49) Chiedere asilo come rifugiata politica in un tempio buddista

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Ho preso una decisione: rinuncio all'università, mi faccio suora, mi chiudo in un convento e tanti saluti a tutti.

Sono anche disposta a fare da babysitter ai monaci bambini sull'Himalaya nonostante soffra di acrofobia. L'unica volta che ho fatto il giro sulla ruota panoramica avevo sette o otto anni: un trauma. Si bloccò la giostra e io e mio padre rimanemmo sulla ruota per mezz'ora. Iniziai a piangere e disperarmi e quel poveretto di papà, impanicato dal mio attacco di panico, se avesse avuto un paracadute ci avrebbe lanciati fuori dalla cabina.

Ho speso questi tre giorni a sbattere la testa su qualsiasi superficie solida. Ho rimuginato a lungo sui fatti accaduti, che ora mi sembrano così lontani, pare siano passati anni perché ancora non me ne capacito. Invece sono trascorsi solo una manciata di giorni, che ho passato in ritiro spirituale fra le mura di casa mia.

Non ho voluto vedere nessuno dopo quei dieci minuti d'inferno a casa di... quello lì. Non ho avuto il coraggio di affrontare Jamie per appurarmi che stesse bene. Nemmeno Ginnie e Sam che si sono presentati alla mia porta e ho fatto congedare da mio padre. Gli ho inviato dei messaggi per dirgli di stare tranquilli e che mi sarei fatta viva al più presto... sempre se non mi fossi spappolata il cranio contro le pareti, gli armadi, i tavoli, la testiera del letto e cose varie.

«Collins» il richiamo all'attenzione del prof di storia, mi fa quasi cadere dalla sedia, sulla quale sto praticamente tirando le somme dei casini che hanno accompagnato le mie giornate ultimamente.

Ormai i guai mi seguono come le mosche seguono il culo di una mucca.

«Insomma, ti ho fatto una domanda. Se non sei interessata alla mia lezione, esci fuori» tuona, portandosi gli occhialetti sul naso acquilino.

«Chiedo scusa» mi stringo nelle spalle e porto lo sguardo sul volume di infinite pagine di storia del mondo. Dovrebbero scrivere un paio di righe su di me e sulle mie sventure.

A proposito di queste, ho una novità: mi sono licenziata, non lavorerò più al Roxy's. Dopo tutto quello che è successo in quel posto, ho dato le dimissioni. Quel locale è maledetto. Lo avranno costruito su di un cimitero o una succursale di Salem, perché la maggior parte delle mie disavventure hanno avuto luogo proprio lì.

Ryan ci è rimasto male, credeva che c'entrasse qualcosa il fatto che facesse "attività extra"... e ci ho messo le virgolette perché si intenda che non sto parlando di giardinaggio. L'ho tranquillizzato che non è per le sue scope incriminate o per lo spogliatoio che utilizza come stanza dei "giochi"... ho inserito le virgolette anche qui perché si capisca che non gioca a briscola con le sue "amiche".

Gli ho spiegato che mio padre mi ha chiesto di tornare a lavorare con lui al ristorante, e il che è vero. Con la chiacchierata a cuore aperto che abbiamo avuto, le cose sono migliorate, ora lo guardo sotto una nuova luce, ora ci capiamo a vicenda.

Però non ho aggiunto che mi vergognavo di farmi vedere dalla band dopo quello che è successo fra Jamie e... L'Innominabile: lo chiamerò così d'ora in poi, se ci sarà un poi. Di certo ora non mi va di vederlo o sentirlo, o nominarlo, o udire il suo nome uscire dalla bocca di altri.

«Collins. Fuori» grida il professore così tanto da farsi gonfiare la vena sull'alta fronte, e indicandomi l'uscita con l'indice e il braccio teso.

Mi alzo senza replicare con testa china e incrocio lo sguardo di Sam, che muove le labbra in un: «Dov'è la tetta?»

Ma che?

La mia faccia perplessa gli fa scuotere il capo. Lascio perdere, perché non è il momento di chiedergli della tetta di chi sta parlando.

Lasciami EntrareDove le storie prendono vita. Scoprilo ora