☩ TRENTASEI ☩

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☩ D E S P E R A D O - CITTÀ D'OMBRE ☩XXXVIIl Delitto e il Castigo

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☩ D E S P E R A D O - CITTÀ D'OMBRE 
XXXVI
Il Delitto e il Castigo


☩ D E S P E R A D O - CITTÀ D'OMBRE ☩XXXVIIl Delitto e il Castigo

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Guida per quelle che gli sembrano ore. Non sa dove nascondersi, né dove ritrovarsi: sente ancora tra le braccia il corpo della sua Ombra, sente il suono dei suoi rantoli, sente la carne e il sangue sulle nocche rovinate dai troppi colpi. Ha quel liquido nero che non accenna a scrostarsi, resta appiccicato lì, testimonianza tangibile del suo peccato. Pensa già a cosa ne sarà di lui dopo: deve andarsi a costituire, deve confessare il reato, deve scontare la penitenza, non ha importanza fosse sé stesso: lui ha ucciso un uomo. Un uomo che gli ha fatto perdere il controllo, che gli ha tolto la terra sotto i piedi, ogni certezza, ogni speranza, ogni desiderio di poter sentirsi migliore – lui gli ha fracassato la testa di pugni in preda all'esasperazione, alla disperazione, alla paura – perché anche se si ama quanto si odia, Trevor Ward non ha mai avuto paura di nessuno come ne ha di sé stesso. Parcheggia nel parcheggio vuoto dell'Apocalypse, tira un respiro così forte che ha paura di aver dimenticato per minuti interi di respirare. La pioggia batte incessante contro i finestrini della macchina, e lui chiude solo gli occhi, rilascia un sospiro, si abbandona con la testa sul sedile, il motore spento e ancora caldo, la fronte imperlata di sudore, il cuore che batte ancora folle fino alla gola.

È tutto finito. Sì, non c'è catarsi questa volta: non c'è modo di riparare all'errore, in alcun modo. Come potrà mai riabilitarsi dopo ciò che ha fatto? Faticava ad accettare l'esistenza della sua Ombra, e ora dovrebbe anche accettare di averla uccisa con le sue mani? Le sue mani, che hanno sempre avuto paura di toccare, di muoversi, di tentare; le sue mani, il suo lavoro, il talento, e le mattine passate in palestra – è a questo che son servite? A uccidere una parte di sé senza alcun ripensamento? In preda a un crollo mentale, alla completa follia? No, non è possibile, quel pugile non si reputa folle: lui è lucido, sosta lì il problema: nella lucidità delle sue azioni, nella volontaria intenzione di non smettere, di non fermarsi, e colpire, colpire, un colpo dopo l'altro, un pugno dopo l'altro, un grido dopo l'altro, fin quando non ha compiuto il peccato mortale e imperdonabile. Abbassa lo sguardo alle mani e gli sale un conato di vomito: ha ucciso un uomo con quelle mani, ha riempito di pugni fuori da un ring un uomo, e non si è fermato. Inizia a chiedersi dove finisca l'uomo e dove inizi la brutalità che gli appartiene: si chiede se, così esasperato, sarebbe arrivato a farlo sui suoi genitori, sui suoi colleghi, su Sylvia, su Michael, su Michelle – gli salgono i brividi e la febbre solo a pensarci, si sente bruciare dalla testa ai piedi, il senso di colpa è un sentimento febbrile che lo estrania e gli monta una paura addosso di star per diventare pazzo, in preda a un delirio impossibile da curare. È questa l'irrecuperabilità? Sono un irrecuperabile? Ma lui è certo di non aver ucciso perché non aveva ancora accettato di aver perso l'Ombra: stava riuscendo a farsi scivolare addosso quella consapevolezza. Allora perché ha ucciso? Perché è lì, ricoperto fino agli avambracci di liquido nero, in quel posto di merda da cui non può più uscire? Perché ha dovuto uccidere la sua metà perfetta se non la stava facendo impazzire, perché la sua Ombra ha dovuto esasperarlo, minacciarlo, picchiarlo alla morte? Perché si è voluto fare questo?

Si dice che forse sì, la sua Ombra ha sempre avuto ragione: il suo sogno era farla finita, in ogni istante in cui non si è sentito abbastanza, in ogni istante in cui tutti lo hanno attraversato senza lasciargli nient'altro che vuoto. E ora, ora che è lì, vivo, che dovrebbe aver vinto il suo dubbio filosofico e umano, in realtà non ha risolto niente: è al fosso più oscuro della terra, con il peccato disegnato addosso, con la colpa e il delitto che ora lo macchiano, il castigo che si impone rinchiuso in quell'abitacolo, nascosto da Desperado. Si racchiude solo in sé stesso, sa già cosa dovrà fare, ma vuole rimandare quel pensiero: ora tira solo le gambe al petto, si rinchiude in sé stesso come dieci anni prima, e scoppia in pianto – un pianto antico, che racconta di una vita distrutta. 

𝐃𝐄𝐒𝐏𝐄𝐑𝐀𝐃𝐎Where stories live. Discover now