25) Come il limone sui pomodori

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Trovare lavoro a Londra non è semplice come credono tutti. Sì, ci sono molte possibilità, ma non tutti sono disposti ad assumere una ragazza di diciassette anni che va ancora a scuola e con una sola esperienza lavorativa. È difficile convincere qualcuno a darti una possibilità. Bisogna sapersi "umiliare" ad implorare per una chance.

Non posso permettermi di restare senza una fonte di guadagno. Mio padre non mi lascerà morire di fame, ma i soldi per il cibo saranno gli unici che mi passerà. Ho bisogno di conquibus- giusto per fare allenamento con latino- per il mio futuro, non lascerò che la sua testardaggine distrugga il mio sogno di andare al college.

Nella ricerca mi sono concentrata su quello che sapevo fare: la cameriera. Mi ha aiutata anche Sam, ha convinto il proprietario del Roxy's a mettermi in prova. Le mansioni? Devo ripulire i tavolini e i banconi dai bicchieri. Semplice. Niente chiacchiere. Niente sorrisi forzati. La paga è buona, ma gli orari sono i soliti di una discoteca. Questo è il motivo per cui devo iniziare a cercarmi un'auto, anche da pagare a rate.

Comunque è un buon inizio per arrangiarsi.

Sam è stato molto carino ad aiutarmi ed è da stamattina che mi invia messaggi di incoraggiamento per stasera. È davvero un amico speciale, si è anche proposto di venire con me sin dal pomeriggio, per farmi sentire più sicura, ma ho declinato l'offerta. Non voglio disturbarlo oltre.

Dopo aver fatto la doccia indosso la divisa: un jeans nero e il top che mi hanno dato è dello stesso colore con la scritta STAFF sulla schiena. La scelta di un top che mette in mostra le curve piuttosto che una classica t-shirt semplice che copra di più la zona del seno, la dice lunga sull'idea dell'immagine che debbano dare delle semplici cameriere. Aggiungo un cardigan nero, mi sistemo i lunghi capelli in una crocchia alta e mi avvio, devo essere lì alle sei per "l'addestramento".

Passo le prime due ore a seguire un ragazzo di nome Ryan, carino e anche simpatico, che ha avuto l'ingrato compito, poveretto, di istruirmi. Mi consegna la bacinella che devo usare per raccogliere i bicchieri vuoti da portare al bar, e si dilegua.

Bene, sono rimasta sola.

L'ultima volta che sono stata qui era il mio compleanno, una serata folle; sono stata semi-aggredita da quel pazzo pervertito, ho bevuto coprendomi di ridicolo davanti a Jamie e gli altri, e ho baciato quell'arrogante di Noah. Pare sia passato così tanto tempo.

Da all'ora sono cambiate un paio di cosette: io e Jamie. L'appuntamento che ha organizzato dovrebbe rientrare in un manuale intitolato "Come farsi idolatrare da una ragazza". È stato perfetto, dolce e romantico, non mi aspettavo una tale preparazione da parte sua. Mi ha stupita, e non poco. Abbiamo cenato in riva al lago e si è premurato di servire pietanze vegetariane... come posso non adorarlo. Poi, ha adagiato un piumone sul prato, ci siamo distesi a guardare le stelle e a chiacchierare. È stata la serata più memorabile della mia vita.

Poi mi balena nella mente il viso afflitto di Noah. Ecco la seconda cosetta che è mutata da quella fatidica sera. Ho conosciuto Noah, ragazzo bizzarro e enigmatico, incomprensibile agli esseri umani. Andrebbe ficcato in un laboratorio e studiato per comprendere cosa gli passa nel cervello... se ne ha ancora uno. Stiamo, o meglio, ho cercato di costruire un rapporto civile con lui, fallendo miseramente e questo mi provoca una piccola fitta di dispiacere. È molto difficile non sbottare di fronte a tanta prepotenza e sfrontatezza. È da un paio di giorni che non si fa vivo. Forse, ha capito che non siamo compatibili, siamo come il sole e la luna, come il diavolo e l'acqua santa, come il limone sui pomodori... Insomma, quest'amicizia non s'ha da fare!

La serata inizia a movimentarsi verso le nove. La gente si accalca al bar per le ordinazioni e io sto già scorrazzando da una parte all'altra della grande sala. Mi piace. Mi piacciono i lavori veloci e sbrigativi, le ore passano in fretta e non mi annoio.

Mentre mi muovo nella mandria un po' impanicata, inaspettatamente delle mani mi coprono gli occhi. Mi basta un secondo per capire a chi appartengono. «John?» dico e soffoco una risata.

«Chi è John?» le mani passano sulle mie spalle e mi fanno voltare. Jamie si acciglia, assumendo un'espressione buffa, e a questo punto non mi trattengo più e scoppio a ridere.

«Scusa, ti ho scambiato per un altro» rispondo mentre vedo un sorriso malizioso spuntare sulle sue labbra piene.

«Posso chiedere al proprietario se puoi indossare un sacco della spazzatura?» esordisce.

«Eh?»

«Non hai freddo?» mi chiede, squadrandomi da capo a piedi.

«Jamie sei ubriaco per caso?» domando, prendendo il suo viso tra le mani e lo studio per capire se ha bevuto, ma gli occhi non sono né lucidi né rossi.

«Non guardarmi con quegli occhioni, hai visto la divisa che indossi?» inarca entrambe le sopracciglia, e si muove come se volesse coprirmi agli occhi degli altri. «Ho intenzione di indire una petizione contro lo sfruttamento del corpo delle donne nelle attività commerciali, per incrementare le rendite delle vendite» annuncia deciso.

Dopo un istante di confusione, mi rendo conto a cosa mira la sua "apprensione". Mi cascano le braccia lungo i fianchi e poggiando la testa sul suo petto, mi lascio trasportare dal divertimento.

«Mi fai sentire ridicolo e stupido se fai così.»

«Lo sei» gli confermo, guardandolo negli occhi sorridente. Gli passo le mani dietro al collo e lo bacio. Lui mi stringe a sé e ricambia con dolcezza, quanto vorrei restare così tutta la serata. L'attimo fugace di romanticismo termina, purtroppo. Ci diamo appuntamento al privè dopo l'esibizione, e mi saluta sfiorandomi ancora le labbra.

Mi lascio andare in un sospiro quando lo vedo allontanarsi e lanciarmi un ultimo bacio. Ora mi sento persa e spaesata in mezzo a tutta questa gente. E essendo io un libro aperto, Ryan se n'è accorto, si è avvicinato e mi ha detto di bere un paio di shottini per allentare un po' la tensione. Ma io, da diligente lavoratrice quale sono, li ho rifiutati... non voglio ubriacarmi il mio primo giorno di lavoro.

Questo, venti minuti fa.

Sì, ho cambiato idea.

Perché?

Negligenza?

Può darsi.

Ansia da prestazione?

Forse.

Noah Bennet seduto al bar che ammicca e alza la birra nella mia direzione a mo' di brindisi, e mi saluta con la mano muovendo solo le dita?

Sicuramente.

«Ehi, Larry» chiamo il barman con voce tremante senza distogliere lo sguardo dal moro davanti a me.

Devo innalzare il livello alcolemico nel mio organismo.

Un bicchierino pieno fino all'orlo di un liquido colorato, si materializza davanti a me sul bancone del bar.

Sì, sono un dannato libro aperto, scritto nel modo più elementare possibile, a caratteri cubitali.

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