QUARANTA

213 13 0
                                    

Kate affondò la forchetta nella torta mangiandone un bel pezzo, scoprendola più buona di qualsiasi altra torta avesse mai mangiato prima e l'espressione sul suo viso dovevano averla tradita, almeno lo sguardo compiaciuto di Rick le faceva credere che fosse proprio così.
Alla fine le propose un brindisi, con il caffè. Lei lo guardò malissimo ma Castle non si scompose.
- Trovi qualcosa di più adatto del caffè per brindare? Dopo tutti quelli che ti ho portato, direi che è la cosa migliore!
Non potè rispondergli e così fecero tintinnare le loro tazze toccandole appena.
- Alle piccole cose che rendono le giornate migliori e al tuo compleanno. - Disse Castle tornato serio prima di tuffarsi sulla tazza ancora fumante e lasciarsi inebriare dal gusto leggermente tostato e dal profumo intenso.
- Alle persone che rendono le giornate migliori - Gli sussurrò Kate guardandolo bere prima di farlo anche lei e per poco il caffè non gli andò di traverso.
La famiglia in fondo alla sala nel frattempo aveva finito di mangiare. Si ritrovarono entrambi ad osservare il papà che portava il passeggino vuoto mentre la madre li seguiva con il figlio in braccio. I quattro si salutarono con dei sorrisi cortesi appena accennati prima di lasciarli soli ai loro pensieri.
- Tutto bene? - Si preoccupò di chiederle.
- Credo di sì, poi passa... - disse lei sospirando profondamente. Era difficile concentrarsi sulle cose positive in quei momenti, ma fu di nuovo Castle a riportarla indietro dai suoi fantasmi prendendole la mano ed aspettando che lei gli facesse un cenno assertivo. Finirono in silenzio la loro torta ed i caffè, quel clima più leggero di poco prima era scivolato via troppo velocemente, ma Rick dovette rassegnarsi a pensare che quella sarebbe stata la normalità, sperava per il più breve tempo possibile.
Uscirono da lì e Kate quando ricominciarono a camminare annullò completamente la distanza tra loro, prendendo il braccio di Castle e stringendolo mentre passeggiavano. Lui la lasciò fare, anche quando fermi ad un semaforo si appoggiò con la testa sulla sua spalla.
- Quante donne hai conquistato con questo profumo Castle? - Chiese cercando di essere il più leggera possibile, provocandolo un po', volendo ristabilire tra loro anche quella normalità dialettica e scherzosa che faticava a ritrovare, ma lui la sorprese rispondendole serio.
- Non l'avevo più messo quando non stavo con te. Avevi detto che potevo usarlo solo in tua presenza, ti ho preso in parola. - Kate fu colpita da quelle parole così serie e non pensò nemmeno per un momento che la stesse prendendo in giro. In quei piccoli aneddoti della sua vita senza di lei stava cercando di spiegarle quanto era stata sempre presente nella sua vita e nelle sue scelte e lei capì ed apprezzò il suo intento.
Si ritrovarono a passeggiare in un luogo un po' insolito: High Line, la vecchia ferrovia sopraelevata che ora era diventato un lungo parco urbano con l'Hudson che scorreva da un lato e i grattacieli di Manhattan che definivano lo skyline dall'altra. Non c'era molta gente in quel pomeriggio di metà novembre, Castle aveva preso altri due caffè prima di salire, non ne avevano veramente voglia, ma passeggiare con quelle tazze in mano era un modo per ricercare quella loro consuetudine e sembrò funzionare, perché erano entrambi più sciolti. Il vento che soffiava era freddo ed a tratti aumentava di intensità. Aveva pulito il cielo da ogni tipo di nuvola, ora era totalmente limpido e si preparava ad accogliere il tramonto. Loro non sembrarono farci caso, passeggiavano in silenzio godendosi la reciproca compagnia immersi nei propri pensieri, volendosi in realtà immergersi l'uno in quelli dell'altro per sapere cosa gli passasse per la mente in quel momento insolito.
- Ti ricordavo più pigro, Castle! - Gli disse Kate quando si fermò in un tratto tra le piante, appoggiata alla balaustra guardando il traffico sotto di loro.
- Lo sono sempre. Oggi è un'eccezione! - Specificò andandosi a mettere vicino a lei.
- Sai Castle, ci penso sempre. Ogni volta che vedo una famiglia con un bambino piccolo penso se noi saremmo stati come loro, ogni volta che vedo una donna incinta mi chiedo di quanti mesi sia e se io sarei diventata come lei. Quando andavo a correre sceglievo gli orari nei quali sapevo ne avrei incontrate di meno. Se mi fermavo a sedere per riprendere fiato e vicino si sedeva qualche donna con un passeggino mi alzavo di scatto e me ne andavo.
- Fino a quando Kate?
- L'ultima volta ieri mattina. È sempre così. - Un altro sospiro la trascinò via da lì, buttò il caffè ormai freddo e si sedette in una panchina in mezzo ai vecchi binari. Si strinse nel cappotto fino a far sparire le mani dentro alle maniche. Castle si mise vicino a lei, la vide tremare e nonostante il vento e la temperatura sempre più invernale, era sicuro non fosse per quello.
- Ti piace qui Beckett? - Le chiese Rick cercando la sua mano intrufolandosi nel cappotto con una naturalezza che non si aspettava nemmeno lui e lei si lasciò trovare.
- Sì...
- Questo posto era abbandonato, morto. Guardalo ora: alberi, fiori, panchine, opere d'arte, gente che passeggia felice... è rinato.
- Che vuoi dirmi Castle?
- Ci vuole tempo, ma da quello che può sembrare qualcosa di distrutto, possono rinascere cose bellissime.
Kate guardò le loro mani unite. Avrebbe voluto avere la sua sicurezza, le sue certezze, ed invece non le aveva. Non riusciva ad avere nulla. Le sembrava di fare un passo e poi di essere legata come ad un elastico che la riportava rovinosamente indietro. Quel giorno lo aveva vissuto tutto così.
- Vorrei avere il tuo stesso ottimismo.
- Non sono ottimista, ma credo in te, in quello che sei.
- Come fai? Come puoi nonostante tutto credere in me?
- Ci credo e basta. Altrimenti non sarei qui e se in fondo, da qualche parte, non ci credessi anche tu, non saresti qui nemmeno tu.


- Beh, allora ancora tanti auguri Kate... - Aveva chiesto al taxi di aspettarlo mentre era sceso per salutarla sotto casa. Si era avvicinato per darle un bacio sulla guancia, sorprendendola, ma poi lei lo aveva subito abbracciato, mostrando quasi un senso di necessità. Le aveva dato poi un altro bacio sulla fronte e Kate avrebbe voluto chiedergli di non andarsene, di non lasciarla sola, ma lui non si offrì di rimanere e lei non glielo propose.
- Non mi sarei nemmeno ricordata se non ci fossi stato tu. - Gli disse sinceramente mentre si appropriava degli ultimi istanti con lui.
- Sono venuto proprio per questo, per ricordartelo. - Le sorrise.
- Ci rivediamo presto? - Gli chiese speranzosa.
- A domani Beckett. - Le sorrise rientrando nel taxi.
- 'Notte Castle... - Rimase davanti al portone fino a quando il taxi non svoltò l'angolo.
Rientrata a casa fu tutto, di nuovo, più difficile. La stanchezza moltiplicò le emozioni e quel senso di oppressione appena fu sola tornò prepotente. Avrebbe voluto chiamarlo, chiedergli di tornare indietro, di non lasciarla sola ma sapeva che non era giusto farlo, non poteva pretendere di più, eppure già gli mancava. Prese il telefono per scriverglielo e trovò i messaggi di chi le faceva timidamente gli auguri per il compleanno. Si fermò a pensare a come aveva trattato in quei mesi i suoi amici e suo padre, quasi avessero avuto loro la colpa di quanto accaduto. Lesse tutti i messaggi con gli occhi lucidi, soprattutto quando arrivò a quello di suo padre: non lo aveva più visto né sentito da quella discussione di settimane prima. "Buon compleanno. Ti voglio bene. Papà": semplice, essenziale, come lui. Lo avrebbe chiamato, nei giorni successivi, non in quel momento. Non ce l'avrebbe fatta anche a sostenere un confronto con lui. Aveva solo bisogno di dormire. Dormire e non pensare, uno di quei sonni ristoratori artificiali.
Quando si svegliò la mattina dopo temette che fosse stato tutto solo un sogno. Probabilmente la sera prima aveva esagerato con le gocce perché quando si svegliò era già molto tardi per i suoi standard, anche per quelli della sua nuova vita ed il telefono aveva squillato più volte senza averlo sentito. Lanie, Amanda che probabilmente si chiedeva perché non si fosse fatta vedere al night e soprattutto Castle. Fu l'unico che richiamò perché era l'unico che voleva sentire.
- Ehy Beckett! Mi stavi facendo preoccupare, stavo quasi per venire da te. - Le disse con tono allegro ma non nascondendo una certa reale preoccupazione.
- Ehm sì... io... stavo dormendo. Scusa se non ti ho risposto.
- No, no... scusa tu se ti ho disturbato... ma ecco... non dormi mai fino a quest'ora...
- Già... ma... sai... quelle cose che prendo, mi fanno dormire di più del solito. - Non era una conversazione che voleva fare per telefono, quindi cercò subito di cambiare argomento. - Però, se vuoi, puoi venire anche se non sei più preoccupato.
- Ti passo a prendere per pranzo, va bene?
Le andò bene, anzi era anche troppo tardi per i suoi gusti. Quella era diventata nei giorni seguenti la loro routine, Pranzavano insieme ed ogni giorno andavano in qualche posto diverso. Sempre in giro, nonostante il clima impietoso in quel finire di novembre, però Rick sembrava volerla trascinare sempre in mezzo alla gente, voleva evitare di stare con lei, da soli, in qualche posto molto più confortevole e comodo dove poter parlare con calma. Kate non capiva se lo faceva per lei, per spronarla ad uscire o per se stesso ed evitare che tra loro si creasse una certa intimità. Erano magnetici, lo aveva sentito più volte, quando per vari motivi finivano per essere troppo vicini. Quando l'aveva abbracciata in una panchina a Central Park, quando erano in un ascensore troppo affollato e lei era praticamente appicciata a lui, quando aveva pianto sulla sua spalla, una delle tante volte che avevano affrontato quell'unico discorso in modo più specifico. Ne parlavano poco, però, e a piccole dosi e poi stavano spesso in silenzio, dandosi il tempo di metabolizzare tutto. Kate si stupì nello scoprire ogni giorno come anche Rick era in difficoltà, come lei, nel trattare alcuni aspetti di quella vicenda, come i loro dolori fossero molto più simili di quanto lei avesse mai immaginato.
Ogni giorno in quella settimana era stato uguale, ma per Kate era stata uguale soprattutto ogni sera, quando tornava a casa ed era di nuovo sola, quando lo salutava sotto il portone, tenendo la sua mano sempre un po' di più, rimanendo nel suo abbraccio sempre più a lungo, sperando ogni sera che le chiedesse se poteva salire con lei ed invece si limitava con i suoi "a domani" e lo aveva sempre mantenuto, c'era stato ogni "domani". Poi veniva la notte, di incubi e risvegli improvvisi, di ansia e panico, di dolore pianti ed allora ricorreva di nuovo a quel sonno artificiale che le faceva dimenticare tutto e le regalava qualche ora di oblio.

LifeWhere stories live. Discover now