☩ DICIASSETTE ☩

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☩ D E S P E R A D O - CITTÀ D'OMBRE ☩XVIIUn mostro che viene dall'Inferno

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☩ D E S P E R A D O - CITTÀ D'OMBRE 
XVII
Un mostro che viene dall'Inferno

Sistema i fiori sulla tomba di quella donna, sedendosi su di essa: sta in silenzio per un po', a guardare il terriccio sotto i suoi tacchi, il cielo grigio sopra di lei, i cipressi verdi e alti che sormontano quel luogo, il silenzio che avvolge og...

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Sistema i fiori sulla tomba di quella donna, sedendosi su di essa: sta in silenzio per un po', a guardare il terriccio sotto i suoi tacchi, il cielo grigio sopra di lei, i cipressi verdi e alti che sormontano quel luogo, il silenzio che avvolge ogni centimetro di ghiaia, nelle piccole cappelle e fino all'oscurità soffocante degli ossari. Tiene la sigaretta spenta tra le labbra, lo sguardo è cupo e perso, le parole che ancora le vibrano nella bocca le fanno male e non vuole ammetterlo. Sospira, guardando per un attimo la foto di quella donna e rimettendo la sigaretta nella borsa; congiunge le mani.

-Mi manchi.
Non hanno mai venduto la tua casa, è giusto tu lo sappia. L'altra notte sono andata fin lì a bussare impazzita alla porta, sperando saresti uscita. Ma no, tu sei qui, come potresti uscire da quella porta, e farmi illudere che ci sia ancora qualcuno che tenga a me? – carezza con la poca dolcezza rimastale la foto -Qualcuno che mi possa far sentire la bambina che non sono mai stata? – sussurra, con un groppo in gola. Guarda le altre tombe vuote, prive di affetti e di fiori, e si chiede perché la gente sappia dimenticarsi così in fretta di chi perde.

-Sono ipocrita a dire che mi manchi, proprio ora che non mi è rimasto più nessuno. Sono ipocrita a odiare tutti, quando vorrei solo un sorriso, ma ricevo solo pietà; sono ipocrita a desiderare anche un solo misero e disperato abbraccio, e in realtà non ho la forza di sentirmi toccare, perché mi fa schifo, mi fa ribrezzo, mi fa venire i brividi, mi- - si interrompe, alzando gli occhi lucidi al cielo e attirando le gambe al petto, tremando appena: se solo ci pensa sente di svenire. Affonda il viso tra le ginocchia, restando in silenzio. Michelle cova in sé un dolore che non conserva parole: affonda lento le radici come affondano in quella tomba quelle degli alberi e dei fiori. Si sente ancora su quella superficie gelida, il rumore di quei tasti, lo sfogliare di quei fogli, quei camici, quelle cartelle, sono tutte immagini che le affollano la mente e arrivano a fargliela dolere.

-Perché hai voluto darmi una possibilità? – le chiede, con una disperazione rassegnata. -Perché mi hai dato anche tu l'illusione che potessi valere più di un fallimento? Perché mi hai dato l'illusione di tenere a me, quando poi alla fine chiunque mi lascia? Anche tu, vedi, te ne sei andata. Ora devo rincorrerti io, sperare che la pioggia non rovini troppo questa tomba. Tu ormai nemmeno sai più chi sono, non hai memoria, non hai nulla, sei vuota, proprio come me. Siamo vuote in modo diverso, e comunque ci assomigliamo. – sorride, ma quel sorriso le costa fatica, sa di tutta la sofferenza che prova a nascondersi ogni giorno: è così confusa, perché avrebbe dovuto perdere l'ombra per sempre, ma prova ancora integramente e con fervore ogni sentimento da non capirsi. -Tu saresti arrabbiata con Trevor, io lo so; non sei come quegli stronzi dei miei amici. – afferma, sicura. -Tu saresti arrabbiata come lo sono io, me lo sento. Non sei nulla per me, e anche in questo vuoto ci assomigliamo. Anche in questo vuoto, tu mi somigli, e non sei nulla per me. Non sono nulla per te. –

Resta in silenzio, seduta su quella tomba, ancora per un po': si avvolge meglio nel cappotto largo in pelle il corpo coperto solo da un vestitino leggero, batte il tacco sul terriccio, produce un rumore sordo, il silenzio di quel cimitero le dà fastidio: la fa sentire così sola, così disperata per una perdita che non ha mai saputo piangere.
-Vorrei non averlo mai incontrato: così gli avrei risparmiato tutto il mio odio. Io però il coraggio per dire queste cose, poi non lo trovo mai. – lascia un bacio sulle dita e lo riserva a quella foto, si alza e cammina lenta fuori dal cimitero, la croce sulle labbra, quel monito che ora più che mai le ricorda una minaccia, e si lascia alle spalle le statue di Conquista e Morte.

Si spoglia, per l'ennesima volta: talmente bella nessuno si stancherebbe mai di guardarle togliersi ogni strato di tessuto per rivelarne il corpo nudo; Michelle è invece annoiata, nemmeno quello le dà più il brivido dell'incertezza, o della trasgr...

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Si spoglia, per l'ennesima volta: talmente bella nessuno si stancherebbe mai di guardarle togliersi ogni strato di tessuto per rivelarne il corpo nudo; Michelle è invece annoiata, nemmeno quello le dà più il brivido dell'incertezza, o della trasgressione: è un lavoro, come tanti altri, vuoto come tutti gli altri. Quell'uomo resta in contemplazione, silenzioso e avviluppato dal senso che solo Michelle sa dare del suo corpo nudo: è un'ossessione, un'immagine che insegue per sempre, la dannazione e la salvezza dell'anima. Si complimenta, di quel corpo che lei sente vuoto, di quell'oggetto che continua a curare, di quello strumento che non vale nulla per nessuno se non del denaro. Quella ringrazia con tono ammiccante e seducente, indossa la vestaglia ed esce fuori, torna nei camerini e le musiche del Dawn le rimbombano fino alle orecchie. Si siede sulla sedia davanti la sua toeletta, sospirando e iniziando a struccarsi: guarda i dischetti di cotone sporchi di trucco, poi alza lo sguardo sul suo volto: è così bella che le fa male al cuore, così bella che sa si innamorerebbe di lei in un secondo, ma poi resta solo questo. Lei si innamorerebbe solo di ciò che vede, ma sarebbe disposta a restare una volta vista nella sua interezza? Michelle sorride, amara: conoscendosi no, non resterebbe, perché a lei non importa nulla di nessuno, e allora quello diventa il suo riflesso, e a nessuno importa davvero di lei, e tutto è di nuovo vuoto e nullo. È una peccatrice atipica in fondo: e le persone atipiche son quelle che poi hanno un senso di derealizzazione di sé stesse, una lontananza dal corpo e dallo spirito che diventa una fame impossessarsi delle anime di chiunque altro.

-Ah, Michelle, tu sei un mostro che viene dall'inferno. – esordisce l'individuo originale di Judith, intenta a struccarsi anche lei: la donna quasi si risveglia da quei pensieri, guardandola smarrita. Judith sorrise nostalgica. -Ci pensavo spesso, quando mi sono resa conto di amarti: che sei un mostro che viene dall'inferno, tu sei tutto l'inferno che c'è dentro Desperado. Ma Desperado non può fare a meno di un inferno come te, e per questo non raggiungeremo mai la Gerusalemme Celeste.
-Già, me ne sono accorta. – commenta sarcastica, lei. -Non l'ho chiesto io, però. Io non ho chiesto nulla, eppure sono confinata qui, senza possibilità di uscita. È come quando ti concepiscono, ma nessuno ti ha chiesto se tu voglia davvero venire al mondo: non puoi dirlo e quindi si avvalgono della facoltà di farti nascere, come se fosse un miracolo. Ma nascere è il peccato originale, quello che non ti toglierai mai di dosso. – morde le labbra, non vuole dire altro, poi però sospira. -Judith, in tutto quell'amore, tu mi hai voluta bene? Bene davvero? – e Judith per un attimo sembra cedere, a guardarla così. Poi chiude la boccetta di struccante, abbassa lo sguardo e sorride.
-Non lo so, Michelle; ho sepolto quell'affetto in fondo al cuore, non penso tu possa meritarlo di nuovo dopo tutto quello che mi hai fatto.
-Non ti ho fatto niente.
-Già, non mi hai fatto niente: tu però ti sei fatta di tutto; e quello l'hai riflesso sugli altri. Forse non ti ho mai voluta bene davvero, ma un po' alla fine sono riuscita a capirti: e tu esasperi tutti come esasperi te stessa. Anche i tuoi gesti sono il riflesso di ciò che sei. Chiediti se tu ti vuoi bene, e non se ti ami e basta. – la lascia da sola nel rumore dei suoi tacchi, in silenzio in quel camerino. Lei si toglie i tacchi vertiginosi, buttandoli sul pavimento, attirando le gambe al petto, si fa piccola su quella sedia. Ricomincia a sentire le mani di chiunque addosso: la pelle inizia a prudere e bruciare, il petto inizia a chiudersi e sente il respiro mancarle, cerca di controllare il panico stringendo i denti, le mani ridotte a un pugno stretto ed esasperato: ha bisogno di un bagno gelido in cui dimenticarsi tutto, in cui sentire i battiti del cuore scendere fino a farla sentire sospesa tra la vita e la morte. O forse, più di tutto, è il riflesso del desiderio di cui più si vergogna: sentirsi ancora stringere, per un'ultima volta, tra le braccia di Trevor; questo però sembra solo un desiderio lontano, che così distanti come sono, non ha nemmeno più senso pensare o volere.

𝐃𝐄𝐒𝐏𝐄𝐑𝐀𝐃𝐎Where stories live. Discover now