Capitolo 58

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Quando, due settimane dopo la sua improvvisata a casa mia, mi sono trovata un messaggio di Ermal che diceva "scendi, magari con anche Filippo, devo portarvi in un posto", inizialmente pensavo fosse uno scherzo. Poi, quando ho preso mio figlio per mano e siamo scesi in strada, abbiamo per davvero trovato Ermal ad aspettarci in piedi, accanto alla sua auto parcheggiata in doppia fila con le quattro frecce accese.

Inutile dire come Filippo si sia esaltato, nel vedere Ermal dopo quasi sei mesi dall'ultima volta, come gli sia saltato in braccio e sia stata un'impresa ardua staccarlo.

"Dai, saltate su, la strada è un po' lunga", ci ha detto mentre apriva lo sportello posteriore, dove aveva già posizionato un seggiolino. Ha poi preso Filippo in braccio e lo ha posato sopra prima di allacciargli la cintura di sicurezza e assicurarsi che fosse legato bene.

Quasi due ore più tardi, ci siamo trovati a imboccare l'uscita dell'autostrada con su scritto "Milano nord". Ora, ci troviamo in una zona residenziale, camminando sul marciapiede e tenendo una mano di Filippo a testa, facendolo volare di tanto in tanto, anche se ormai inizia ad avere un certo peso. Ha pur sempre sei anni, non è più il minuscolo bambino di tre anni che Ermal ha conosciuto la prima volta.

Passano pochi minuti prima che Ermal si fermi davanti al portone di un palazzo e tiri fuori un mazzo di chiavi abbastanza spoglio, che infila nella serratura per farla scattare sotto al mio sguardo confuso.

«Dopo di voi», annuncia con un gesto teatrale, tenendo aperto il portone in vetro con l'altra mano.

Prendiamo poi l'ascensore, fino ad arrivare al quarto e ultimo piano del palazzo in cui ci troviamo.

«Tu non vivi qui», osservo, mentre lui apre una delle quattro porte presenti sul pianerottolo e si volta per sorridermi, beffardo come solo lui sa essere, ma non sembra intenzionato a darmi una risposta, piuttosto si sposta facendo entrare anche noi due per poi chiudere la porta alle nostre spalle.

«Venite, vi faccio fare un giro», dice prendendomi per mano e trascinandomi lungo questo appartamento completamente spoglio da ogni mobile. «Questa è la cucina, è grande, mh? Molto di più di quella che ho a casa mia. Qua potrebbe anche starci un tavolo normale al posto del bancone con gli sgabelli», mi spiega quando entriamo nella prima stanza, e mi trovo d'accordo con lui.

La sua cucina è abbastanza piccola e, per recuperare spazio, al posto del tavolo ha collegato il bancone della cucina a uno su cui mangiare, dove ha posto anche due sgabelli. Per una persona che vive da sola, però, a me sembra più che sufficiente. Io per prima mi sono sempre immaginata così la cucina della mia prima casa. Il fatto che poi non sia mai andata via dalla casa dei miei genitori e quindi il mio sogno rimanga ancora tale è marginale.

Camminiamo poi in quello che mi spiega essere il salotto, che comprende anche l'ingresso e un corridoio che dà su due porte. Una stanza a quanto pare è un bagno, date le misure, e l'altra è decisamente più grande è quadrata.

«Questa sarebbe perfetta come studio, no? Ci sarebbe spazio persino per una scrivania oltre che agli strumenti musicali».

Sì, ha ragione, ma continuo a non capire. Vuole trasferirsi qui? In una casa grande il doppio rispetto a quella dove vive ora, che già è più che abbondante per le esigenze di una persona che vive sola?

«Filo a te piace?», chiede al bambino, mentre saliamo le scale che portano al piano di sopra.

«È grande!», risponde lui, entusiasta, mentre si guarda intorno. «Ma perché è tutto vuoto?», chiede poi, visibilmente confuso proprio come me.

«Perché non ci vive nessuno ora, così quando qualcuno deciderà di farlo potrà riempirla come preferisce», spiega mentre apre una delle porte del corridoio, dando il via anche al giro turistico del piano superiore dell'appartamento, che si rivela ospitare due stanze e un bagno.

L'altra metà || Ermal MetaWhere stories live. Discover now