3) Ho messo in svendita la mia verginità?

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Domenica, il giorno del signore. «Nel giorno del Signore tutti devono riposare» disse il caro imperatore Costantino.

Il mio cellulare squilla incessantemente tartassandomi il cranio come un martello pneumatico. Tasto il comodino alla mia sinistra senza neanche aprire le palpebre e quando lo trovo, avvio la chiamata senza neanche controllare chi sia. L'importante è farlo tacere.

«Buongiorno, Rosie!» esclama pimpante l'inconfondibile voce della mia migliore amica Ginnie.

Vorrei far tacere anche lei in questo momento.

«Ma davvero, Ginnie? Sei seria?» farfuglio con voce arrochita dal sonno. «Sono solo le nove e di domenica per giunta. A quest'ora dovresti poltrire come tutti i normali adolescenti.»

La sento sbuffare all'altro capo del telefono. «Ringrazia che non sia venuta di persona, tesoro. Comunque, passo da te fra un paio d'ore.»

«È perché mai?»

«Non ti sei ancora chiesta come sei arrivata nel tuo letto?»

Abbraccio con lo sguardo la camera illuminata dalla luce che filtra dalle tende lilla della finestra alla mia sinistra. La scrivania bianca, sotto di essa, carica di libri, cianfrusaglie varie e il computer. Di fronte a me il grande armadio con quattro ante poggiato a una delle tre pareti bianche mentre quella dietro di me, alle spalle del letto con la testiera bianca e le coperte viola, c'è l'unica parete lilla. Lilla, lilla, lilla ovunque... È proprio la mia camera. Mi verrà qualche problema alla vista. Sembrava una buona idea qualche anno fa quando ho ritinteggiato.

«Allora?» incalza la mia amica.

In effetti non ricordo di essermi messa a letto. «E questo cosa c'entra?» chiedo un po' esitante, preoccupata dalla risposta.

La sento ridacchiare all'altro capo del telefono. «Vediamoci che ti racconto un paio di cose che sono successe ieri.»

Scatto, come se qualcuno mi avesse appena frustata, con la schiena eretta in mezzo al letto. «Oddio! Non dirmi che mi hai fatto baciare qualcun'altro?» il cuore fa una capriola spaventosa.

«Oh, no. Quella è acqua passata. Hai fatto di peggio» continua a sghignazzare. Adesso le sue risatine non le sopporto.

«Oh cazzo! Ho messo in svendita la mia verginità?» stavolta il cuore fa il giro della morte nel mio petto.

«Che? No, certo che no. Non ti avrei mai lasciato fare sesso con uno qualunque in quelle condizioni.»

Un sospiro di sollievo e riattacchiamo poco dopo. Con enorme sforzo sguscio via dal letto, colpita da una fitta lancinante alla tempia. Aveva ragione Ginnie quando ha parlato del dolore alla testa che mi avrebbe accompagnata oggi.

Scendo in cucina imbronciata e seguo il dolce aroma di caffè appena pronto. Ne ho bisogno, insieme a una massiccia dose di analgesici.

Mio padre siede al piccolo tavolo di legno bianco della nostra cucina rettangolare, ritinteggiata anch'essa in avorio e costeggiata dai pensili in ciliegio sulle pareti. Con una tazza in una mano e il giornale nell'altra, alza la testa e sgrana gli occhi. Stupito quanto me di vedermi già in piedi di domenica.

«Sogno o son desto?» mi prende in giro cercando di fare un espressione scioccata.

Lo guardo male e non rispondo. Mi prendo solo del caffè dal ripiano e mi accomodo di fronte a lui.

«Come mai sei già sveglia? Qualcosa non va?» aggrotta le sue folte sopracciglia e mi scruta con gli occhi scuri indagatori. Papà ed io non ci somigliamo per niente. Lui ha i capelli neri un po' brizzolati e di media lunghezza mentre i miei sono di un rosso incandescente che non mi fanno passare inosservata; i suoi occhi sono di un castano molto scuro, a volte quando litighiamo o mi osserva indagatore mi incute timore, sono profondissimi e sembra che non ci si possa vedere dentro. Le mie iridi invece sono di un verde abbastanza chiaro.

Lasciami EntrareDove le storie prendono vita. Scoprilo ora