8. Porto Rico

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Erik:

Cercai di andare sempre più in profondità, volevo trovare una corrente d'acqua fredda, talmente tanto fredda da farmi battere i denti e capace di non farmi pensare a niente. Avevo, però, l'impressione che qualcuno mi osservasse. Fin da piccolo se qualcuno mi guardava, anche solo di sfuggita, me ne accorgevo. Era come essere punti da due spilli; e più era intenso lo sguardo più quegli spilli diventavano lame incandescenti.
La sensazione iniziò a farsi più forte, sembrava di essere diventati l'oggetto di studio di qualcuno, ma intorno a me non c'era neppure l'ombra di un pesce. Mi dava fastidio, ero come scoperto, vulnerabile sotto gli occhi indagatori di qualcuno che non vedevo. Decisi di tornare in superficie e, con una capriola e poche grandi bracciate, tornai in superficie.
Respirai con calma, spostando dei ciuffi ribelli che mi coprivano il viso. Ero abituato a stare in apnea molto di più: per questo non sentii il primitivo bisogno di riempirmi i polmoni con grandi quantità di ossigeno.
Purtroppo la sensazione di essere osservato non se ne andò, si fece anche più intesa e più vicina. Mi guardai freneticamente in torno, come un animale braccato che percepisce la presenza del cacciatore ma non riesce a vederlo. Ringhiai tra i denti frustrato e, con un'ultima occhiata intorno a me nuotai velocemente verso la riva.

***

Rimasi sdraiato sulla sabbia, immobile a godermi il sole. Il mio cervello aveva staccato la spina, permettendomi momentaneamente di riposarmi senza avere alcun tipo di pensiero per la testa. Di tanto in tanto le piccole onde dell'oceano riuscivano a bagnarmi i piedi, di tanto in tanto piccoli crostacei si avvicinavano curiosi: ma tra tutti i movimenti e i suoni di madre natura, percepii solo il battere regolare del mio cuore e il ritmo lento del mio respiro.
Un pennuto irruppe nel mio campo visivo, riportandomi alla realtà e facendomi sbattere più volte le palpebre. Lo seguii con gli occhi, guardandone i cerchi per aria e la sua discesa di quota. Ero talmente concentrato su quel animale che voltai il capo per seguire il suo perfetto atterraggio. Zampettò un po', guardandomi con un occhio marrone e poi, voltando il capo, mi mostrò il suo differente occhio azzurro. Non avevo mia visto un pennuto con quella caratteristica, e a renderlo più particolare, era il suo piumaggio completamente dorato.
Fece un piccolo volo, finendo addosso a me e porgendomi una zampetta, notai solo in quel momento che aveva un biglietto con sé. Lo slegai incerto, tenendo tra le dita il piccolo pezzetto di carta ingiallita.
Il pennuto riprese a volare impazzito intorno a me, continuato a dire: "Leggilo! Leggilo!" Il suo gracchiare era veramente insopportabile, però, prima che potessi scacciarlo, volo via di sua iniziativa, lasciandomi solo su quel pezzo di spiaggia dimenticato da tutti.
Srotolai il biglietto, tenendolo fermo e cominciando a leggere le poche righe presenti:
Erik, se vuoi scoprire qualcosa di più sul tesoro non devi far altro che guardare negli occhi la ragazza che hai trovato e dirgli le seguenti parole: Magico essere che ho trovato, ti ordino di portarmi al tesoro che sto cercando. I tuoi occhi parlano della tua natura, tu sei nata da Goccia di Mare. Fin quando non avrò il tesoro dovrai starmi accanto; quindi ora svelami il tuo nome.
Qualcosa in me mi diceva che non era uno scherzo, molte voci raccontavano che per trovare il tesoro di Uran serviva la magia, e poi, tentar non nuoce.

***

Ormai il sole tramontava all'orizzonte e noi stavamo seppellendo i corpi dei nostri caduti, sotto gli ultimi suoi tiepidi raggi.
Ci radunammo tutti intorno alle fosse, mancava solo da seppellire Ruby. Presi il suo corpo dalle braccia di Spostapietra: l'avevano pettinata, ripulita e vestita con un abito verde chiaro. Sembrava quasi che stesse dormendo, ma non respirava e il suo corpo era ormai pallido e gelido. La tenni stretta a me, guardandole il viso dai tratti morbidi e gentili, le guance e il naso piene di piccole lentiggini, le palpebre definitivamente chiuse, per sempre, a nascondere gli ormai vitrei occhi verdi.
Mi morsi il labbro inferiore, in una smorfia di sofferenza e nostalgia; posai la mia fronte contro la sua, sperando ancora che potesse svegliarsi da un momento all'altro e cingermi il collo con le sue esili ma forti braccia. La posai delicatamente nella sua bara, sistemandole le mani e dei ciuffi ribelli, le accarezzai piano una guancia, sussurrandole le ultime parole d'addio.
Sarei voluto rimanere inchiodato lì, al suo fianco, per giorni e giorni fin quando anch'io non sarei collassato, ma dovetti farmi forza, perché era quello che lei avrebbe voluto. Voleva che anche di fronte alle disgrazie, a problemi insormontabili, a sfide impossibili, io uscissi sempre a testa alta, senza mia darmi per vinto.
Indietreggiai di qualche passo, senza mai voltarmi e imprimendo nella mia mente ogni suo singolo dettaglio. Altri pirati si fecero avanti dopo di me, dandole il loro ultimo saluto e lasciandole dei fiori colorati nella bara, senza mai sfiorata.
Quando anche lei venne seppellita alcuni bucanieri si inginocchiarono vicino alla tomba di chi gli era stato più caro altri, invece, ritornarono silenziosi al galeone tristi per la sconfitta e le perdite subite.
Anch'io andai con quest'ultimi, non potendo più sopportare la vista della tomba di Ruby. Ordinai freddamente a Romeo di portarmi la prigioniera mentre ritornavo nella mia cabina con aria cupa e dolorosa.

***

Camminai avanti e indietro, rileggendo lo strano biglietto fino a quando delle urla furiose mi giunsero alle orecchie e, dopo poco, Spostapietra e Francos entrarono senza bussare, temendo ciascuno un braccio della ragazza, che si dimenava come una forsennata. Dai suoi occhi azzurro marino si poteva scorgere l'ira e l'indignazione che stava provando verso i miei due uomini.
La corvina venne, letteralmente, buttata nella cabina come un di sacco di patate e i due bucanieri se ne andarono, chiudendo violentemente la porta e scusandosi con lo sguardo per essere entrati senza permesso.
La ragazza si alzò da terra e mi guardò con disappunto. Il suo sguardo tagliente mi riportò alla mente la sgradevole sensazione che mi aveva attanagliato quando ero andato a nuotare in solitaria.
Rimanemmo in silenzio a fissarci, a studiarci, a cercare il modo di intimorire "l'avversario". Entrambi eravamo intenti a scoprire il modo per non essere sopraffatti. Azzurro marino e marrone nocciola. Le sue iridi erano ferme, mortalmente misteriose, dilatate per la mancanza di luce.
Sembrava che si stesse chiedendo il perché di quell'inumano silenzio, ma allo stesso tempo era pronta a qualsiasi mia mossa.
Una delle poche candele si spense, gettandoci nel buio più di quanto non fossimo già. Immobili. Rimanemmo immobili.
Sembravamo due statue di marmo, bloccate nel tempo in una posa precisa. Neppure il lieve dondolio del galeone ci sbilanciò dalle nostre posizioni. Non sapevo a cosa lei stesse pensando, ma aveva un'aria di mistero intorno a sé.
Dischiusi di poco le labbra, inumidendole con la lingua, e recitai con un fil di voce, le parole del bigliettino. Finalmente riuscii a far scattare una reazione in lei: gli occhi si spalancarono sorpresi e indietreggio di un passo. La sfida muta che c'eravamo lanciati l'avevo vinta io: la ragazza aveva indietreggiato.
«S-Sirenity...ma come fai a sapere quello che dovevi dire?!»
Lei mi guardava sbigottita, ora l'avevo in pugno. Doveva portarmi dal tesoro e tutto sarebbe andato liscio come l'olio, niente più complicazioni.
«Cosa sei? Che poteri hai? Da dove vieni?»
Assottigliò lo sguardo, infastidita da tutte quelle domande. Dal canto mio, invece, ci godevo tantissimo a sentirla finalmente parlare. Sorrisi compiaciuto: ora pure lei era sotto il mio comando.
«Sono un essere magico, nata da Goccia di Mare, ho il potere di trasformarmi in tutti gli animali che voglio e anche in un essere mistico: la sirena. Non posso raccontarti nient'altro»
«Ho saputo che per trovare il tesoro bisogna superare delle prove, spiegarmi cosa dovrò fare»
«Ti posso solo rivelare che dovrai compiere una scelta. Il resto lo saprai solo in futuro»
I ruoli si investirono: ora era lei che mi guardava saccente ed io la guardavo male. Sinceramente, e stranamente, la cosa mi divertiva, quella ragazza aveva un non so che di diverso da tutte le donne che avevo conosciuto negli anni. Di solito timide, sfuggenti, amanti delle regole imposte dal padre e devote, chi più chi meno, al marito. Oppure altre estroverse, sensuali e intraprendenti.
Il silenzio fu interrotto da un suo battito di mani, seguito poi dalla sua voce, notai che il suo tono era molto più melodioso e naturale, rispetto alla prima volta che era salita sul mio galeone.
«Bene, come prima cosa dobbiamo trovare la mappa»
«Come scusa? Non sai dove sia il tesoro?»
Ero confuso.
«Io sono solo la guida, il resto lo devi fare tu. Prima troviamo la mappa, poi la chiave ed infine il tesoro»
«...Quindi ora che dobbiamo fare?»
«Andiamo a Porto Rico»
Chiamai a me un mozzo e gli diedi il compito di riferire a Romeo di cambiare rotta. Dovevamo andare a Porto Rico.
Quando se ne andò, offrì a Sirenity del rum, ma lei lo rifiutò arricciando il naso.
Passammo il tempo a parlare pacificamente, come se l'astio provato poco prima non ci fosse mia stato. Lei mi raccontava le sue avventure e io le parlavo del mio passato, era bello conversare con lei e dovetti ricredermi sul fatto che fosse odiosa. In fin dei conti, avevo già imparato diverse volte che non si giudica una persona dalle apparenze.

Angolo autrice:

Vi piace il nome Sirenity?

Come vi è sembrata la sfida muta? Cosa, secondo voi, Erik vede di diverso in Sirenity?

Cosa ci sarà a Porto Rico?

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