51) Siamo sul set di Beautiful?

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Quando la riunione nel bagno finisce, passiamo sotto gli sguardi arrabbiati delle ragazze in fila, che probabilmente se la stavano facendo sotto. Controlliamo il perimetro con circospezione, ma di lui nessuna traccia. Così corriamo e sprofondiamo ai nostri posti vittoriose.

«Dove sono tutti?» chiedo all'unico rimasto seduto al nostro tavolo: Mark.

«I ragazzi sono andati a fare un giro e i piccioncini sono venuti a cercarvi» scivola sul sofà più vicino a me e si poggia allo schienale con le gambe divaricate, in una posizione sguaiata, tipica dei maschi.

Io mi scosto di qualche centimetro quando lui ammicca nella mia direzione, ma il bracciolo del divano arresta la mia fuga.

Sento la mia amica ridacchiare, se la sta spassando un mondo per questa scenetta. «Torno subito» annuncia all'improvviso. Contorco il collo per girarmi di scatto, tipo la bambina di "L'Esorcista", e le comunico con lo sguardo la mia supplica inutile perché mi mostra il nome di Ash sul display illuminato del cellulare. La osservo allontanarsi come un cane abbandonato in autostrada.

Mark parla, ma fingo di ascoltare le stupidaggini che ha da dire perché sbircio alle sue spalle per localizzare il nemico, ma niente. Se sono fortunata se n'è andato.

«Buonasera.»

Un gridolino per lo spavento mi esce spontaneo, attirando lo sguardo curioso e divertito di Mark.

Continuo a tirarmele: prima la nota della preside e ora questo!

Immobilizzata, scruto i volti delle persone che mi circondano, ma non trovo nessuno dei miei due amici... begli amici!

Di nuovo mi sento la gola attanagliata. Mi concentro per regolarizzare il respiro e non andare in iperventilazione.

«Ciao» saluta il biondo. Che educato! Non si dà confidenza agli sconosciuti!

Io resto ferma, al mio posto. Non mi muovo. Fingo indifferenza anche se dentro sto morendo dalla voglia di voltarmi e lanciargli il mio succo d'ananas sul suo fidato giubbotto di pelle.

Una mano si poggia sulla mia spalla e scatto in piedi come una molla a causa della scossa elettrica che mi attraversa tutto il corpo. Mi giro pronta ad aggredirlo e come sempre mostra una tale tranquillità da contrastare la mia agitazione. Lo odio. Odio il fatto che veda l'effetto che riesce a farmi.

«Posso parlarti due minuti?» ha pure la faccia tosta di rivolgermi la parola.

«No!» Semplice. Coinciso. Diretto. Faccio per accomodarmi, ma lui mi tiene un braccio. «Non. Mi. Toccare» scandisco bene ogni sillaba con difficoltà a causa dell'adrenalina che il contatto con la sua pelle ha rilasciato nel mio organismo.

«Mi basta poco» continua con voce profonda da scuotermi e far vibrare tutto il mio essere.

«A me basta l'eternità lontana da te.»

«Sono disposto a caricarti sulle spalle come un sacco di patate» ignora il mio rifiuto e nel suo intenso verde smeraldo capisco che non scherza.

«Ehi, amico. È meglio se vai a farti un giro» si intromette Mark, posandomi una mano sulla spalla.

L'espressione che si dipinge sul viso di Noah mi fa gelare il sangue nelle vene. È una maschera d'ira e disprezzo. Fissa la mano di Mark come se volesse staccargliela a morsi. «Amico?» ripete con disdegno, scrutando dall'alto in basso il capitano. Fa schioccare la lingua sul palato e il suono mi fa capire che non è stata gradita l'intrusione di campo.

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