Capitolo 27

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«Nonna! È pronta la torta?» quasi urla Filippo, appena entrato in cucina correndo, dove io e mia mamma stavamo guardando un telegiornale.

«Tesoro, mancano ancora una decina di minuti» risponde lei, passandogli una mano tra i capelli.

«Nonna non c'è tempo! Può arrivare anche ora!» alzo gli occhi davanti alla sua lamentela, è troppo agitato.

«Chiedo al forno di fare più in fretta allora, va bene?»

«Perfetto. Mamma! È tutto pronto per la sorpresa?».

Annuisco e cerco di rimanere seria davanti alla tanta autorità e alla parlantina che Filippo sta dimostrando. Aspettare Ermal è snervante quando c'è anche lui di mezzo, non riesce a stare fermo. È iperattivo e non c'è niente che sembra riuscire a farlo calmare.

«Dov'è il nonno?»

«È uscito a fare la spesa per questa sera»

«Ma io volevo mangiare la pizza con Ermal!».

Roteo gli occhi e sospiro, tentando di mantenere la calma. «Più tardi ne parliamo con lui, ok? Ora vai a giocare, arriverà tra un pochino».

Lui annuisce e sparisce in camera, anche se sono certa non sia veramente andato a giocare ma a preparare qualcosa da fare dopo con il suo amico grande, o almeno così è come lo chiama spesso.

Mi siedo al tavolo e mi stiracchio su questo, sono esausta.

«Filippo non sta più nella pelle, mh?» chiede mia mamma con voce divertita mentre la sento aprire il forno, probabilmente per controllare che la torta "per Ermal" non strini.

In realtà è per Filippo, ma lui ci ha raccontato fosse per il nostro ospite soltanto per essere sicuro che la preparassimo. Certo che è proprio furbo. Questo di certo non l'ha preso da me, che sono la persona più ingenua di questo mondo probabilmente. Riesco a farmi abbindolare da qualsiasi cosa e non riesco a escogitare piani come invece lui, a quattro anni, sa già fare alla perfezione. Devo ammettere che questo tratto mi ricorda incredibilmente Gabriele e la cosa mi spaventa alquanto. Non voglio che crescendo gli possa assomigliare, non riuscirei a sopportare una cosa simile. Non per un fatto di egoismo, ma semplicemente perché con lui ho fallito, non ho saputo salvarlo, e sarei terrorizzata dal fallire anche con il mio bambino. È per questo che ho sempre cercato di stroncare sul nascere qualsiasi atteggiamento che mi ricordasse il padre, ma non posso di certo modificare i suoi geni.

«Di nuovo quello sguardo, Elettra?» mi chiede con un tono che può sembrare annoiato, ma so che in realtà lo usa per nascondere tutta la preoccupazione che questo le reca.

Annuisco senza alzare lo sguardo, mantenendolo fisso sulle mie mani intrecciate sopra alla superficie di legno del tavolo, mentre lei prende posto davanti a me. Sento il suo sguardo addosso, come ogni volta che mi scruta per provare a capire cosa mi passi per la testa.

«Lo sai che riconosco i tuoi sguardi, sì?» annuisco ancora. «Perché stai pensando a Gabriele?».

«Filippo è furbo, mamma. E non lo dico per la torta, perché fa ridere pure me come ci abbia raccontato che fosse per Ermal soltanto perché in realtà la vuole per sé. Mi riferisco al fatto che ultimamente riesca sempre a girare la frittata a suo favore, ci riesce a convincere a fare tutto ciò che vuole e ha solo quattro anni. So anche io che è impressionante vedere un bambino così sveglio, ma ho paura che diventi come suo padre» le spiego rendendomi subito conto di quanto tutto questo sia assurdo. Perché sto pensando a queste cose ora?

«Fidati di te stessa e di me e papà, sappiamo riconoscere i limiti e riusciremo a marginare questa cosa quando diventerà eccessiva. Per il momento però non preoccuparti, tutti i bambini provano a fare i furbi a una certa età. Anche tu hai passato il tuo momento da furbetta, lo sai?»

«Dai mamma, non tirare di nuovo fuori la storia della giostra»

«Sono salita solo perché Aurora stava male!» mi scimmiotta e io non posso non ridere, ricordo perfettamente quel giorno.

Ero in punizione perché non facevo che litigare con mio fratello, fino a che non ci siamo picchiati a pranzo. Eravamo usciti nel pomeriggio con la famiglia di Aurora ed altri nostri amici del parco, abbiamo anche fatto sosta alle giostre ma io non potevo salirci per via di ciò che era successo qualche ora prima. Aurora era su una specie di carrozza che girava lentamente in tondo e io, a un certo punto, ho preso la rincorsa e sono saltata sopra insieme a lei, usando poi la scusa che mi aveva chiamata perché stava male e aveva paura senza di me.

Allora forse non è del tutto colpa dei geni del padre se in questo periodo Filippo si sta comportando così. Fatto sta che la presenza costante di Gabriele, pur non fisica, è asfissiante e non so perché, ma in questi ultimi tempi ne soffro più del solito.

Il mio telefono squilla e, non appena leggo il nome del mittente sullo schermo, mi affretto a rispondere con un sorriso enorme che non riesco a nascondere e che, ovviamente, non passa inosservato a mia mamma, che assume l'espressione di chi la sa lunga.

E in effetti, è impressionante come una semplice telefonata sia riuscita a cambiare repentinamente il mio umore e a cancellare tutti i pensieri negativi che mi offuscavano la mente.

«Ermal»

«Hey, sto arrivando» la sua voce, tre parole, è tutto ciò che basta per farmi sentire un improvviso ribaltamento all'interno del mio stomaco.

«Bene, noi ti stiamo aspettando»

«In realtà sono già qui sotto, ma sto cercando parcheggio. Possibile che in questo posto si debba sempre diventare pazzi per trovarne uno?» esclama esasperato e io non riesco a non ridacchiare. «Ridi pure, bastarda. Più tardi te la faccio pagare».

«Finisce sempre male quando dici così, lo sai, vero?»

«L'ho detto apposta».

Rido prima di chiudere la chiamata, infilare il telefono in tasca e alzarmi da tavola sotto lo sguardo attento di mia mamma.

«Dove vai?» mi chiede quando mi allontano verso l'ingresso.

«Lo sai già, quindi perché lo chiedi?» roteo gli occhi posando una mano sulla maniglia. «Saremo qui tra poco».

Mi chiudo la porta di casa alle spalle e corro giù per le scale, trovandomi presto in strada giusto in tempo per vedere una figura fin troppo familiare sbucare dall'angolo a una cinquantina di metri da qui. Non passa molto prima che anche lui si accorga di me e acceleri il passo nella mia direzione, raggiungendomi in pochi secondi e circondando poi il mio piccolo corpo con le sue braccia. Nascondo il viso nell'incavo del suo collo e respiro a fondo il suo profumo, beandomi di quel contatto e di quel l'atmosfera che sa tanto di casa.

Sì, mi era mancato tremendamente tanto.

«Ehi» sussurra per poi lasciarmi un bacio in fronte, pur non allentando la presa su di me.

«Ehi» mormoro accoccolandomi ancora di più a lui.

E tutto sembra finalmente aver ritrovato il suo posto.

L'altra metà || Ermal MetaWhere stories live. Discover now