Capitolo 43

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Come previsto, la serata con i miei amici ed Ermal è stata stupenda. È stato come se il tempo non fosse mai passato, mi sono sentita leggera e spensierata come sempre quando uscivamo tra di noi, quando eravamo più piccoli. Sono riusciti persino ad integrare Ermal, hanno evitato il più possibile gli argomenti in cui non avrebbe potuto inserirsi non conoscendone l'oggetto, l'hanno sempre coinvolto e lui sembrava divertirsi.

Ho sentito la sua risata talmente tante volte questa sera che dubito riuscirò a fare senza ora. Un po' come quando non solo ti abitui a una cosa, ma ne fai pure un uso esagerato e quindi proprio non riesci più a farne a meno. Ne diventi dipendente.

Lui mi rende felice e sono contenta anche del fatto che non sappia più come stare senza. Questa sorta di dipendenza non è così deleteria come pensavo, anzi, la trovo quasi piacevole.

Ad ogni modo, so che la penserò diversamente non appena dovrò salutarlo, di nuovo, domani. So che mi maledirò per aver lasciato che prendesse un posto così importante nella mia vita, che odierò dipenderne, che proverò a convincermi del fatto che non sia indispensabile.

Ma per ora mi godo il momento, finché sono felice e la mia fonte di serenità è accanto a me.

O meglio, sotto di me.

Io ed Ermal siamo infatti sdraiati sul divano anche se, tecnicamente, lui è seduto e io gli sono spalmata sopra, ma questi sono dettagli.

Ormai ci hanno salutato già tutti per andare a casa, siccome domani lavoreranno o andranno all'università e quindi dovranno alzarsi presto. Ad essere sincera, la cosa non mi dispiace nemmeno troppo.

È stata una serata splendida, ma passare del tempo soltanto io ed Ermal a casa da soli non è affatto male, anzi.

Certo, i miei genitori potrebbero tornare con Filippo da un momento all'altro, ma per ora mi godo il silenzio che regna in queste mura, questa pace che sembra non esserci mai di norma.

«Ho ancora una cosa per te» esordisce ad un tratto, interrompendo il silenzio piacevole che si era venuto a creare.

Un'altra?

«Ermal, hai già fatto fin troppo per me, davvero».

«Senti, avevo intenzione di fartela sentire una volta finita, e ce l'ho fatta proprio questo pomeriggio, quindi vorrei che tu la sentissi ora» mi spiega lasciandosi così scappare di cosa si tratti.

«È una canzone quindi?» chiedo, quindi, per verificare se la mia intuizione sia corretta.

«Sì, e l'ho scritta pensando a te. Vuoi sentirla o no?» chiede fingendosi spazientito e io devo trattenermi per non ridere.

Lo osservo mentre si alza, afferro poi la mano che mi ha porto per aiutarmi ad alzarmi e lo seguo fino in camera mia, che diventa nostra quando viene a trovarci. Si siede sul letto a gambe incrociate e io lo raggiungo per imitarlo, posizionandomi di fronte a lui.

«Ho iniziato a scriverla una sera, una delle prime, qui a Sanremo, a febbraio. Stavo passeggiando in strada, era notte fonda, e sul mio stesso marciapiede ho visto un'ombra avvicinarsi. Questa ombra, poi, si è spostata sull'altro lato della strada, come se avesse paura di me. Solo quando è stata sotto a un lampione della luce ho capito che fossi tu, ma non ho detto nulla per non spaventarti. Non ci conoscevamo ancora, dopotutto» mi spiega lentamente, soppesando con cura la scelta di ogni minima parola come sempre quando parla, e io pendo letteralmente dalle sue labbra.

L'altra metà || Ermal MetaTempat cerita menjadi hidup. Temukan sekarang