28. Poco tempo

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Erik:

«Tu! Dovevo aspettarmelo!»
Ringhiai a denti stretti sguainando la sciabola. Lui sorrideva maligno mentre prendeva anche la sua arma. Impugnai, fino a far sbiancare le nocche, l'elsa; questa volta lo volevo veramente morto. Con un movimento fluido, cercai di colpirlo con un fendente. Ma Derek scansò il colpo spostandosi di lato.
«Non puoi farmi niente se sei così lento»
Mi schernì prima che entrambi indietreggiammo di un passo e ci mettemmo in posta frontale. Nessuno dei presenti osò fiatare, non volava nemmeno una mosca.
Quell'apparente tranquillità si spezzò, solo quando, con grande rapidità, mi colpì con uno squalembro dritto alla spalla, non feci in tempo a pararmi.
«Sei goffo e non hai stile. Dove sono finiti i miei insegnamenti?»
Digrignai i denti e indietreggiai di due passi.
«Ti faccio vedere io chi non ha stile!»
Ignorai il dolore e il sangue caldo che scendeva dalla ferita. Mi diedi la spinta con le gambe e provai a colpirlo con squalembri e tondi sia rovesri che dritti.
Nella grotta rimbombavano i suoni delle nostre armi. Le sciabole si cozzavano, si allontanavano e si scontrarono più e più volte. Ero pieno di furore. Questa volta non gli avrei permesso di portarmi via qualcuno di caro. Gli avevo voluto bene, certo, ma il suo regno di terrore doveva finire oggi. Dei Fratelli della Morte doveva rimanere soltanto un lontano ricordo.

Saltai indietro, evitando un suo fendente, e ne approfittai per cambiare mano. Essere ambidestri aveva i suoi vantaggi. Derek, che prima si difendeva senza problemi, si trovò impreparato alla novità. Sputò con rabbia qualche insulto, lo stavo facendo indietreggiare sempre di più. Provò a colpirmi con un ridoppio dritto, ma si sbilanciò in avanti. Non persi un secondo e gli tira un calcio alle scapole. Mugolò dal dolore e andò a sbattere contro la parete rocciosa. Eravamo pieni di tagli, dai più superficiali a quelli più profondi, ma non mollammo di certo. Solo uno di noi ne sarebbe uscito vivo, poco ma sicuro. Mi distrassi. Quel secondo mi fu per poco fatele.
Derek si era dato slancio e aveva tentato di colpirmi con un montante, solo pochi millimetri mi avevano salvato la vita. Ingoiai della saliva e indietreggiai solo per rielaborare una nuova tattica e riprendere un po' di fiato.
Anche questa volta fu lui ad attaccare per primo, con un fendente. Mi parai mettendomi in posta reale, ovvero con la sciabola sopra la testa e perpendicolare alla sua arma. Le lame stridevano tra di loro. Era un suono acuto, fastidioso, che riecheggiava all'infinito all'interno della caverna. Derek continuava a far pressione, teneva la spada con due mani. Pensava che avrei ceduto, che perdessi la presa e, forse, se non mi decidevo a far qualcosa, sarebbe successo. Non potevo resistere ancora a lungo: con un solo braccio, sollevato, a difendermi. Dovevo pensare in fretta.
Feci una giravolta su me stesso, spostandomi verso destra; le lame sfregarono tra di loro e, per una frazione di secondo, diedi le spalle a Derek. Lui cadde in avanti e perse la sua arma. Mi affrettai a calciarla via, così che non potesse riappropriarsene.
Torreggiai su di lui con sguardo furente, sollevai la sciabola pronto per colpirlo, ma mi resi conto di una cosa: non riuscivo a farlo. Mi bloccai. Lì, come uno stoccafisso. Avevamo il fiato corto, i nostri petti si alzavano e abbassavano veloci. E lui, lui mi guardava in faccia, senza paura né rabbia. Aspettava il mio colpo, ma non arrivò mai. Il furore, la furia, l'adrenalina, sparirono. Non ero capace di ucciderlo, neanche dopo tutto quello che aveva fatto. Rinfilai la sciabola nel mio fodero, lentamente, e non smisi di guardarlo negli occhi. Si tirò un po' su, stando semi sdraiato sui gomiti, mi guardò confuso.
«So per certo, che tu, saresti stato in grado di farmi fuori. Ma io non sono te»
Alzai di poco lo sguardo, i miei bucanieri stavano ancora guardando la scena. Scrutai ognuno e, in braccio a Spostapietra, c'era Sirenity.
«Mai distrarsi!»
Venni scaraventato a terra e sbattei la testa, sulla dura pietra. Derek rideva mentre prendeva una gohner.
«Pensavi che sarei rimasto buono buono lì seduto? Hai ragione, comunque, ti farei fuori senza problemi»
Ridacchiò ancora e puntò la pistola alla mia testa. Già, a che pensavo! Strizza gli occhi e tira un calcio alla cieca. Gli beccai gli stinchi e mi alzai riuscendo a prenderlo per i polsi.
«Mi hai stufato!»
Gridò furioso, mentre cercava di liberarsi. Sbattemmo le spalle contro la parete rocciosa. Ne approfittai per sfilargli la pistola di mano. Ma un colpo, involontario, scappò dalla canna. Derek emise un verso di dolore, indietreggiò temendosi una mano sul fianco e, l'arma, rimane tra le mie mani. Lui mi sorrise debolmente e, dalla sua bocca, uscì una nuvola nera a rossa. Essa rideva maligna e volava sopra le nostre teste.
«Mi dispiace di averti rovinato la vita, fratellino. Non era mai stata mia intenzione»
Lo guardai ad occhi sgranati, mentre mi scivolò la pistola di mano.
«C-cosa... cosa significa..?»
Quella strana nuvola rise ancora e il respiro di Derek si fece più affannato. Scivolò lentamente al suolo, tenendo le spalle premute contro il muro.
«Significa che sono stato manipolato. Quella cosa nera è una specie di mago, mi ha usato per i suoi scopi. Lui mi ha fatto entrare in quel circolo di criminali, lui mi ha fatto uccidere i nostri genitori ed Esmeralda, è sempre stata colpa sua. Sono stato un burattino nelle sue mani, credimi!»
Ebbi un tuffo al cuore, ero sconvolto. Mi tornò in mente la nostra infanzia, mi venne da piangere. Per tutto questo tempo, era stato vittima di un potere malvagio; ed io non mi ero accorto di niente.
«Riprenderà controllo del mio corpo, fin quando non sarò morto non avrò pace. Devi uccidermi Erik»
Mi inginocchiai al suo fianco e sussurrai un flebile: "no" Derek mi accarezzò la testa, sorridendo triste. La ferita stava già guarendo e il sangue non usciva più.
«Erik, ti ho sempre voluto bene. Vedevo ciò che facevo, ma non potevo far niente per impedirlo. Fallo, ti prego. Pensa a quella ragazza, non a me; più perdi tempo più lei starà male. Per me non c'è più niente da fare. Forse, se mi sarà concesso, potrò ricongiungermi a Esmeralda. Prima di morire lei a saputo cosa mi è successo, mi ha perdonato e mi aspetta»
Mi abbraccio, ed io mi aggrappai al lui come se potesse scappare da un momento all'altro. Derek sorrise, unendo le nostre fronti; lo faceva sempre quando mi sentivo giù. Era il suo modo per dirmi: "Va tutto bene, ci sono io"
Ci guardammo negli occhi e rividi nelle sue iridi scure i bei ricordi del passato. Forse, anche lui, rivedeva nei miei le stesse reminiscenze.
«Ti vorrei dire tante cose... ma c'è.. c'è poco tempo»
Ci alzammo insieme, sciogliendo lentamente l'abbraccio. La sua ferita era completamente sparita, c'era solo lo squarcio sulla camicia. Estrassi, con mano tremante, la sciabola. Era più pesante o, probabilmente, erano le mie braccia a non reggerla più. Lui fece lo stesso, non distogliendo lo sguardo.
«Ti voglio bene, Erik»
«Ti voglio bene, Derek»
Il fumo piombò su mio fratello, vorticando e avvolgendosi intorno a lui. Se prima non ero stato in grado di ucciderlo, figuriamoci adesso, come avrei potuto?

Angolo autrice:

In una versione di questa storia Erik non aveva avuto esitazioni nel colpire il fratello e solo dopo scopriva cosa gli era successo in realtà. Voi che dite: è meglio così come ho scritto o l'altra versione?
Ora che succederà? Erik sarà in grado di eliminare Derek o no? Potrebbe esserci qualche alternativa alla morte?
E, soprattutto, vi confondo con tutti questi cambi di punto di vista?
Ci rivediamo il prossimo Venerdì,
A presto

Una Goccia di MareDove le storie prendono vita. Scoprilo ora