55) Un ballo da sballo

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Allora c'è ancora qualcuno che porta il nero.

Noah naturalmente.

E gli sta da Dio.

È la tentazione in carne e ossa che mi è stata inviata per spingermi a peccare.

È difficile staccargli gli occhi di dosso e non sono l'unica che si trova in questa situazione di stallo momentaneo: altre ragazze, anche quelle con accompagnatore, si fanno distrarre dall'entrata a passo felpato o a rallentatore di Noah.

Posso sentire anche i loro sospiri e vorrei gridare di andare a farli altrove.

Lo osservo a bocca spalancata mentre si muove elegantemente nel suo completo nero come un modello di qualche pubblicità di abbigliamento, come se non facesse altro nella vita: sfilare per la folla adorante.

Immobile come uno stoccafisso, a contemplare la sua bellezza, in un silenzio assordante fuori dal mondo... lui e io.

Non mi accorgo nemmeno che ormai mi ha raggiunta. Mi sento intontita ed emozionata al tempo stesso.

«Madamoiselle» mi fa un inchino senza mai staccarmi gli occhi di dosso. Scandaglia il mio corpo sfacciatamente, con sguardo famelico oserei dire. «Posso avere l'onore di questo ballo?» la voce suadente e profonda che mi fa rabbrividire, porge una mano verso di me col palmo in alto.

Vacillo per qualche secondo, lasciandomi abbindolare dalla sua presenza, dal suo fascino, dalla sua aura incantatrice...

Ma che sto pensando?

«Non rifiutarmi» sembra quasi una supplica di fronte al mio tentennamento. «Mi sono vestito come un pinguino imbalsamato solo per te, quindi... non rifiutarmi» mi fa sorridere, ma non ha bisogno di pregarmi perché voglio concedermi... no, volevo dire: concedergli il ballo.

Santa Carla Fracci.

Lo sapevo che avrebbe abbattuto le barriere spazio-temporali.

Appoggio la mia mano sulla sua e il mio cuore sussulta al contatto, quella scarica di adrenalina che Noah è capace di infondere a tutto il mio corpo. Siamo elettricità.

Osservo in silenzio i suoi movimenti: mette la mia mano con delicatezza sulla sua spalla e l'altra la tiene sollevata in aria intrecciandola con la sua, e quella libera invece la posiziona alla base della mia schiena.

Il sangue mi ribolle nelle vene facendomi arrossire violentemente, il mio corpo divampa in un incendio pericoloso. Siamo così vicini da scambiarci i respiri e sentire i nostri cuori battere feroci.

Le sue iridi mi scrutano mentre dirige il mio corpo e ringrazio che mi stia sorreggendo perché le mie gambe sono troppo deboli per tentare di fare anche solo un passo.

Per il primo minuto della canzone sono così imbarazzata, tesa ed emozionata che non riesco ad alzare lo sguardo dal suo petto che vedo muoversi velocemente come il mio per il miscuglio di emozioni che si stanno scatenando. Anche se non lo sto guardando, posso benissimo percepire i suoi occhi su di me. Forse aspetta che sollevi questa testa di cavolo che mi ritrovo, ma quando mi decido finalmente a farlo, lui comincia a parlare.

«I miei genitori sono stati uccisi in un incidente stradale quando avevo tredici anni» esordisce, sorprendendomi. La mia testa scatta, ma lui fissa i suoi splendidi occhi altrove alle mie spalle. «Il colpevole era alla guida ubriaco» la mascella si contrae e capisco che la rabbia che si cela dietro queste parole è ancora viva. «Ha perso il controllo della sua auto, finendo nella corsia opposta, e si è schiantato contro quella dei miei genitori» il tono si fa più duro, pieno di risentimento. «Mio padre è morto sul colpo e mia madre ha passato sei ore in agonia a combattere fra la vita e la morte, ma non ce l'ha fatta» sospira. «Non è andato in prigione. Se l'è cavata con un ritiro della patente momentaneo perché era il figlio minorenne di qualcuno» la presa alla mia mano si fa più salda e il braccio intorno alla mia vita si stringe come se si stesse aggrappando a me. Pensavo fosse il contrario, che fossi io a tenermi a lui e invece in questo momento Noah sembra così fragile.

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