QUANTANTUNO

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Castle era stato più volte sul punto di fermarla quando rientrava a casa. La riaccompagnava sempre in taxi e chiedeva al tassista di aspettarlo, mentalmente si diceva che era un modo per obbligarsi ad andare via. Ogni giorno era più difficile, ma lui non voleva diventare la persona di cui lei aveva bisogno. Era terrorizzato da questo. Era terrorizzato dall'idea che se lei non avesse più avuto bisogno di lui, si sarebbe di nuovo allontanata. Stava vivendo in una situazione assurda perché aveva capito che lei aveva bisogno della sua presenza per stare meglio, ma non voleva che stesse meglio solo in funzione sua. Lui non era bravo in questo, non era il tipo che limitava gli slanci, lui si assecondava ed invece con lei si ritrovava a tarparsi le ali in ogni momento e in più di un'occasione si chiese se stesse facendo bene.

Lasciata Kate una di quelle sere era tornato a parlare con il suo psicologo, quello che lo aveva già aiutato nei momenti successivi alla perdita del bambino, e per lui anche di Kate, ad accettare quella situazione e gli aveva raccontato cosa stava accadendo. Il dottore evitò di dargli troppi pareri, si limitò come sempre a fargli molte domande a cui lui doveva cercare una risposta. Era sicuro che stesse andando così con i piedi di piombo per Kate e non per se stesso? Era veramente lei quella che voleva? Quanta paura aveva di quella situazione? Cosa avrebbe fatto se Kate avesse veramente voluto ricominciare con lui? Tutte domande che martellavano in testa a Castle che aveva risposte che gli sembravano difficili o paradossalmente troppo banali e lui era in mezzo a queste due percezioni, sballottato da una all'altra. Alla fine la cosa alla quale provò ad aggrapparsi fu la frase che lo psicologo gli disse prima di salutarlo "Non commetta l'errore opposto, non faccia troppi calcoli e segua di più i suoi desideri.". Ci aveva pensato molto, tornando a casa che ormai era già notte, stava rischiando di fare come aveva fatto lei, facendo vincere la paura di farsi male ed evitando quello che lo faceva stare bene. Piccoli passi, si era detto, ma lui sembrava rifiutare di camminare, fin troppo premuroso che fosse lei a non farsi male, quando invece la paura era la sua.

- Domani è il Ringraziamento Richard, cosa pensi di fare? - Martha lo aveva accolto così a casa, con una domanda che sembrava quasi un'intimidazione.

- Il solito, no? - Rispose distrattamente.

- E Katherine? Il Ringraziamento si passa in famiglia, lei ne fa parte? - Non stava cercando molti giri di parole, volutamente.

- Sì, certo. Anzi, dovrei chiamare anche Jim... - Era forse quella l'occasione che stava aspettando, quel passo in più da fare, insieme.

- Pensi le faccia bene papà? Non credi che possa pensare... - Gli chiese Alexis pensierosa che aveva ascoltato in silenzio fino a quel momento.

- Sì, ci penserà, come ci penserò io, tu, la nonna e chiunque altro. Ma se non affronta queste cose non tornerà mai alla normalità. - Sembrava convinto di quello che diceva, se ne stava convincendo man mano che parlava, come se quell'idea improvvisamente avesse preso possesso della sua mente e gli sembrasse come la cosa più giusta.

- Ne sei sicuro Richard? - Chiese Martha ora meno convinta della sua proposta.

- Non lo so mamma, ma non ho una formula magica. Io voglio far sentire a Beckett che ci sono tante persone che le vogliono bene e che non è sola come pensa. Non credo ci sia un'occasione migliore.

Chiamò subito Jim: si erano sentiti qualche volta in quella settimana, lui gli aveva raccontato del suo nuovo rapporto con Kate e Jim si era mostrato molto felice, convinto anche lui che Rick rappresentasse l'unico con la chiave giusta per far aprire Beckett. Mostrò, però, qualche riserva su quella proposta, convinto che fosse troppo presto, ma Castle era sempre più convinto che era il momento giusto per forzare un po' la mano su di lei, perché era giusto affrontare tutti i fantasmi del passato, anche quello.

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