23) Atteggiamento zen

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Proseguo compiendo il mio dovere di cameriera sotto le occhiatacce fulminanti di Noah e gli sguardi e i risolini di Joseph. Non so come gli sia arrivato il cibo a tavola, ma se fosse stato per me avrebbe fatto la fame.

Mi dà sui nervi. Come osa metter bocca in cose che non gli riguardano? Non conosce Jamie, non mi farebbe mai un torto, sta solo cercando di tenermi fuori dal radar della iena. È una persona sincera e umile, ci tiene a me e io a lui, credo in Jamie.

Noah voleva essere mio amico. Si vede! Appena abbasso la guardia, è lì pronto a mordermi come un cane rognoso.

Verso ora di chiusura, Ralph, l'altro cuoco che sta in cucina con papà, andando via mi poggia una mano sulla spalla. «Vai a parlare con tuo padre, Rosie. So che è molto preoccupato.»

«Per me?»

«Per tutto» mi scompiglia delicatamente i capelli e mi saluta. Ralph sta qui con noi da anni, conosce bene mio padre e mi ha vista crescere, quindi lo considero una specie di zio.

Seguo il suo consiglio e in cucina papà sta lì davanti a me ad asciugarsi le mani con uno straccio. In silenzio aspetta che mi decida a parlare. Ho un tremendo groppo in gola che ostruisce le corde vocali.

«Rosie?»

Lo mando giù. «Papà, volevo chiederti scusa se quel giorno ho alzato la voce e me ne sono andata durante il lavoro» dico sommessamente. Meglio andare dritti al nocciolo della questione.

«Sì, è stato un atteggiamento infantile e poco professionale» dalla sua voce non traspare nessun particolare tono che mi faccia capire in che stato è il suo umore.

«Lo so papà però, mi sentivo molto sotto pressione e te la prendi sempre con me.»

«Io me la prendo con te perché sei mia figlia, e sei tu che devi essere responsabile quando io non ci sono. Devi imparare a gestire questo posto quando io non ci sarò» eccolo. Ha la rabbia dipinta in volto.

È ancora convinto che io voglia intraprendere questa carriera? No, grazie, non fa per me.

«Papà io... io voglio andare all'università. Voglio studiare veterinaria, questo è il mio sogno, questo è il mio obiettivo. Se posso darti una mano finché sarò qui, lo farò, ma non resterò qui per sempre» spiego.

Sembra che gli abbia tirato un pugno nello stomaco dalla faccia che ha. Aggiungo un "mi dispiace" per addolcire la pillola, ma non serve a nulla.

«Credevo che ti piacesse lavorare qui» alza un po' la voce adirato, ma c'è delusione nei suoi occhi. Lo vedo, e questo crea una crepa nel mio cuore.

«Mi piace, in un certo senso. Però non è quello a cui aspiro. Questo era il tuo sogno, non il mio» so che se lo aspettava, ma immagino che sperasse cambiassi idea.

«E quindi cosa vorresti fare della tua vita?» la fronte corrugata e gli occhi tristi. Spalanca le braccia invitandomi a parlare.

«Non lo so, papà. Per ora studiare e vedere cosa riesco a costruire» rispondo con un sorriso timido.

«Cosa?» sbuffa. «Vuoi intraprendere una strada che potrebbe portarti da nessuna parte, piuttosto che proseguire un lavoro sicuro?» ha gli occhi iniettati di sangue e ha alzato ancora di più la voce.

Le sue parole mi fanno male, ma riprendo a parlare nonostante il nodo che si è formato alla gola per la leggerezza con cui ha preso i miei sogni.

«Papà questi sono i miei obiettivi. Lo sai che adoro gli animali e che vorrei fare qualcosa di utile per loro nel mio piccolo, come faccio ora.»

Dal suo volto posso capire di aver sbagliato a cominciare questo discorso. «Ma di cosa parli?» sta urlando davvero, ora. «Sapevo che non dovevo lasciarti andare a perdere tempo» sussulto per il tono dispregiativo che sta usando. «Bisogna lavorare, e il tuo lavoro è questo. Non puoi inseguire delle idee che ti sei messa in testa perché ti piacciono le palle di pelo. È solo un capriccio. Ti passerà» lo sapevo che non ne sarebbe uscito niente di buono.

«Ma come puoi dire questo? Non è un capriccio. Dubiti di me e delle mie capacità. Non sai nemmeno che voti ho a scuola. Non sai nulla di me. Non sono più una ragazzina. Ho diciotto anni e sono abbastanza grande da avere delle idee tutte mie. Non ho bisogno che gli altri mi dicano cosa fare... come fai tu» sto sbraitando come una forsennata. «Mi comandi a bacchetta e mi ordini cosa fare, hai già deciso del mio futuro senza chiedermelo» sembro una pazza mentre agito le braccia.

Lui si passa le mani nei capelli brizzolati con nervosismo. «Io non ti darò un soldo per seguire il tuo capriccio» sentenzia con voce dura, puntandomi un dito contro.

«Buon a sapersi» ribatto. «È bello avere un padre che crede in te» mi volto e non gli do il tempo di rispondermi. Alla porta della cucina, mi giro. «Sappi che non mi aspettavo niente di diverso da te» gli occhi inondati di lacrime.

Quando rientro in sala resto interdetta, ci sono Noah e Joseph in piedi, vicino al tavolo al quale erano seduti, intenti a pagare il conto. Avranno ascoltato tutto. Il riccio in difficoltà, cerca di non incrociare il mio sguardo, Noah invece non si fa problemi a fissarmi con un'espressione indecifrabile. Purtroppo non sono riuscita a trattenere le lacrime che mi rigano le guance, tiro su col naso ed esco senza dire una parola, sbattendo la porta alle mie spalle.

«Mi parla di lavoro e sacrificio» borbotto. «Ma come osa? Dice che i miei sogni sono dei capricci, che devo seguire una rotta sicura, cioè chiudere nel cassetto le mie aspirazioni, i miei obiettivi, i miei sogni, per proseguire il suo sogno» attraverso l'affollata piazza di piccadilly parlando da sola. «Mi ha tagliato i viveri. Sono diventata teoricamente orfana! Wow! Mi stupisco anch'io. È troppo chiedere un po' di sostegno?» dico con voce stridula, e agitando le mani in aria, attiro l'attenzione dei passanti che mi guardano straniti.

Al diavolo anche voi! Non sono né la prima né l'ultima a perdere la ragione.

Riacquisto, confesso con un po' di difficoltà, il controllo di me stessa. Non mi sembra il caso di farmi rinchiudere in cella per disturbo della quiete pubblica, o cose del genere.

Oooommm... atteggiamento zen.

Almeno posso dire ai posteri di averci provato.

Mi asciugo il viso con le maniche del maglione, come una stupida non ho preso il cappotto e la borsa. Per fortuna, c'è ancora il sole pomeridiano, e nonostante sia novembre, riesce a scaldarmi un po'.

Proseguo verso la metro e maledico me stessa perché non ho un'auto. Posso dire addio anche a quella poiché facendo due calcoli, non posso permettermi sia l'università che l'auto. Con quello che ho messo da parte posso al massimo comprare la tappezzeria di una macchina. Sono proprio nei guai.

Devo pensare a qualcosa.

Devo trovare un lavoro.

Urgentemente.

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