Life

By nikita82roma

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È la mattina del funerale di Montgomery. Kate si sta preparando per andare al distretto dove si incontrerà co... More

UNO
DUE
TRE
QUATTRO
CINQUE
SEI
SETTE
OTTO
NOVE
DIECI
UNDICI
DODICI
TREDICI
QUATTORDICI
QUINDICI
SEDICI
DICIASSETTE
DICIOTTO
DICIANNOVE
VENTI
VENTUNO
VENTIDUE
VENTIQUATTRO
VENTICINQUE
VENTISEI
VENTISETTE
VENTOTTO
VENTINOVE
TRENTA
TRENTUNO
TRENTADUE
TRENTATRÈ
TRENTAQUATTRO
TRENTACINQUE
TRENTASEI
TRENTASETTE
TRENTOTTO
TRENTANOVE
QUARANTA
QUANTANTUNO
QUARANTADUE
QUARANTATRE
QUARANTAQUATTRO
QUARANTACINQUE
QUARANTASEI
QUARANTASETTE
QUARANTOTTO
QUARANTANOVE
CINQUANTA
CINQUANTUNO
CINQUANTADUE
CINQUANTRÈ
CINQUANTAQUATTRO
CINQUANTACINQUE
CINQUANTASEI
CINQUANTASETTE
CINQUANTOTTO
CINQUANTANOVE
SESSANTA
SESSANTUNO
SESSANTADUE
SESSANTATRE
SESSANTAQUATTRO
SESSANTACINQUE
SESSANTASEI
SESSANTASETTE
SESSANTOTTO
SESSANTANOVE
SETTANTA
SETTANTUNO
SETTANTADUE
SETTANTATRE
SETTANTAQUATTRO
SETTANTACINQUE
SETTANTASEI
SETTANTASETTE
SETTANTOTTO
SETTANTANOVE

VENTITRÈ

209 16 0
By nikita82roma

Kate per qualche istante aveva sperato che Castle rimanesse. Che quel "sempre" che le aveva ripetuto tante volte fosse vero, che fosse rimasto, lottando, nonostante tutto anche per lei, che fosse lui ad indicargli la strada per ricominciare, che fosse più forte di lei. Invece era uscito, arreso all'evidenza che lei non lo voleva. Non gliene faceva una colpa, lo capiva, anzi. Comprendeva perfettamente il suo desiderio di ricominciare nella maniera più facile, di vivere il suo dolore come meglio credeva, di non confrontarsi con lei e con quello che avevano perso. Glielo aveva chiesto lei di andarsene perché la faceva soffrire la sua presenza, non poteva biasimarlo perché lo aveva fatto, ma non poteva nascondere a se stessa che ci aveva sperato. Che si sarebbe sdraiato vicino a lei e l'avrebbe stretta tra le braccia e non lasciata andare, che si sarebbe caricato delle sue urla, dei suoi silenzi e che magari sarebbe riuscita a farla sfogare al punto da distruggere quella diga che aveva costruito capace di trattenere le sue lacrime.

Quelli seguenti erano stati giorni duri, con l'incubo di quella febbre che non passata e la possibilità di un nuovo ricovero in ospedale che lei voleva a tutti costi evitare. Lanie la convinse solo a farsi visitare a casa dal suo medico che le prescrisse anche degli antibiotici e dopo una settimana cominciò a stare meglio, almeno fisicamente. Non voleva vedere nessuno, l'unico suo contatto con il mondo esterno era Lanie e rimase così per diversi giorni. La sua amica era l'unica che le stava vicino, che si occupava di tutte le cose materiali che la riguardavano, dal portarle del cibo alle medicine. Kate se ne stava chiusa in casa, anzi in camera. Non guardava la tv, non leggeva, non usava il computer. Non faceva niente. Diceva sempre che era troppo stanca per fare qualsiasi cosa. La realtà era che nemmeno dormiva. Aveva passato giorni interi senza farlo, concedendosi al massimo dei brevi momenti in cui provava a chiudere gli occhi, immediatamente interrotti da incubi e ricordi che la facevano svegliare di soprassalto.

Non voleva vedere nemmeno suo padre. Ci aveva parlato qualche volta per telefono e gli aveva chiesto di non andare a trovarla. Glielo avrebbe detto lei quando si sarebbe sentita pronta, ma ogni volta aveva una scusa, prima la febbre, poi che non era in forma e non le importavano le sue rimostranze, né il fatto che fosse palese per lui che erano tutte scuse. Non voleva parlare né confrontarsi essere compatita o qualsiasi altra cosa. Solo con Lanie aveva raggiunto uno strano equilibrio, perché la dottoressa non le chiedeva mai "Come stai?" e questo Kate sembrò apprezzarlo molto. Tra loro c'era una sorta di tacito patto, Lanie non le imponeva niente, non faceva domande e Kate le permetteva di starle vicino, come unica eccezione. Kate sapeva anche che Lanie parlava di lei e aggiornava gli altri sul suo stato, ma fino a quando nessuno le faceva domande andava bene così. Sospettava che tenesse aggiornato anche Castle, ma non glielo chiese mai per avere la conferma. Lui, comunque, da quel giorno non si era fatto più vedere né sentire. Kate pensava che stesse guarendo ed era felice per lui.

Poi, un giorno, qualcosa in Kate scattò. Quando Lanie passò da lei la mattina prima di iniziare il suo turno pomeridiano non la trovò a casa. Guardò in camera e vide gli inconfondibili segni che si era cambiata, il suo pigiama buttato sul letto insieme a due grucce vuote e le ante dell'armadio aperte testimoniavano che aveva senza dubbio preso qualcosa. Provò a chiamarla più volta senza ottenere risposta ed avvisò Perlmutter che avrebbe fatto tardi e di sostituirla fino a quando non si fosse liberata.

Kate rientrò a casa qualche ora dopo. I capelli legati in una coda alta, i jeans aderenti ed una camicia sbottonata sul davanti. Dall'alto dei suoi tacchi salutò l'amica che la guardava perplessa.

- Sono stata alla visita di controllo. Per il ferimento - Le spiegò indicandosi la cicatrice.

- Cosa ti hanno detto?

- Che va tutto bene, posso ricominciare ad avere una vita più attiva.

- Gli hai detto anche del resto?

- Già lo sapevano.

- Cosa intendi fare adesso? - Chiese Lanie vedendo l'amica tirare fuori dalla borsa vari contenitori con compresse di diverso tipo che cominciò ad osservare attentamente leggendo le etichette.

- Riprendere la mia vita. - Rispose decisa.

- Che vuol dire Kate? - Lanie sembrava quasi intimidita da quella Beckett che aveva davanti. Aveva voluto per settimane che che si destasse dal suo torpore, ma era accaduto tutto troppo in fretta.

- Tra tre settimane ho un nuovo controllo. Se andrà bene potrò tornare a lavoro. Sono stata anche dallo psichiatra della polizia. Mi ha detto solo che devo riprendere i miei normali ritmi, mi ha dato qualcosa per dormire e per aiutarmi a sentirmi meglio.

Lanie per niente convinta dalle sue parole osservò ancora i farmaci sul tavolo.

- Sei sicura Kate? Basta questo? - Chiese perplessa.

- Sì, basterà. Devo solo ricominciare a vivere come prima, tornare al lavoro alla mia quotidianità. Andrà tutto bene.

Kate non sapeva se stava rassicurando se stessa o l'amica, ma cercò di essere il più convincente possibile, anche se quando Lanie se ne andò non era del tutto certa di quello che stesse facendo.

Quella notte per la prima volta dopo tanto tempo dormì. Un sonno profondo e vuoto. Un sonno artificiale. Aveva osservato e contato le gocce cadere nel bicchiere, le vedeva fare i loro cerchi concentrici nell'acqua lasciando quell'impercettibile scia mentre si scioglievano con il resto del liquido. Le vedeva scendere in basso e poi rialzarsi in vortice quando ne arrivava un'altra. Incantata da quel gioco perse anche il conto di quante ne aveva effettivamente messe. Girò tutto rapidamente e poi bevve senza pensarci troppo. Si mise a letto e dopo poco, senza rendersene conto, si addormentò.

Quando si risvegliò la mattina dopo le sembrava di aver dormito anni, ma non era riposata. Piuttosto intontita e faceva fatica a svegliarsi. Sentiva ancora nella bocca il sapore dolciastro delle gocce prese la sera prima: non lo aveva mai fatto, non era mai ceduta a quegli aiuti, nemmeno quando era morta sua madre e passava le giornate dividendosi tra il suo dolore e cercare di aiutare suo padre. Si diceva sempre che lei era più forte, che ce l'avrebbe fatta, che poteva resistere e lo aveva fatto, allontanando sempre l'ipotesi di assumere qualunque tipo di medicinale, anche quando i medici gliel'aveva consigliato, vedendola più volte fragile e sul punto di non farcela, lei non aveva mai ceduto. Era da deboli, aveva sempre pensato, prendere psicofarmaci e tranquillanti e lei era sempre stata forte, fino a quel momento. Ora sapeva di non esserlo più, aveva ceduto e cercava di non pensarci anche se quella sensazione di testa pesante con la quale si era risvegliata non la faceva sentire meglio.

Si alzò controvoglia, mangiando qualcosa di quello che aveva nel frigo, un po' di frutta le sembrava la cosa più adatta e commestibile, avrebbe dovuto certamente fare un bel rifornimento di cibo commestibile. Osservò i flaconcini con le compresse che le avevano dato il giorno prima, controllò la prescrizione e le prese con abbondante acqua. Decise che quel giorno avrebbe ricominciato la sua vita. Aveva un obiettivo essere in piena forma per il successivo controllo così da poter poi tornare a lavoro. Si infilò i primi pantaloncini e top che trovò nell'armadio, indossò le scarpe da ginnastica e cercò nella scatola che teneva nella libreria le cuffiette.

Il parco non era lontano da casa, aveva un percorso di jogging corto e piuttosto semplice, per iniziare poteva andare bene. Con la musica a tutto volume nelle orecchie cominciò a correre senza forzare troppo, anche perché sentiva che il suo fisico non rispondeva come voleva, come si sarebbe aspettata. Faceva fatica più di quanto pensasse, ma aveva solo un imperativo: andare avanti, non pensare a nulla. Era focalizzata solo su quello e continuò fino a quando non sentì di aver raggiunto il limite. Le avevano raccomandato di non esagerare, ma in quel momento non era un problema. Era stanca, ma poteva dire che era tanto tempo che non si sentiva allo stesso tempo così in forza.

Prima di tornare a casa si fermò in una caffetteria e prese al volo un caffè da portare via. Erano settimane che on beveva un caffè, sapeva esattamente da quanto, ma non voleva pensarci, non voleva ricordare il perché. Si diceva solo che non capiva come aveva fatto a resistere per tanto tempo senza la sua dose quotidiana di caffeina che le diede una scarica di benessere nel gustarlo mentre faceva ritorno al suo appartamento. Era la prima sensazione veramente piacevole che provava da tempo. Nell'afa dell'estate newyorkese stava adorando la sensazione di tenere quella tazza calda tra le mani ed il caffè bollente che le scottava il palato ad ogni sorso, ma non poteva farne a meno. Il calore della bevanda la stava scaldando, in tutti i sensi. Bevve l'ultimo sorso e fece un respiro profondo prima di rientrare a casa. Buttò il contenitore vuoto nel cestino fuori dal palazzo e poi cominciò a salire le scale. La velocità con la quale faceva i primi scalini diminuiva man mano che saliva. Con non poca fatica e i muscoli molto indolenziti arrivò al suo piano, vittima di un affanno che raramente aveva provato. Buttò a terra i suoi vestiti e si infilò direttamente nella vasca per un lungo bagno. Era stata bene, aveva svuotato la mente concentrandosi solo su se stessa, il suo obiettivo, il suo limite giornaliero da superare. Il difficile veniva adesso, sola, a casa. Il difficile era continuare a non pensare, concentrarsi sui muscoli indolenziti, sul fiato ancora troppo corto. Non pensare, doveva solo aspettare la sera. Avrebbe ripreso la sua dose di gocce, avrebbe dormito ancora e la mattina dopo avrebbe ricominciato. Non pensare per il resto del giorno, doveva fare solo quello.

Non ci riuscì. Appena finito il bagno ed asciugati i capelli si mise una tshirt e sfinita si buttò sul letto. Forse aveva chiesto troppo al suo corpo, al suo cuore e alla sua mente. Tornò tutto indietro, come un elastico troppo tirato e l'effetto che ne derivò fu ancora una volta devastante: di una forte rabbia verso se stessa la invase per non riuscire a lasciarsi tutto alle spalle. "È presto Kate, datti tempo, hai fatto solo un passo" si ripeteva, ma non faceva effetto. Voleva stare bene. Voleva stare bene subito. Voleva qualcosa che le facesse passare per sempre il senso di vuoto che la attanagliava e arrivava sempre, puntuale, ogni volta che pensava che non ci fosse più. 

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