Life

By nikita82roma

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È la mattina del funerale di Montgomery. Kate si sta preparando per andare al distretto dove si incontrerà co... More

UNO
DUE
TRE
QUATTRO
CINQUE
SEI
SETTE
OTTO
NOVE
DIECI
UNDICI
DODICI
TREDICI
QUATTORDICI
QUINDICI
SEDICI
DICIASSETTE
DICIOTTO
DICIANNOVE
VENTI
VENTUNO
VENTIDUE
VENTITRÈ
VENTIQUATTRO
VENTICINQUE
VENTISEI
VENTISETTE
VENTOTTO
VENTINOVE
TRENTA
TRENTUNO
TRENTADUE
TRENTATRÈ
TRENTAQUATTRO
TRENTASEI
TRENTASETTE
TRENTOTTO
TRENTANOVE
QUARANTA
QUANTANTUNO
QUARANTADUE
QUARANTATRE
QUARANTAQUATTRO
QUARANTACINQUE
QUARANTASEI
QUARANTASETTE
QUARANTOTTO
QUARANTANOVE
CINQUANTA
CINQUANTUNO
CINQUANTADUE
CINQUANTRÈ
CINQUANTAQUATTRO
CINQUANTACINQUE
CINQUANTASEI
CINQUANTASETTE
CINQUANTOTTO
CINQUANTANOVE
SESSANTA
SESSANTUNO
SESSANTADUE
SESSANTATRE
SESSANTAQUATTRO
SESSANTACINQUE
SESSANTASEI
SESSANTASETTE
SESSANTOTTO
SESSANTANOVE
SETTANTA
SETTANTUNO
SETTANTADUE
SETTANTATRE
SETTANTAQUATTRO
SETTANTACINQUE
SETTANTASEI
SETTANTASETTE
SETTANTOTTO
SETTANTANOVE

TRENTACINQUE

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By nikita82roma

Lanie guardò Kate rientrare a casa e sbattere con forza il portone i cui vetri tremarono, così come l'anima della dottoressa. Odiava essere dura con Beckett, ma la sua amica non aveva più bisogno di essere compatita, ma scossa. Eppure andò via da lì con la sensazione che nemmeno quello potesse fare effetto.

Esposito la aspettava in macchina dietro l'angolo, non aveva voluto che andasse da sola, ma si era tenuto in disparte, per farle parlare senza intromettersi.

- Allora?

- Non ci hai sentito? - Chiese lei ironica.

- Beh, veramente qualcosa... - Ammise lui.

- Ecco, così. Non si smuove.

- Sei sempre convinta che lo vuoi fare? - Chiese l'ispanico.

- Sì. Sono sicura che chiamare Castle sia l'unica soluzione.

Aveva controllato l'orario, era tardi anche per l'Europa, ma non le importava, se dormiva lo avrebbe svegliato. Castle, però, non stava dormendo. Era ancora immischiato in una lunga cena cominciata tardissimo. Il mercato spagnolo era solo una fetta di quello che aveva appena aperto con la traduzione in castigliano dei suoi libri, c'era gran parte del Sud America ad attenderlo e Gina stava già pensando ad organizzare una tournée anche lì, per l'anno seguente. Richard Castle anche in Europa riusciva a conquistare tutti con il suo fascino innato. Si preoccupò quando sentì squillare il cellulare, fece un rapido calcolo e si accorse che a casa era l'alba. Quando vide apparire sullo schermo il nome di Lanie la sua preoccupazione aumentò e scusandosi si allontanò dagli altri commensali uscendo fuori sulla veranda di quel ristorante ancora rumoroso.

Aveva ascoltato tutto quello che Lanie aveva da dirle, senza interromperla, annuendo solamente, aveva subito il racconto di quello che Kate stava facendo a se stessa e agli altri, della loro discussione, di quella avuta con Jim che aveva chiamato la dottoressa per chiederle di star vicino a Beckett che però non lo permetteva a nessuno. Ogni parola per Rick era come ricevere un pugno in faccia e solo alla fine parlò anche lui.

- Cosa vuoi che faccia io dottoressa? Kate non mi vuole nemmeno parlare.

- Ti ha cercato Rick! Lo so, me l'ha detto Jim che ha parlato con tua madre. Sei l'unica persona che ha cercato. Kate si sta distruggendo, solo tu puoi disinnescarla.

- Io... farò il possibile.

L'aveva salutata con quella promessa. Fare il possibile e lui era certo, avesse potuto, glielo avesse permesso, avrebbe fatto qualsiasi cosa. Si rese conto che quei seimila chilometri di distanza non erano abbastanza per impedire al suo cuore e alla sua mente di voler stare con lei, che il vuoto che sentiva dentro non lo avrebbe colmato né con il lavoro, né con le feste, né viaggiando, perché quello che le mancava era il vuoto di lei. Viveva con la il rimorso di non aver mai fatto abbastanza, di non aver lottato quanto avrebbe dovuto fare, di non aver insistito. Era come se si fosse dimenticato di chi fosse Kate Beckett, di come doveva scardinare le sue difese. Invece lui si era messo in disparte, l'aveva assecondata per non forzarla e così lei si era chiusa sempre di più a tutti. Lui se ne sentiva responsabile, sapeva che era anche colpa sua. Le aveva promesso che ci sarebbe sempre stato, che non l'avrebbe mai lasciata ed invece alla prima occasione si era arreso alla sua volontà sbagliata. Lui lo sapeva che sbagliava ma non era stato abbastanza forte da combattere per entrambi. Ora non sapeva se lo era, ma sapeva che non poteva lasciare che Kate si distruggesse, perché quello voleva dire che si sarebbe distrutto anche lui. Poteva accettare che Kate non stesse con lui, che fosse un giorno felice altrove, con qualcun altro. Non poteva accettare che Kate si annientasse.

Non si era accorto da quanto tempo mancava dal tavolo. Era rimasto a guardare il panorama fuori dalla terrazza e si godeva quel clima ancora mite nonostante fossero a metà novembre. Era più di un mese che mancava da New York.

- Castle, c'è qualche problema? - Gina lo aveva raggiunto poggiando amichevolmente un braccio sulla sua spalla mentre lui era appoggiato sul muretto del terrazzo.

- In realtà sì...

- Alexis? Sta bene? - Gina aveva visto crescere la figlia di Castle, la conosceva da quando era molto piccola ed aveva vissuto con loro per alcuni anni. Essere sposata con Rick aveva voluto dire inevitabilmente esserlo con la sua famiglia, di cui Alexis era il centro e sebbene non avesse mai amato i bambini, a lei era rimasta sinceramente affezionata.

- No, lei e Martha stanno bene... è Beckett...

- Le è successo qualcosa?

- No... ma... non sta bene. Mi hanno chiamato adesso e io non so, ma Gina, io devo tornare a New York.

- Rick, mancano poco più di due settimane...

- Gina, per favore. Non posso. Ti pagherò tutte le penali, non mi importa, ma devo tornare a casa.

- Finiamo questi giorni qui in Spagna? Ti prego Castle, questo me lo devi. Poi per il resto vedrò cosa fare.

- Grazie. - le disse sinceramente.

- Rick... Da quello che mi hai detto Beckett nemmeno ti parla. Tu sei disposto a pagare penali per diverse decine di migliaia di dollari per tornare a New York e magari lei non ti vorrà nemmeno vedere? Ne sei sicuro? - Gli chiese la sua editor veramente dubbiosa.

- Sì, ne sono sicuro.

- È la tua vita, Castle, e la tua carriera...

Lo lasciò con i suoi tormenti sulla terrazza mentre lei tornò dentro ad intrattenere e scusarsi con i loro ospiti. Ormai Rick aveva solo cominciato il suo conto alla rovescia per tornare a casa.

Le parole di Lanie avevano provocato uno squarcio in Kate che però continuava a colmare nel modo sbagliato, perché era più facile, perché pensava che fosse l'unico modo che avesse in quel momento, perché non vedeva un futuro e non pensava al presente. Non aveva cambiato le sue abitudini dell'ultimo mese, anzi osava sempre più, vestiti più corti, alcool più forte, balli più audaci, il tutto per provare ad annullarsi, ma era sempre troppo lucida per riuscire a farlo. Se ne accorse una sera quando declinò con decisione di farsi una tirata, perché poi sì, che sarebbe stata meglio. Per un momento si guardò intorno, chiedendosi cosa ci facesse lì, con quella gente, con la quale in un recente passato avrebbe condiviso lo spazio al massimo in sala interrogatori. Ma lei non era più quella, doveva togliersi queste cose dalla testa, così prese un altro drink e ricominciò a ballare.

Castle la vide, proprio come aveva detto Lanie. Era appena tornato in città, non si era nemmeno cambiato, arrivato al loft aveva salutato sua madre e sua figlia e poi aveva chiamato la dottoressa per farsi dare l'indirizzo esatto e lo aveva raggiunto subito. Aveva detestato quel posto già dalle luci dell'insegna all'esterno. Era quanto di più lontano ci fosse da lei e questo gli diede la misura di quanto lei fosse lontana da tutto, lontana dal mondo e da se stessa.

Kate era su quel tavolo, una specie di palco improvvisato. Ballava, si muoveva, si strusciava su mani che non sapeva di chi fossero. Aveva sempre gli occhi chiusi, anche quando diceva qualcosa che nel rumore del locale non sentiva, tra il frastuono del vociare smodato e la musica ad alto volume. Si era voltata, abbassata in modo fin troppo provocante ed esplicito, a prendere un altro bicchiere di qualcosa, sicuramente troppo alcolico, qualsiasi cosa fosse.

Era lei, ma la riconosceva solo perché sapeva a memoria ogni particolare curva del suo corpo che aveva conosciuto per poco tempo ma era indelebile in lui. Non era lei nei modi, negli atteggiamenti in nulla di tutto il resto. Non era lei che beveva avidamente non curandosi del liquido che scivolava dalle labbra sul seno stretto in un corpetto nero, e con le dita lo catturava e poi le leccava provocando uno di quegli uomini lì sotto che la guardavano con la bava alla bocca, sotto la gonna troppo stretta perché si vedesse qualcosa. Ma lei sapeva come stuzzicarli e lo faceva. Lui l'aveva sempre trovata eccitante e provocante, soprattutto nel suo modo inconsapevole di esserlo, invece lì lo accentuava, calcava la mano su qualcosa che lui non conosceva di lei.

Poi Kate si accorse di lui. Aprì gli occhi un attimo e lo vide, così diverso in quella folla, come se avesse un riflettore puntato addosso. Vide la sua faccia triste e disgustata, almeno così le sembrava, ed improvvisamente provò vergogna di se. Provò ad andarsene a scendere da lì, ma uno di quegli energumeni lì sotto non ne aveva abbastanza di lei e le sbarrò la strada obbligandola a rimanere su quel tavolo, improvvisamente a disagio e impacciata. Riuscì con la forza a farsi spazio e ad andarsene, tra fischi ed insulti, ma tra quella gente e quei tavoli si sentiva in trappola e sempre più braccata dallo sguardo di Rick che le si avvicinava. Finse indifferenza, sedendosi su uno degli sgabelli del bar, ordinando un altro drink e bevendolo di getto, sperando che l'alcool facesse effetto e lo facesse sparire. Fece apparire, invece, un ragazzo. Lo aveva già visto in quel luogo, fin troppo da vicino, non sapeva chi fosse o il suo nome. Le propose un altro giro e prima che accettasse aveva già il bicchiere pieno e lui che la incitava a bere con poca gentilezza.

- Che ne dici se tu ed io ci andiamo a divertire un po' dolcezza? - Le propose il ragazzo che doveva aver interpretato il suo silenzio per un sì e stava provando ad insinuare la mano, risalendo la coscia, sotto alla sua gonna. Poi Kate sentì che si fermò all'improvviso.

- Hey amico, mettiti in fila. - disse il tizio a qualcun altro e solo quando Kate alzò lo sguardo dal bicchiere si rese conto che era Castle che non considerava per niente il ragazzo ma la guardava addolorato. Approfittò per alzarsi ed andare via.

- Hai visto cosa hai fatto, l'hai fatta scappare! - gli urlò contro il ragazzo mentre Rick si faceva largo tra la folla per raggiungere Kate.

- Beckett! - La chiamò quando era in un punto più tranquillo del locale.

- Vattene Castle. - Gli gridò contro.

- No. Non me ne vado stavolta.

- Cosa vuoi da me? - Le venne un grido afono che a Castle fece ancora più male.

- Kate andiamo via. - Si lasciò avvicinare vinta da se stessa. Lasciò che lui le mettesse la sua giacca sulle spalle e lei si coprì più che poteva, vergognandosi di se stessa.

Rick prese dal guardaroba la giacca e la borsa di Kate, insieme al suo cappotto.

- Non dovresti guidare in questo stato - le disse una volta fuori.

- Non ho la macchina. Prendo un taxi.

- Andiamo, ti accompagno a casa.

Kate annuì e lo seguì fino alla sua auto, senza riuscire ad entrare. Vide se stessa seduta lì, quasi senza conoscenza, sentiva tutto ovattato e le immagini diventavano sfocate, come la voce di Rick che la pregava di resistere. Le sembrò passata una vita ma il dolore e la paura li ricordava alla perfezione perché non se ne erano mai andati come quel senso di vuoto che non riusciva ancora a riempire con nulla. Portò le mani sul suo ventre, incrociando le dita, stringendosi forte da farsi male e sentì le gambe cedere e contemporaneamente la stretta forte di Castle che la sosteneva. Sentì il suo respiro rotto, il suo profumo intenso e si voltò verso di lui. Vide il suo viso illuminato da un lampione rigato dalle lacrime. Si lasciò andare contro il suo petto, sprofondando nel suo cappotto morbido di lana e cashmere e sentì anche il suo volto era bagnato. Pianse per la prima volta dopo mesi. Piangeva ed ora non riusciva più a fermarsi, come se le sue dighe emotive si fossero rotte e lasciasse andare tutto quello che aveva accumulato nei mesi precedenti. Pianse di un pianto disperato, di quelli che non hanno consolazione, tra le braccia di Castle che la proteggeva con il suo corpo, avvolgendola, nascondendola da occhi indiscreti che passando in quella notte osservavano quella scena curiosi. Pianse con singhiozzi, lamenti e strazianti "no" e "perché" urlati al suo petto un dolore che per mesi non aveva trovato sfogo e via d'uscita, un dolore che cresceva e si accumulava, con il quale pensava di riempire il senso di vuoto che aveva dentro. Dopo mesi Rick non sapeva ancora che fare, non era ancora pronto a sostenere il suo dolore ma pensò che non doveva fare niente, solo esserci e lasciare che lei si sfogasse. Aveva pensato che sarebbe stato diverso, che quel momento lo avrebbero vissuto da soli, protetti da quattro mura amiche, molto tempo prima. Invece raccoglieva il suo dolore in mezzo ad una strada tra qualche sorriso malizioso e qualche frase poco compassionevole di chi passava, con il vento dell'inverno che cominciava a tirare più forte che niente aveva in comune con quello caldo di quella notte d'estate quando era andato via da casa sua, ma il freddo dentro era lo stesso.

Castle si rese conto in quel momento che anche il suo dolore non era mai passato, che non era riuscito, nonostante ci avesse provato, ed avesse ricominciato una vita normale, a metterlo via, in un posto specifico del suo cuore. Era una ferita che sanguinava sempre.

Kate si staccò da lui dopo un tempo imprecisato. Nessuno avrebbe potuto dire se fosse stato troppo o troppo poco, perché non c'era modo di quantificare quanto tempo avesse bisogno. Se avesse voluto lui avrebbe aspettato l'alba con lei su quel marciapiede aspettando che smettesse di piangere.

La luce del lampione faceva sembrare cristalli le lacrime sul volto di Beckett con quel trucco troppo marcato che si scioglieva tracciando righe nere sulle guance che creavano una maschera di cupo dolore. Castle avrebbe voluto asciugargliele ma non lo fece, perché era convinto che lei dovesse viverle fino in fondo, sentirle, farsi bagnare il viso e l'anima dal quel pianto trattenuto per troppo tempo.

- Portami a casa, per favore. - Lo supplicò senza nascondere che aveva cominciato di nuovo a piangere in silenzio, con la voce rotta dai singhiozzi.

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