Volevo salpare il più velocemente possibile e un controllo all'imbarcazione era d'obbligo. Il legno era bello e robusto e il ponte era stranamente pulito; lo avevo immaginato molto più sporco.
Finii il giro di ispezione, fermandomi ogni tanto a raccontare a grandi linee cosa era successo e qual era la prossima destinazione. Nessuno, dei pochi che erano rimasti a bordo, obiettò o si lamentò.
Mi incamminai vero la vecchia cabina di mio fratello ed entrai appoggiando le spalle contro la porta chiusa. Sospirai, poi lasciai vagare lo sguardo rimanendo immobile. Era un abitacolo impersonale, dai colori mogi e spenti. Dava l'impressione di essere un ambiente morto e le uniche tracce a far capire che c'era stato qualcuno negli anni, erano dei segni alle pareti: ammaccature, tagli causati da lame e dallo sfregamento di mobili.
Mi avvicinai alla scrivania, al centro della cabina, c'erano solo delle mappe nautiche impolverate, niente di più. Feci un passo indietro, una tavola di legno cigolò e tremò sotto il mio peso. Guardai l'asse e ci posai nuovamente il piede; era più piccola, scura e traballava tra le altre. Era l'unica in quelle condizioni e se conoscevo bene Derek doveva averci nascosto qualcosa. Mi accovacciai e con un coltellino dalla lama candida feci leva; l'asse si spostò facilmente e, tra degli stracci sporchi e vecchi, emerse un piccolo cofanetto. Non aveva nulla di particolare e non spiccava per la sua bellezza: i chiodi di ferro erano arrugginiti, il legno, un tempo chiaro, era sporco in più punti e, a tenerlo chiuso, c'era una vecchia chiusura a molla.
Senza pensarci troppo cercai di aprirlo, ma ci misi troppa forza e per poco la levetta non si ruppe. All'interno, adagiata con cura su dei cuscinetti ricamati, trovai soltanto una piccola chiave color oro. La presi con gentilezza e la rigirai tra le dita. Al tatto era liscia e fredda ed era anche molto più piccola sul palmo della mia mano. Alzai il capo e guardai la serratura dell'unico cassetto della scrivania. Cosa hai provato a nascondere, Derek. Infilai la chiave nella toppa e la girai più volte prima di riuscire a sbloccarlo.
Le punte dei piedi chiesero pietà perciò mi accomodai sulla sedia prima di aprire il cassetto. C'era di tutto! Non monete d'oro, non pietre colorate o perle; ma piccoli ritratti di Esmeralda, della mia famiglia, oggettini vari che avevo già visto, lettere e perfino delle memorie con, scritto sopra in corsivo, il nome di mio fratello.
Lo poggiai sulla scrivania e iniziai a sfogliarlo: dentro c'erano scritte tantissime cose e ogni parola racchiudeva un profondo dolore. La grafia di Derek era leggibile, scorrevole. Scriveva delle sue azioni, del senso di impotenza di fonte a quello che il suo corpo -non seguendo il suo volere- faceva. I miei occhi scorrevano veloci tra le righe e le pagine venivano sfogliate con fretta.
La mia inarrestabile lettura rallentò solo quando, in una pagina datata a poco tempo addietro, Derek si rivolse a me. Chiusi di scatto il diario, sprofondando nello schienale della sedia, indeciso sul leggere o meno quella pagina ingiallita. Portai l'indice e il pollice sul ponte del naso e poggiai il gomito sulla scrivania. Va bene, lo faccio. Presi un profondo respiro e tornai alla pagina di prima.
"Fratello mio, vorrei dirti quanto mi dispiace. Non sopporto più il ricordo dei tuoi occhi tristi, delusi e arrabbiati. Rammenti il giorno in cui ti portai a conoscere alcuni membri del mio gruppo? Eri spaventato, ma mi seguisti lo stesso. Combattei contro me stesso, con tutte le mie forze, avrei voluto impedirlo. Fino ad allora eri rimasto all'oscuro di tutto ed io avevo accettato quell'esistenza, ma saperti coinvolto mi martoriò il cuore. Facevi tutto ciò che ti ordinavo, senza mai ribattere. Sai, quando iniziasti a disubbidirmi e poi te ne andasti ero contento sapendoti lontano da me, però sentivo, e sento tuttora, la tua mancanza. Sei l'unico che mi sia rimasto. Non so cosa potrà succedermi, non vedo il futuro; ma ho la sensazione che questa sarà l'ultima pagina delle mie memorie. Oggi Fantasy e Ignis, anche loro messi in ginocchio di fronte a Saturn, sono venuti a includermi nel loro piano.
Chissà, forse, un giorno, metterai le mani su questo diario e leggerai queste stesse parole.
Sappi che ti voglio bene fratellino.
Con affetto,
Derek"
Questa volta chiusi le memorie con lentezza e lasciai cadere la mani sulle gambe. Il dolore era indescrivibile, andava oltre la semplice manifestazione fisica. Mi sentii logorare dall'interno, svuotato da tutto. Ero fermo, immobile, forse non stavo neppure respirando. Non c'erano suoni, non c'erano rumori, solo il vuoto. Il freddo. Non mossi nemmeno un dito: non gridai, non piansi, non singhiozzai neppure, solo un lieve tremore si era impossessato del mio corpo. I pensieri si fecero vorticosi, incomprensibili; mi sentii un corpo vuoto, privato di anima e di sostegno.

Non saprei dire quanto tempo passò, una manciata di secondi, minuti, ore... forse dormivo o forse ero sveglio, però sentii chiaramente una piccola mano che si intrufolò tra i miei capelli e subito pensai a Sirenity, ma quel tocco, per quanto famigliare, non era della mia amata. Non... non è possibile. Un dolce profumo, però, si propagò nella vecchia cabina.
«Ruby...?»
Sussurrai il suo nome incerto, al limite dell'incredulità. Se è uno scherzo, non è per nulla divertente. Provai a voltarmi, ma la mano, ancora sulla mia testa e innaturalmente fredda, mi impedì di farlo.
«Non girarti, a nessuno a concesso vedere i morti. Solo ad alcuni Creatori con molta esperienza è permesso parlarci; ma per te hanno fatto un'eccezione»
Avrei voluto dirle tante cose, ma in quel momento, la mia bocca era cucita. Il mio cuore si accartocciò dolorosamente e respirai a pieni polmoni, cercando di appropriarmi di tutto il suo profumo.
«So cosa stai provando, non ti ho mai perso di vista. Derek è in pace e libero, adesso. Non preoccuparti più»
Sorrisi al nulla, trattenendo l'istinto di girarmi e di abbracciarla. La sua piccola mano si posò sulla mia spalla, rabbrividii; anche da sopra la stoffa della camicia si percepiva il freddo. Non riuscii ad emettere un solo suono, neanche uno sbuffo di parola uscì dalla mie labbra.
«Sono tornata perché devo affidarti una cosa che si pensava persa per sempre. Proteggila e non farla finire nella mani sbagliate»
Potei giurare che nella sua voce, apparentemente dolce e sicura, si nascondeva un enorme dolore. Dovevo dirle qualcosa, anche una cavolata, prima che il tempo si esaurisse. Poggiai la mano destra sulla sua. Non si scostò e dischiuse le sue fini dita per cercare un maggiore contatto: eravamo palmo contro palmo.
«Mi manchi Ruby... mi hai aiutato molto e la tua presenza era fondamentale nelle mie giornate. Ma devi scusarmi, non riesco a ricambiare quel sentimento»
Lei non parlò e temetti che se ne fosse andata, però dovevo dirglielo, ne sentivo il bisogno.
«Non scusarti, mi fa piacere che tu abbia trovato la tua metà. Solo... non dimenticarmi, non lasciarmi in un angolino remoto della tua mente. Finché qualcuno si ricorderà di me, non sarò mai morta veramente»
«Come potrei mai farlo, Ruby? Ti penso e ti penserò ogni giorno, per sempre»
La sentii ridacchiare piano ed io intrecciai le nostre dita, in un ultimo contatto. Un tempo, quello sarebbe stato un gesto famigliare, che spesso facevamo; ma questa volta percepii dell'imbarazzo, anche da parte sua.
«Erik!»
Alzai la testa di scatto, ad occhi spalancati e con il fiatone; sentivo tutti i muscoli doloranti. Sirenity era in piedi davanti a me, con le braccia incrociate al petto e uno sguardo scocciato.
«D-dimmi...»
Balbettai, riuscendo comunque a guardarla negli occhi, ma senza sapere cosa aspettarmi. Lei rilassò le spalle e i suoi occhi chiari si addolcirono.
«Volevo solo informarti che siamo quasi pronti a partire, ma poi ho visto che sei entrato in contatto con un morto, i tuoi occhi erano completamente grigi. Era... era Rubina, giusto?»
Annuii piano, continuando a non capire dove volesse andare a parare. Silenzio. Solo silenzio in quella manciata di secondi.
«Ora vado a dare una mano, tu... tu tieni nascosto quello che hai nel pugno. È di grande valore, ma ce ne occuperemo solo dopo essere arrivati nel Mondo delle Sirene»
Sirenity sorrise appena, poi si voltò e uscì dalla cabina, lasciandomi solo con i miei pensieri. Quando la porta si richiuse aprii il palmo della mano, quella con coi avevo toccato Ruby. All'interno, scintillante e bruciante di luce propria, c'era un rubino a forma di cuore, anzi, c'era il rubino a forma di cuore; lo stesso che avevo regalato a Ruby per il suo compleanno. Lo sfiorai appena con i polpastrelli, era gelido ma allo stesso tempo emanava un lieve tepore.
«È il Rubino del Cuore, la Pietra di Creazione per i Guardiani dell'Amore. È andata persa poiché se la contendevano gli abitanti della Dimensione Fatata e del Paradiso Angelico. Restituiscila a chi dovrebbe appartenere, metti fine a secoli di discordie»
La voce di Ruby arrivò chiara alle mie orecchie, poi si dissolse nell'aria così come era arrivata: dal nulla.
Non ti deluderò, Ruby.

Angolo autrice:

Uff! Questo capitolo mi ha fatto proprio penare; avevo le idee chiare, ma come era scritto non mi piaceva più, così l'ho dovuto riscrivere un paio di volte.
Spero che possa piacervi, so che è molto più lungo degli altri capitoli, ma di spezzarlo non mi andava.
Allora? Il "ritorno" di Ruby ve lo aspettavate? La lettera di Derek? Sirenity è veramente fuori pericolo? Ignis e Saturn sono ancora in agguato?
Fatemi sapere,
A Venerdì 👋🏻

Una Goccia di MareWhere stories live. Discover now