Capitolo 2

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Entro nella scuola materna del mio nanetto e mi affaccio alla porta della sua sezione. Sta giocando con un suo amico, stanno facendo una costruzione con i mattoncini colorati. Sta ridendo, si sta divertendo. Non c'è visione più bella di vedere mio figlio felice, davvero. Rende felice in automatico anche me.

La sua maestra mi si avvicina per chiedermi come mai sia venuta a prenderlo così presto e la capisco, in fondo è l'una del pomeriggio e in genere prima delle 17 la nonna non viene mai a prenderlo, così le spiego la faccenda del turno notturno e lei, dopo avermi rivolto un sorriso dispiaciuto di quelli che tanto odio, chiama Filippo, che appena mi vede lascia tutto ciò che sta facendo e mi corre incontro per poi saltarmi in braccio.

«Mamma hai sbagliato orario! Devi venire dopo la merenda, non dopo pranzo!», mi riprende ridendo il mio bimbo, facendo ridere anche me.

«Non posso più nemmeno farti una sorpresa?», chiedo mettendo il broncio, ma presto lui si sporge per baciarmi una guancia.

Una ventina di minuti dopo ci troviamo seduti a gambe incrociate sul tappeto blu della nostra stanza, a separarci c'è un'infinità di mattoncini colorati sparsi che Filippo sta esaminando attentamente per assemblarli e formare una nave. Da quando l'ho portato al porto si è fissato con le navi, le disegna in continuazione, ne parla, le costruisce con i mattoncini e ieri mi ha chiesto di costruirne una con un pezzo di carta per vedere se galleggiava. Inutile dire la sua delusione quando quest'ultima, all'interno della nostra vasca da bagno, è affondata più in fretta e più tragicamente del Titanic.

«Mamma mi passi quello giallo?», chiede indicando un punto non ben definito vicino a me e io gli passo il primo mattoncino giallo che vedo. «Nooo! Volevo quello grande, non quello piccolo! Stai attenta, mamma!», mi sgrida e io mi devo impegnare per non ridere e rimanere il più seria possibile, fingendomi mortificata per la sua tirata d'orecchio nei miei confronti.

Gli passo ciò che mi ha appena esplicitamente chiesto e ne approfitto per scompigliargli i capelli, castani chiari e ricci proprio come i miei.

Ora che ci penso, io e lui ci assomigliamo davvero tanto. Ha preso i miei occhi grigi e i miei stessi capelli, però ha la stessa ironia di Gabriele, suo padre. Quest'ultima mi fa ridere un sacco, in fondo è uno dei motivi per cui mi innamorai di Gabriele all'epoca, ma allo stesso tempo mi spiazza spesso. Non amo rivedere suoi comportamenti in Filippo ma, d'altronde, è pur sempre anche suo figlio, in qualcosa deve assomigliargli. Solo che spero non in determinate cose. Se dovesse finire come il padre, non potrei mai perdonarmelo.

Le ore passano veloci tra costruzioni, merenda e coccole, e mi sembra di averlo appena preso da scuola quando mio padre entra nella stanza per dirmi che è ora che vada. Anche lui mi rivolge quel sorriso triste, che non ne posso più di vedere sulle labbra della gente ma che fingo di non notare. Non voglio essere compatita perché a ventiquattro anni mi ritrovo un figlio con cui non passo mai molto tempo a causa del lavoro che, nonostante sia impegnativo, non mi permette di abitare in una casa mia con Filippo e mi costringe a vivere ancora con i miei genitori. Per il momento va tutto bene così, non c'è motivo per rivolgermi quegli sguardi. Mi danno sui nervi.

Ad ogni modo, sono grata per il fatto che mio padre abbia preso l'abitudine di avvisarmi quando è ora che mi prepari per il lavoro. Ormai ha capito anche lui che quando passo del tempo con Filippo ne perdo la cognizione e mi dimentico completamente di guardare l'orologio.

«Amore ora devo andare a lavorare, va bene?», dico a malincuore alzandomi.

«E chi mi leggerà la favola della buonanotte?», chiede con tono allarmato e inarcando le sopracciglia, assumendo un'espressione preoccupata.

«I nonni come sempre quando lavoro di sera, ok?», chiedo e lui annuisce, seppur poco convinto.

Mi abbasso per lasciargli un bacio in fronte e augurargli la buonanotte, poi esco dalla stanza, saluto i miei genitori con cui vivo ancora e mi dirigo a passo svelto verso l'albergo, trovando Sebastiano al posto di Giorgio, il ragazzo con cui il più anziano si divide i turni. È più vicino a me di età, ma non abbiamo mai legato troppo. Lui è molto rigido sul lavoro, cosa che non ci ha mai permesso di socializzare estremamente.

L'altra metà || Ermal MetaWhere stories live. Discover now