☩ TRENTOTTO ☩

Comincia dall'inizio
                                    

Il riflesso nello specchio dell'essere

il pugno che riverbera nella mia mano

il respiro di Trevor sul mio

il sesso di Judith contro il mio

è tutto così sbagliato

come faccio a farmi desiderare?

La sua frustrazione è in un urlo, la sua incertezza negli occhi spalancati, la paura nel tremore del corpo, mentre con le pupille dilatate e il liquido nero e denso a colargli dal naso e dalla bocca atterra sul parquet: in un attimo il suo sguardo è sul suo riflesso; si staglia e si disegna l'immagine di ciò che non è, lo sguardo intimidito, l'incertezza negli occhi, quello sporco che la trafigge. Davanti a quello specchio, inginocchiata, si allunga in un destro, pronta a spaccarlo in mille pezzi, a non volersi guardare, a non voler accettare che odierà per sempre quella parte di sé e che la perderà per sempre. Delle braccia la bloccano da quel gesto avventato e la tirano via dallo specchio: Judith cerca i suoi occhi, prendendole il viso tra le mani.

-Michelle, riprenditi, per l'amor dei cavalieri! Che ti prende? – la sua voce è disperazione, gli occhi scuri e spalancati disegno del terrore che le fa venire il sudore freddo. Michelle si dilegua subito da quel tocco, le lacrime a renderle lucidi gli occhi, i capelli neri e scombinati, il liquido nero a scendere sul collo.
-Non toccarmi, non devi toccarmi, cazzo. – si tira le gambe al petto, avvolgendo le mani attorno alle spalle, facendosi piccola, furiosa con sé stessa. I suoi occhi sono vuoto, le sue mani tremore, il suo sguardo odio: Judith non l'ha mai vista così, e le mette addosso una paura e un'inquietudine che non prova da troppo.
-Michelle, - prova di nuovo l'amica, mettendo le mani davanti, come a rassicurarla che non vuole farle del male, che non è chi crede di essere. -Sono io, sono l'originale. Cosa senti? Non farmi preoccupare, per favore, sembrava stessi per diventare un'irrecuperabile.
-Non sento un cazzo, non toccarmi, sto bene. Sto bene, ho detto; è stato... solo un momento. Sto bene. – lo ripete più volte, a convincersi sia davvero così: inizia a pulirsi con le mani la bocca, il liquido è denso, viscido e appiccicoso, le si attacca alla pelle e le fa salire la nausea. Vorrebbe dimenticarsi di poter sentire il suo stesso corpo, vorrebbe essere amorfa e liquida, prendere la forma di tutto e deformarsi costantemente. Invece è davanti a Judith, non sa più in cosa credere, e ha le mani piene di quelle perdite, piene di quello che è e non può rifiutare di essere: una peccatrice, come tutti loro.
-È per Trevor? È successo qualcosa? Vuoi parlarmene-
-Ti ho detto che è stato solo un momento, cazzo! – si alza impacciata nella sua furia, le mani tremano, gli occhi cercano una via di fuga, qualunque cosa che possa trascinarla via da lì, lontana da quella voglia di vedere cosa resta di lei in quello specchio, di soffocarla per sempre. Le due stanno in silenzio, a guardarsi: Judith ancora inginocchiata, le mani ancora tese, come se potesse davvero salvarla da sé stessa; Michelle in piedi, le perdite una macchia densa e pesante sulle mani e sulle labbra, gli occhi iniettati di rosso, la paura di sentirsi in quel modo. Scuote la testa, sa che se continua così, se si fa prendere troppo da sé, spezzerà ancora di più il cuore della sua migliore amica.

-Ho solo, è stato un momento. Mi stanno succedendo tante cose nell'ultimo periodo-
-E quindi hai pensato bene di voler dare un pugno a uno specchio. – la riprende la donna per terra, sarcastica.
-Te l'ho detto: è stato un momento.
-Perché non mi dici mai cosa ti passa per la testa? – le domanda, esasperata. – Sono anni che tento di capirti, di starti dietro, di sperare che tu un giorno ti stringa a me e ti liberi da questa tua malattia che ti porta a non fidarti di nessuno. – sbotta, alzandosi, fronteggiandola con quegli occhi scuri che nulla hanno degli occhi neri di chi più la sta turbando. -Perché per una volta, una sola, non provi a capire che non voglio farti del male, che tutto quello che faccio lo faccio per te?! Quanto ti costa provarci? – sente il pianto salirle fino alla bocca della gola, deve mandare giù quel boccone amaro mentre Michelle la guarda, piccola e ferma, sembra quasi intoccata da quelle parole, come lo è sempre dalle parole di chiunque.
-Non lo dico perché non pretendo tu possa capirmi.
-Come posso provare a capirti se tu non me lo dici? – le due si guardano: gli occhi di Michelle fanno male solo a guardarli, e Judith non ci trova altro che un vuoto che in realtà ha sempre avuto paura di capire. La donna le sorride solo, chinandosi verso la sua borsa e prendendo le sigarette. Se ne fa passare una tra le labbra annerite, alzando lo sguardo verso la sua amica.
-Perché tu non hai bisogno di sapere nulla. Sono questioni mie, Judith; ti voglio bene, sarai per sempre mia amica. Ma arriva un punto in cui ti devi rassegnare, e fare sì che ogni cosa abbia il suo corso, come Desperado lo permette. Nulla di personale, s'intende.
-Tua amica? – mormora la donna, incredula, la gola secca, un mezzo balbettio tra le labbra. L'altra le sorride, e tutto riprende forma: è di nuovo lei, bella, sicura, indomabile e irraggiungibile dal piedistallo più alto di quel mondo che cade in pezzi.
-Mia amica, Judith. Sei mia amica; in fondo lo sei sempre stata. – si congeda così: non un saluto, o uno sguardo; è veloce nel movimento dei suoi tacchi, e si allontana da quella palestra, Judith ancora sconcertata dalla conversazione appena avuta, il silenzio che avvolge quell'aula vuota.

Quanto ti costa provarci?

Perché non puoi essere normale?

Perché non vuoi scoparmi? Sei solo una

Se ne sta in silenzio, alla panchina davanti l'entrata Dunis, la sigaretta spenta tra le labbra, la pioggia che le scroscia addosso: sa tutto di metallo, di sangue e di incertezza. Si guarda sulle mani quel poco che resta di quelle perdite, sente ancora le labbra appiccicose, il cielo sopra di lei è coperto da un grigiore talmente intenso che va a mescolarsi col nero, che ricopre i grattacieli, che rende tetre Morte e Conquista all'entrata del cimitero. Sorride, sbuffando appena dalle labbra, divertita nell'esasperazione di quei ricordi. Alza lo sguardo al cielo, chiudendo gli occhi, prendendosi tutta quella pioggia.

Sarebbe così facile, pensa. Non ricorda più dove ha sentito o letto quella frase, eppure sa che sarebbe così facile. Diventare liquidi, perdere tutto, ed essere nulla. La morte non è mai stata un'alternativa molto attraente per una persona che ha paura di morire come lei. Ha sempre preferito sentirsi come Conquista, su quel cavallo bianco, fiera e combattiva. In quei pochi mesi però si sono capovolte talmente tante carte che non riesce più a starci dietro. Apre appena gli occhi, concentrando lo sguardo su Morte: è nera, incappucciata, fatta di ossa e con una falce tra le falangi. Aspetta, paziente, che arrivi l'ora per tutti; perché alla fine è sempre il tempo, questo concetto astratto e senza definizione, che forgia la morte e la fine dell'esistenza. Si guarda le mani, e si chiede cosa sarebbe successo se avesse davvero spaccato lo specchio: cosa avrebbe perso di sé stessa, quanto sangue avrebbe perso dalle mani, quanto di sé avrebbe lasciato fluire via. Sarebbe così facile dimenticare di essere, eppure la sua memoria sembra non tradirla mai, nemmeno se fosse morta. Si chiede se Trevor ci abbia mai pensato a questo, se anche per lui sarebbe facile lasciarsi tutto indietro e morire. Poi però si risponde da sola: non lascerebbe tutto, nonostante il dolore che porta con sé; perché lui si sente ancora profondamente legato a qualcosa, ha ancora qualcosa per cui combattere, ha ancora una passione che lo fa sentire vivo, che lo fa sentire al posto giusto. In quei pensieri che la alienano una persona si siede accanto a lei, sotto quella pioggia incessante. Si volta a guardare, trovando accanto a lei il pastore della chiesa del cimitero. Sospira.

-Pastore.
-Peccatrice. Oggi è una bella pioggia, non crede? – commenta l'uomo, voltandosi a guardarla con quegli occhi vitrei. Lei torna con lo sguardo al cielo, chiude gli occhi, la pioggia lava via tutto quello che non sa ammettere.
-Se vogliamo definirla così.
-Quali pensieri lava via la pioggia?
-Nessun pensiero che riguardi l'Apocalisse, nulla di preoccupante. – l'uomo scoppia a ridere, ormai zuppo anche lui.
-Non è ancora arrivato il tuo momento, vero? – Michelle si volta a guardarlo, le sopracciglia aggrottate, le ciocche di capelli attaccate al viso.
-Come lo sa?
-Ah, è il sentore. Stai lottando per tenerti ancora ancorata a te stessa. È ancora più stressante quando tutti attorno a te l'hanno persa e tu stai appena iniziando il cammino, non è vero? – lui la guarda, come se potesse vederla davvero, e lei lo guarda, come se lui potesse sentire il suo sguardo addosso.
-Sono una peccatrice molto atipica io, pastore.
-Lo immaginavo. Persone atipiche richiedono situazioni atipiche, in fondo. Oppure no: Desperado gioca tanto con noi, - sospira – ci dà speranze e aspettative che non rispetta mai. Gioca continuamente e non sai mai quando arriverà il finale.
-Ah, il mondo è pieno di talmente tante storie che ormai pare quasi inutile credere a un finale. Poi il finale è sempre la morte, no? – i due stanno in silenzio dopo la domanda di Michelle, non sapendo bene cosa rispondere o anche solo dire.
-Torno in chiesa; vuoi ripararti?
-No, sono qui a posta.
-Non prendere un malanno. – si raccomanda solo, per poi andare via. Michelle resta sola su quella panchina, infila la sigaretta spenta tra le labbra, e un'altra perdita, una lacrima nera le scorre sulla guancia, silenziosa, sotto lo scrosciare forte della pioggia.

-Non morire, Michelle. – sussurra, guardando Morte. -ho già perso qualcuno di caro nella mia vita.

𝐃𝐄𝐒𝐏𝐄𝐑𝐀𝐃𝐎Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora