Capitolo 3

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Lancio un'occhiata all'orologio al mio polso, è quasi mezzanotte. Alle tre potrò finalmente staccare, ormai non manca tanto e in genere non c'è quasi mai nessuno che mi chiede le chiavi passato questo orario. Certo, arriveranno tutti gli ospiti legati al Festival a breve, ma conto di riuscire a gestirli al meglio e il più in fretta possibile, specialmente perché sono sveglia dalle sette di questa mattina e ormai avrei bisogno di un paio di stuzzicadenti per impedire alle mie palpebre di crollare drammaticamente.

Poco fa è passato Marco a ritirare la chiave della sua stanza, sarà andato a dormire, lui che può. E non ha nemmeno idea di quanto questa sconosciuta lo stia invidiando a morte in questo preciso istante.

Vorrei davvero trovarmi nel mio letto in questo momento, stretta sotto le coperte, magari con Filippo accanto, che riesce sempre a convincermi a farlo dormire con me. Non che mi dispiaccia, al contrario, ma voglio che impari a dormire per conto suo finché è piccolo ed evitare quindi di fargli acquisire cattive abitudini.

Non sarò la mamma migliore del mondo, in fondo ho soltanto 24 anni e devo ancora capire io per prima cosa sia la vita, ma almeno non voglio crescere un bambino viziato. Faccio quel che posso per evitarlo, insomma.

Prendo il cellulare dalla tasca e premo un tasto così che si illumini lo schermo e veda la foto mia e di Filippo che ho sullo sfondo, che mi fa irrimediabilmente sorridere come ogni qual volta che mi capita di vederla. Il nanetto è seduto sulle mie gambe e io lo abbraccio mentre gli stampo un bacio sulla guancia e lui fa la linguaccia, è di un anno fa ed era minuscolo. Aveva imparato da poco a parlare un minimo e io stavo ancora muovendo i primi passi come mamma. Non che ora sia un'esperta, al contrario, ma sto facendo del mio meglio per imparare e sto iniziando a notare dei miglioramenti. D'altronde, il mio piccolino ha tre anni, è normale che io stia facendo l'abitudine a condividere la mia vita con lui.

«È davvero una bella foto», sobbalzo nel sentire una voce accanto a me, una voce che penso proprio di essere già in grado di riconoscere.

Distolgo lo sguardo dalla foto e incontro lo stesso riccio che prima si è attaccato al campanello del bancone che ora ha aggirato per trovarsi accanto a me, il che conferma quanto pensavo: la sua voce mi è già familiare.

«Ermal, non dovresti stare qua», lo ammonisco portando una mano sugli occhi per stropicciarli, nel tentativo di svegliarmi un minimo.

«Immaginavo, ma stavi sorridendo come una scema guardando in basso ed ero curioso».

«Sei un ficcanaso», lo prendo in giro, ricevendo una sua spinta leggera.

Mi alzo in piedi, trovando maleducato stare seduta mentre non c'è una sedia anche per lui.

«Stai seduta, si vede che sei stanca», commenta con tono premuroso, e io mi trovo a chiedermi se una persona simile possa esistere per davvero o sia soltanto frutto della mia stanchezza che mi gioca cattivi scherzi.

Alzo le spalle e faccio un gesto della mano per fargli intendere che non importa, e lui rotea gli occhi.

«Come vuoi, ma non lamentarti con me se poi sarai ancora più stanca», ridacchia e, questa volta, quello a beccarsi una spinta è lui.

Da quando mi prendo così in fretta confidenza con qualcuno?

«Sono indiscreto se ti chiedo chi è il bambino della foto?», chiede poi, dopo qualche attimo di silenzio.

«È Filippo, mio figlio», rispondo sorridendo, sinceramente felice di parlare di lui.

Vedo la sua espressione assumere un chiaro e inequivocabile aspetto sconvolto, con gli occhi leggermente sgranati e la bocca socchiusa.

L'altra metà || Ermal MetaWhere stories live. Discover now