☩ TRENTACINQUE ☩

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☩ D E S P E R A D O - CITTÀ D'OMBRE ☩XXXVIl Peccato finale

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☩ D E S P E R A D O - CITTÀ D'OMBRE 
XXXV
Il Peccato finale


Michelle sente il freddo raggiungere i nervi distrutti del cervello, destabilizzandola sui piedi: guarda scioccata la scena, si sente irreale, sconvolta da ciò che si è appena consumato

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Michelle sente il freddo raggiungere i nervi distrutti del cervello, destabilizzandola sui piedi: guarda scioccata la scena, si sente irreale, sconvolta da ciò che si è appena consumato. La pioggia inizia a rivestire il parcheggio illuminato a tratti dai lampioni, poco lontano le luci al neon del Dawn, le figure in penombra dei Cavalieri che osservano silenziosi il tutto, immersi nell'odore metallico di quella pioggia.

Trevor smuove più volte il corpo privo di vita della sua ombra: singhiozza, il volto coperto di lacrime e gli occhi sgranati, gli agita il viso, lo scuote appena, abbandonato com'è tra le sue braccia.
-Trevor? Trevor? Rispondimi, ti prego. Rispondimi, ti prego, Trevor, mi dispiace, Trevor, mi dispiace, - inizia a gemere, disperato, stringendo la sua metà al petto, il capo tumefatto di quello contro il petto dell'uomo scosso dai singhiozzi.
-Trevor rispondimi, ti prego, - un singhiozzo gli porta via un altro verso di dolore, -mi dispiace, ti prego, mi dispiace, non volevo farti del male, mi dispiace; ti prego rispondimi, ti prego, ti prego, lo so che ho sbagliato tutto, ma ti prego, ti prego, - quelle preghiere sono interrotte dai singhiozzi, dai forti inspiri col naso, dal pianto che lo devasta e il dolore che lo ha pervaso in un attimo, -Ti prego, rispondimi, io non volevo farti male, io non volevo, non volevo, io non sono questo, io sono solo un pugile, io sono solo un uomo ma ti prego Trevor rispondimi, - gli accarezza gentilmente il viso, gli occhi gonfi di lacrime e la speranza che lo lascia, -Ti prego, ti porto in ospedale, lì ti medicano, io ti odio, lo so, ma ti amo anche, Trevor perdonami, ma resta qui, resta con me, perché cosa sono se non ti ho qui con me? – Trevor però, abbandonato tra le sue braccia, non gli risponde, gli occhi vitrei e spalancati, rivolti al cielo piovoso e oscuro di Desperado. Il suo corpo da materia tramuta in non-materia, ritorna lento all'origine: liquido nero che si permea sulle braccia del suo individuo originale, la macchia del peccato, la macchia di un perdono che non può essere concesso. Il pugile guarda quell'Ombra sparire tra le sue mani, scivolare lento in liquido nero che finisce sulle sue mani, sui suoi avambracci, sull'asfalto, mischiandosi alla pioggia. Michelle risucchia il respiro, coprendosi la bocca con la mano, le lacrime agli occhi e lo sgomento di quella vista.

Trevor Ward guarda il liquido che gli è rimasto appiccicato addosso, la sua Ombra che è svanita in un soffio, il peccato che ha commesso, e sgrana gli occhi, gridando con tutta la voce rimasta un urlo di terrore che spezza l'aria di quiete di quella Città d'Ombre, che scoppia in tempesta. Si rialza, tremante, continua a guardarsi le mani, disperato, per poi alzare lo sguardo verso Michelle – lei lo guarda con le lacrime agli occhi, sconvolta.

-Cosa hai fatto? – domanda con voce spezzata.
-Cosa ho fatto? – si domanda lui, urlando ancora a gran voce, disperato: è impossibile, nulla di quello è reale, fino a un istante prima la sua Ombra era reale, era lì davanti a lui, in piedi e invincibile, e lui l'ha uccisa. Lui ha ucciso un uomo, uccidendo sé stesso. Michelle prova ad avvicinarsi, supera la paura di quel momento, cerca di riprendere lucidità, ma Trevor si fa indietro, terrorizzato.
-Stai lontana, ti prego stai lontana, - la prega, spaventato, sotto lo sconforto di lei.
-Trevor, fatti aiutare, per favore.
-Chi devi aiutare?! Un assassino?! Stai lontana, ti prego! – urla tra le lacrime, scuote la testa, si sente impazzire, sente che morirà da un momento all'altro, sente che il respiro gli mancherà sempre più, che il cuore scoppierà dalla pressione troppo alta: corre alla macchina sotto la pioggia incessante, le urla di Michelle che lo pregano di fermarsi.

Si chiude nell'abitacolo, respira affannoso, ha paura, non ha più senso di sé stesso, ha il cuore che gli batte fino alle orecchie, il sudore freddo sulla fronte, non si sente capace di sentirsi o di capirsi o di percepirsi in quella dimensione in cui ha distrutto tutto, dal principio alla fine. Accende il motore della macchina, sfrecciando il più in fretta possibile lontano da lì.

Solo in quel momento realizza. Il non sapere, il non volere, il non accettare: questi sono i flagelli dell'uomo.
Trevor ha sempre pensato di sapere tutto dal principio. Se lo ricorda perfettamente, mentre adesso stringe forte tra le mani il volante ruvido, è il suo ultimo appiglio, assieme al piede schiacciato contro l'acceleratore fino a farlo soffocare, mentre soffoca anche lui. Svolta a sinistra, le luci di Desperado ora sembrano accecarlo, nel chiaroscuro ad intermittenza tra i lampioni e il buio della notte distingue appena il colore nero di quel liquido nero: è terribile, non ha odore, gli si attacca solo alla pelle, sembra volerlo far pentire di tutto. In fondo, non ha mai sofferto per il suo sangue per le labbra spaccate troppe volte o i pugni troppo forti – ma adesso, adesso è tutto così diverso, perché quel sangue non è affatto suo, anche se gli appartiene ancora. Il respiro forte e troppo veloce rimbomba tra i finestrini chiusi della macchina, il motore della sua macchina sfreccia tra quelle strade vuote, i suoi occhi si muovono rapidi da una parte all'altra della strada: cerca un alibi, una giustificazione, qualsiasi cosa che possa scagionarlo davanti a sé stesso. Il sudore freddo gli irradia le tempie, gli comprime il petto e lo fa rabbrividire, ma la presa sul volante non si allenta, le nocche screpolate diventano ancora più bianche: sanno del suo malessere, sanno dei suoi ricordi, degli errori che continua a compiere. In mezzo a quelle case e quelle strade che non sanno di niente per lui, prova a cercare una via di uscita, l'evasione, la libertà; ma non c'è libertà per chi tenta di fuggire da qualcosa che non può essere evitato.

Le strade deserte accolgono la pioggia. È tutto così buio, e freddo, e silenzioso, se non fosse per il ticchettare delle goccioline sulla strada, sulle prime pozzanghere, sui finestrini delle macchine – se non fosse per il rumore di quel motore che sfreccia tra quelle strade senza una vera meta. Un'intera cappa di nuvole avvolge la Città d'Ombre, un luogo che l'uomo nella macchina vuole non vedere mai più. Prova a gridare nello spazio di quei finestrini già pieni dei suoi respiri, ma nessuna voce esce della sua bocca, continua solo a guidare, più forte che può, continua ad aggrapparsi alle poche cose che gli restano, a quelle che lo fanno ancora sentire vivo.

Ha sempre pensato di sapere tutto, dal principio. Ha sempre pensato che qualsiasi luogo e qualsiasi essere sarebbe stato semplice: ma ora che Desperado lo divora e il suo stesso essere lo ripudia, non è più sicuro di niente. Vorrebbe solo un posto in cui dimenticare tutto, in cui dimenticare anche sé stesso. Stringe i denti e le lacrime cadono lungo le guance; una sola domanda adesso gli tortura la mente, si ripete lungo le pareti del suo cranio, fino a farlo scoppiare, fino a fargli ripensare a tutto, per capire quale sia stato l'errore – anche se si sa che l'errore, molte volte, è proprio partire e infine perdersi:

come scappo da me? Come scappo da tutto questo? Dal riflesso marcio del mondo, che altro non è che il riflesso marcio di me stesso, che io stesso ho strappato via dal mondo?

Terence arriva al parcheggio correndo, trafelato, trovando lì ferma Michelle, sola. Impallidisce, richiamandola subito.
-Dov'è Trevor? – quella deglutisce, sentendosi mancare, iniziando a perdere liquido nero dagli occhi, sotto lo sguardo sconvolto di Terence.
-L'ha uccisa.
-Cosa?!
-Ha ucciso la sua Ombra. – si volta a guardarlo, gli occhi iniettati di sangue e di nero, le lacrime sul viso bagnato dalla pioggia. -Ha ucciso sé stesso.

𝐃𝐄𝐒𝐏𝐄𝐑𝐀𝐃𝐎Where stories live. Discover now