TRENTACINQUE

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Lanie guardò Kate rientrare a casa e sbattere con forza il portone i cui vetri tremarono, così come l'anima della dottoressa. Odiava essere dura con Beckett, ma la sua amica non aveva più bisogno di essere compatita, ma scossa. Eppure andò via da lì con la sensazione che nemmeno quello potesse fare effetto.

Esposito la aspettava in macchina dietro l'angolo, non aveva voluto che andasse da sola, ma si era tenuto in disparte, per farle parlare senza intromettersi.

- Allora?

- Non ci hai sentito? - Chiese lei ironica.

- Beh, veramente qualcosa... - Ammise lui.

- Ecco, così. Non si smuove.

- Sei sempre convinta che lo vuoi fare? - Chiese l'ispanico.

- Sì. Sono sicura che chiamare Castle sia l'unica soluzione.

Aveva controllato l'orario, era tardi anche per l'Europa, ma non le importava, se dormiva lo avrebbe svegliato. Castle, però, non stava dormendo. Era ancora immischiato in una lunga cena cominciata tardissimo. Il mercato spagnolo era solo una fetta di quello che aveva appena aperto con la traduzione in castigliano dei suoi libri, c'era gran parte del Sud America ad attenderlo e Gina stava già pensando ad organizzare una tournée anche lì, per l'anno seguente. Richard Castle anche in Europa riusciva a conquistare tutti con il suo fascino innato. Si preoccupò quando sentì squillare il cellulare, fece un rapido calcolo e si accorse che a casa era l'alba. Quando vide apparire sullo schermo il nome di Lanie la sua preoccupazione aumentò e scusandosi si allontanò dagli altri commensali uscendo fuori sulla veranda di quel ristorante ancora rumoroso.

Aveva ascoltato tutto quello che Lanie aveva da dirle, senza interromperla, annuendo solamente, aveva subito il racconto di quello che Kate stava facendo a se stessa e agli altri, della loro discussione, di quella avuta con Jim che aveva chiamato la dottoressa per chiederle di star vicino a Beckett che però non lo permetteva a nessuno. Ogni parola per Rick era come ricevere un pugno in faccia e solo alla fine parlò anche lui.

- Cosa vuoi che faccia io dottoressa? Kate non mi vuole nemmeno parlare.

- Ti ha cercato Rick! Lo so, me l'ha detto Jim che ha parlato con tua madre. Sei l'unica persona che ha cercato. Kate si sta distruggendo, solo tu puoi disinnescarla.

- Io... farò il possibile.

L'aveva salutata con quella promessa. Fare il possibile e lui era certo, avesse potuto, glielo avesse permesso, avrebbe fatto qualsiasi cosa. Si rese conto che quei seimila chilometri di distanza non erano abbastanza per impedire al suo cuore e alla sua mente di voler stare con lei, che il vuoto che sentiva dentro non lo avrebbe colmato né con il lavoro, né con le feste, né viaggiando, perché quello che le mancava era il vuoto di lei. Viveva con la il rimorso di non aver mai fatto abbastanza, di non aver lottato quanto avrebbe dovuto fare, di non aver insistito. Era come se si fosse dimenticato di chi fosse Kate Beckett, di come doveva scardinare le sue difese. Invece lui si era messo in disparte, l'aveva assecondata per non forzarla e così lei si era chiusa sempre di più a tutti. Lui se ne sentiva responsabile, sapeva che era anche colpa sua. Le aveva promesso che ci sarebbe sempre stato, che non l'avrebbe mai lasciata ed invece alla prima occasione si era arreso alla sua volontà sbagliata. Lui lo sapeva che sbagliava ma non era stato abbastanza forte da combattere per entrambi. Ora non sapeva se lo era, ma sapeva che non poteva lasciare che Kate si distruggesse, perché quello voleva dire che si sarebbe distrutto anche lui. Poteva accettare che Kate non stesse con lui, che fosse un giorno felice altrove, con qualcun altro. Non poteva accettare che Kate si annientasse.

Non si era accorto da quanto tempo mancava dal tavolo. Era rimasto a guardare il panorama fuori dalla terrazza e si godeva quel clima ancora mite nonostante fossero a metà novembre. Era più di un mese che mancava da New York.

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