VENTISETTE

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Rick aveva lasciato tutto nella mani di Gina e Paula. Aveva dato la sua massima disponibilità per tutti gli incontri con i fan nelle librerie, aveva chiesto solo di evitare, almeno per il momento, party e cose simili. Le due donne avevano deciso, quindi, di cambiare strategia per l'uscita di Heat Rises, abbandonando l'idea della solita mega festa di presentazione ma optando per una presenza più capillare sul territorio, favorendo il contatto con i fan. Paula, nei suoi comunicati stampa, aveva spiegato così la scelta di Castle, lo scrittore riconosceva che il suo successo era merito del pubblico e quindi voleva fare in modo di essere il più possibile vicino a loro e non rinchiuso in feste con persone che non avrebbero probabilmente mai letto una riga dei suoi libri. La sua scelta fece scalpore, soprattutto considerando quella che era sempre stato etichettato come un festaiolo di prima categoria, sempre pronto a presenziare agli eventi più importanti della città, ma i suoi fan erano invece entusiasti, perché avevano molte più possibilità di vederlo dal vivo e farsi autografare le loro copie.
L'agenda di Rick era praticamente piena, ogni giorno una libreria diversa e la cosa non gli dispiaceva, anzi, gli permetteva per alcune ore di staccare da tutto e dedicarsi solo al suo pubblico. Amava particolarmente andare in quelle che gli mettevano a disposizione anche uno spazio per parlare con i fan e rispondere alle loro domande, lo trovava sempre estremamente stimolante per capire cosa piacesse di più dei suoi romanzi e cosa era effettivamente riuscito a trasmettere con la sua scrittura.
Per Heat Rises, Castle aveva già cominciato la sua serie di incontri da qualche giorno, allontanandosi dalle solite grandi librerie del centro, ma anche in quelle più piccole e fuori mano. Quando lesse quell'indirizzo, però, si sentì mancare il respiro. Sapeva che tornare lì non sarebbe stato uguale, che la tentazione di fare solo qualche metro in più sarebbe stata forte. Che magari avrebbe anche rischiato di incontrarla o che sarebbe potuto rimanere lì fuori anche tutto il giorno, per vederla. Sapeva che non avrebbe fatto nulla di tutto questo, perché in realtà non aveva il coraggio per farlo. Perché cercarla ancora era esporsi ad un nuovo rifiuto che non avrebbe sopportato, era farle ancora del male e non avrebbe voluto. Malediva la sua mancanza di coraggio, il suo non riuscire ad sostenere il proprio dolore e quello di lei. Ma si sentiva disarmato e incapace di vederla ancora così fragile, perché lui vedeva nei suoi occhi cosa era veramente e quel fingersi forte quando sarebbe bastato un soffio di vento a farla crollare, come un castello di carte che rovinava sul tavolo, lo spiazzava più che vederla inerme.
Martha e Alexis avevano provato a farlo reagire, ognuna a modo proprio e se la figlia lo aveva fatto con la dolcezza e la semplicità di una ragazzina poco più che adolescente, invitandolo a riflettere sul fatto che se entrambi erano innamorati uno dell'altra non potevano stare separati per sempre, sua madre era stata decisamente meno diplomatica. A lei aveva confidato anche quanto accaduto al matrimonio di Ryan, prendendosi l'ennesima ramanzina dall'attrice che gli imputava il fatto che quella vigliaccheria non gli apparteneva e che non era una scusa per rifugiarsi lì dietro a commiserarsi e lasciar scivolare via la propria vita. Lo aveva spronato più volte ad essere quell'uomo risoluto che aveva mostrato in varie occasioni difficili della sua vita e che in quella situazione dove entrambi soffrivano, perché era evidente, ci doveva essere uno dei due più forte dell'altro e fare un atto di forza per rompere quella situazione e quel qualcuno doveva essere lui. Martha non era stata tenera perché sapeva che non era il momento di esserlo, aveva cercato di spronarlo in tutti i modi, ma non c'era riuscita, vedendolo, anzi, chiudersi sempre più in una misera accettazione degli eventi che gli facevano dire un rassegnato "è andata così, mamma" che a lei faceva venire i nervi. Se solo fosse stato più piccolo lo avrebbe rinchiuso nella sua stanza fino a quando non si fosse deciso ad agire da uomo, ma i suoi sforzi erano stati inutili ed alla fine aveva desistito, mettendolo solo in guardia con un lapidario "spero che non dovrai mai pentirti di essere stato così debole" che fece male a lei pronunciarlo e a lui riceverlo.

Conosceva quella libreria sotto casa di Kate, c'era stato un paio di volte a cercare dei libri per lei da farle leggere durante la sua degenza. Era piccola ma ben fornita ed aveva anche avuto modo di conoscere il proprietario, Arthur, un quarantenne con una grande passione per i libri che si era avvicinato timidamente chiedendogli se fosse proprio lui. Ne era nata una conversazione piacevole sul mondo dei libri, che sorprese il giovane libraio nello scoprire in Richard Castle non solo uno scrittore molto apprezzato nel suo genere ormai di gran moda per il largo pubblico, ma anche un lettore attento ed amante delle novità e di quei libri meno pubblicizzati ma che credeva ogni amante della letteratura dovesse leggere.
Rivedere Arthur quel giorno era una delle cose che gli facevano più piacere. Sapeva che aveva organizzato in una saletta tra gli scaffali uno spazio per un piccolo incontro con alcuni lettori che avevano vinto il concorso che lui stesso aveva organizzato tra chi aveva acquistato il libro: si era rivelata per Castle una cosa informale e piacevole, una decina di perone di varie età che avevano passato più di un'ora in sua compagni a parlare dei suoi romanzi. Ovviamente non mancarono le domande su Nikki Heat e sulla sua ormai finita collaborazione con la polizia di New York e la detective che lo aveva ispirato. Rassicurò tutti che aveva materiale per scrivere ancora altri capitoli di quella saga ma che non sapeva quando lo avrebbe fatto. Si stupì come tutti fossero così interessati a lei, ma nessuno sapeva che in realtà viveva proprio a pochi metri da loro, che magari l'avevano anche vista più volte e forse ci avevano scambiato anche qualche parola.
La fila per farsi firmare il libro era come al solito più lunga del previsto e lui ebbe per tutti un sorriso cordiale, una stretta di mano ed una battuta. Era fatto così, amava il suo pubblico e forse anche per questo lui era amato da loro. Certo non avrebbe mai raggiunto la fama della Rowling con Harry Potter, ma non poteva certo lamentarsi del numero dei fan che aveva e del successo delle sue saghe.
Aveva sperato tutto il pomeriggio di incrociarla, ogni tanto alzava lo sguardo per vedere se fosse lì, magari a spiarlo in disparte, o per vederla passare da quello spicchio di vetrina che vedeva dalla sua posizione. Aveva anche forse sognato di alzare gli occhi e trovarsela davanti, tra i tanti che chiedevano una sua firma. Stupide fantasie di uno stupido scrittore. Lei, ovviamente, non si era fatta vedere e lui non l'aveva cercata in nessun modo. Aveva firmato le ultime copie che era ormai sera e mentre se ne stava andando, era stato fermato all'uscita da un gruppetto di ragazzi che sembravano più scalmanati degli altri. Avevano portato con loro altre copie dei suoi vecchi libri, chiedendogli se poteva firmare anche quelli. Sorrise nel vedere nei loro occhi la genuina passione dei fan e pensava a se stesso se si fosse trovato davanti ai suoi miti alla loro età: in realtà lui aveva fatto molto peggio quando aveva conosciuto Mark Hamill ed era molto più grande quando gli chiese di autografare una delle sue spade laser originali comprata ad un'asta di cimeli in uno dei suoi momenti di follia, felice come un bambino. Così si appoggiò ad una cassetta delle lettere e firmò pazientemente tutti i loro libri. Fu quando alzò gli occhi per dare ad una ragazza una delle ultime copie, prima che questa le mettesse sotto il naso un'altro libro che la vide. Kate era davanti al portone di casa, ferma, e lo stava osservando. Non sapeva da quanto, se fosse appena arrivata o se era lì da molto, ma lo stava fissando e si accorse quando lui incrociò il suo sguardo. Firmò distrattamente, senza vedere dove, l'ultimo libro senza staccare gli occhi da lei che sembrava non riuscire a muoversi, poi salutò i ragazzi e corse da lei. Si aspettava che sarebbe entrata dentro di corsa lasciandolo fuori invece rimase lì, come se volesse aspettarlo. Lui non l'avrebbe fatto, non l'avrebbe aspettata se quei ragazzi non lo avessero fermato. Era il destino che aveva voluto farli incontrare di nuovo, che sotto forma dei suoi fan, gli aveva dato una nuova possibilità o una scusa per parlarle.
- Hey ciao... - Le disse con un mezzo sorriso sghembo imbarazzato.
- Ciao Castle.
- Io ti... ti vedo bene... - Non trovò una frase più idiota da dirle, perché i suoi occhi spenti dicevano tutt'altro anche se fisicamente sì, stava veramente bene.
- Sì, beh... va meglio. Domani torno a lavoro.
- Oh bene... fantastico... cioè, sono felice, vuol dire che...
- Sono guarita, sì. Anch'io ti vedo bene. Stai avendo come sempre un gran successo.
- Merito di Nikki Heat, cioè anche merito tuo.
- Non lusingarmi Castle... Non c'è bisogno.
Parlarono come due conoscenti quasi sconosciuti con l'imbarazzo di due adolescenti alla prima cotta. Rimasero qualche istante in un silenzio scomodo e scivoloso, dove crollarono tutte le certezze di Rick.
- Beh, allora ciao Castle. Mi ha fatto piacere rivederti. - Quella frase così di etichetta fu per lui come una porta chiusa in faccia. Avrebbe preferito che non gli dicesse niente, che volesse evitarlo, piuttosto che parlare con lui come la vecchia amica del college che non vedi da anni e che non rivedrai per altrettanto tempo.
- Aspetta Kate. - La chiamò per nome e per lei già quello fu causa di un sussulto che non doveva esserci, amplificato dal tocco della sua mano sul braccio, che le impediva di aprire il portone. - Ti andrebbe di andare a mangiare qualcosa?
- Castle io...
- Anche solo prendere un caffè, un caffè insieme... - Insistette lui. Un caffè, certo. Per Kate era meno impegnativo che le proponesse un pranzo di gala da dieci portate che un caffè in un semplice contenitore di carta da asporto. Quello era impegnativo mentalmente ed emotivamente, non una cena.
- No, Castle, grazie dell'invito. Ma domani devo riprendere a lavorare e... sono stanca.
Rick fece scivolare via la mano dal suo braccio. Era stato uno stupido a sperare ancora, a dire tutte quelle cose banali, a proporle un caffè insieme.
- Certo, Beckett, lo capisco. Beh, in bocca al lupo per il tuo rientro allora. Ti manderò una copia di Heat Rises al distretto.
Non aspettò la sua risposta, si allontanò da lì sentendo solo il rumore del portone che ci chiudeva tra loro, senza vedere Kate appoggiata al vetro che lo osservava fino a quando il taxi sul quale era salito non lo portò lontano da lei.

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