Capitolo 38

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«Ti ho detto di no!» sento esclamare a Ermal, che poco fa è andato a vedere chi fosse a suonare con tanta insistenza il campanello di casa.

«Ma è sabato!» ribatte un'altra voce che mi pare di conoscere.

«Abbiamo la pizza! E le birre!» aggiunge un'altra voce maschile.

«Ve l'avevo detto che non ci sarei stato questo sabato» controbatte Ermal e, ne sono sicura, starà sicuramente incrociando le braccia al petto.

«Ma sei qui, quindi perché mandarci via?» una terza voce si aggiunge alla discussione.

Ma quante persone sono?

«Vige, guarda la sua faccia, ragiona. Avrà appena fatto del sano sesso» esclama una delle voci che ho sentito prima e io mi sento arrossire mentre inevitabilmente sorrido. È davvero così evidente?

«No, ragazzi, basta andate via» quasi li supplica Ermal, facendomi ridere.

«Aspetta, c'è Elettra qui?» chiede la voce che prima mi sembrava di riconoscere e su cui ora non ho più dubbi al riguardo: è proprio lui. «Perché non me l'avete detto?» chiede ancora, sembrando quasi offeso.

Povero Montanari.

«Dai, finalmente la conosciamo anche noi così!»

«Per favore, tornate dopo se proprio dovete passare qui la serata» supplica ancora Ermal, seguito da qualche istante di silenzio.

«Ok, avete un quarto d'ora per riprendervi e prepararvi ad accoglierci» sento dire prima del rumore della porta che viene chiusa.

Provo a sistemarmi i capelli mentre aspetto che Ermal ritorni in camera, come se poi fosse un'azione utile. Ormai dovrei rassegnarmi, i miei capelli non saranno mai a posto, specie in certe circostanze.

Rido quando Ermal fa la sua comparsa alla porta sbuffando rumorosamente e passandosi le mani sulla faccia.

«Erano i ragazzi, non hanno voluto sentire ragioni» mi dice mentre si siede davanti a me sul letto a gambe incrociate. «Arriveranno tra poco».

Mi spiega poi che quando sono tutti a Milano si incontrano ogni sabato sera a casa sua, mangiano pizza e bevono birra davanti alla tv. È come una tradizione ormai per loro e la saltano soltanto in casi eccezionali.

A quanto pare, nonostante lui avesse detto che non sarebbe stato a casa questa sera, loro sono stati più furbi di lui. Oppure, come sostiene Ermal, se ne sono dimenticati e si sono presentati alla sua porta proprio per questo motivo.

«Dico davvero, mi dispiace un sacco» afferma mentre, pochi minuti più tardi, davanti allo specchio si sistema i capelli, avendo gli stessi risultati miei. D'altronde, abbiamo gli stessi capelli odiosi. Bellissimi, ma odiosi. «Avevo altri programmi per oggi».

«Del tipo?» chiedo mentre lascio che un sorriso compaia sulle mie labbra.

«Pensavo di portarti a mangiare fuori, fare una passeggiata e non so che altro, ci avrei pensato più tardi» spiega gesticolando e rendendosi davvero buffo. «Di certo, divano pizza birra e partita non erano nei miei programmi» continua.

«Va bene così, davvero» lo rassicuro mentre mi alzo e vado ad abbracciarlo da dietro, posando la testa sulla sua schiena. «Sono contenta di conoscere gli altri del gruppo. Se sono come Marco, devono essere davvero forti».

«Sì, sono davvero forti» ammette con un sorriso genuino sul volto, dimostrando quanto tenga a loro. «Ma Marco no, lui è la pecora nera del gruppo» aggiunge poi, ridacchiando appena.

L'altra metà || Ermal MetaOù les histoires vivent. Découvrez maintenant