Capitolo 8

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«Quindi tra due mesi farà quattro anni» dice Ermal riflettendo a voce alta al mio fianco, facendo due calcoli sulle dita riguardanti l'età di mio figlio, mentre passeggiamo sul lungomare della mia cittadina, illuminato soltanto dalla luce fioca dei lampioni e della luna che si riflette sul mare.

Infilo le mani nella tasca del cappotto, stringendomi di più dentro di questo per proteggermi invano dal freddo.

È inutile, febbraio rimane sempre il mese più freddo in assoluto. È sempre caratterizzato da quelle folate di vento gelido che si infrangono sulla pelle ed entrano nelle ossa, si insinuano tra di esse e fanno tremare dentro. Non ci scappi, da quel freddo. I brividi a causa sua sono inevitabili, così come è inevitabile che ti metta di cattivo umore in diverse occasioni. Odio febbraio, sarebbe il mese peggiore in assoluto nel corso di un anno solare se soltanto non ci fosse il Festival a porre un rimedio alla drammaticità causata dal clima. Ho sempre aspettato questa settimana come un bambino aspetta il Natale.

Annuisco alla domanda del ragazzo accanto a me, riflettendo vagamente su cosa potrei regalare a Filippo in occasione del suo compleanno che, come mi ha appena ricordato Ermal, non è poi così lontano.

Lo vedo stringersi a sua volta nel cappotto, strofinandosi le mani davanti al volto e provando a soffiarci sopra per riscaldarle, ma sono più che certa che non serva a nulla. Sono parecchio rosse e potrebbero irritarsi, così come lui potrebbe ammalarsi passeggiando in mezzo a questo vento gelido. Confido che la sciarpa che ha al collo faccia il suo lavoro, non vorrei che gli venisse un brutto mal di gola proprio ora che ha bisogno in particolar modo della sua voce.

Forse dovrei smetterla di fare la mamma per un attimo e concentrarmi sul momento che sto vivendo insieme a una persona piacevole, bearmi del tempo che stiamo passando insieme e della nostra chiacchierata, di cui avevo fortemente bisogno.

«Lo ami davvero tanto, eh?» chiede poi, dopo qualche minuto di silenzio scandito soltanto dal rumore dei nostri passi vicini.

«Già, è tutto ciò che ho» rispondo voltando leggermente la testa verso di lui per guardarlo, scoprendolo così a scrutarmi. È una sensazione strana avere i suoi occhi puntati addosso attenti a ogni mio movimento, ma allo stesso tempo piacevole. «Sai, quando mi sembra che vada tutto a rotoli e vorrei mollare ogni cosa, c'è sempre lui che mi impedisce di farlo. Se non avessi avuto lui, ora non so cosa starei facendo. Forse sarei una studentessa all'università, ma sarei profondamente sola. Filippo è il mio pezzo mancante, quello che mi completa» confesso con non so quale coraggio, sarà che di notte si è tutti un po' più sinceri, che la stanchezza lascia andare un po' più del normale i freni inibitori, oppure che insieme a Ermal mi sento completamente a mio agio.

«Eppure, ho come l'impressione che ci sia comunque un altro pezzo mancante».

Sgrano gli occhi, chiedendomi come abbia fatto a capire che qualcosa non va, nonostante io gli abbia sempre detto il contrario da quando ci siamo conosciuti.

«Voglio dire, mi hai detto che il padre di Filippo non c'è... Ora, non voglio essere indiscreto e impicciarmi in questioni che non mi riguardano, ma sono più che certo che...» dice lentamente, come se stesse scegliendo accuratamente le parole da dire per evitare di pronunciarne una di troppo, oppure anche solo vagamente sbagliata. Sono certa stia facendo proprio questo e decido di interromperlo, vedendo che non sa bene come proseguire. E come dargli torto...

«Non l'ha mai riconosciuto ufficialmente, ci siamo lasciati prima ancora che nascesse. Lui non voleva un figlio, io invece non volevo rinunciarci» dico con una freddezza che spaventa persino me, quasi come fosse una cosa che non mi riguarda, la storia di una persona che non conosco, che mi è stata raccontata e che è così lontana dalla mia realtà, come se a me una cosa simile non toccasse minimamente. E invece ne sono la protagonista. «Filippo porta il mio cognome, non ha mai conosciuto suo padre e non penso proprio lo farà mai» concludo, sperando il discorso cada qui.

«Ti chiede mai di lui?»

«Da quando ha iniziato ad andare a scuola è un continuo. Vede tutti i suoi compagni che vengono portati a casa dal papà e mi chiede spesso quando lo andrà a prendere il suo»

«E tu come l'affronti?»

«Papà viaggia sempre per il suo lavoro, però tornerà presto» dico abbassando lo sguardo, recitando la frase che ormai ho imparato a memoria e che ripropongo a mio figlio quasi ogni giorno.

«Solo che non tornerà mai» osserva lui, un tono mortificato nella voce, come se si sentisse male per quel bambino che spera nel ritorno del papà invano.

«Già».

Con la coda dell'occhio vedo Ermal smettere di camminare, così lo imito, non capendo perché si sia fermato.

Soltanto un attimo dopo mi trovo premuta contro al suo petto, con una sua mano che mi accarezza i capelli e l'altra dietro la mia schiena per tenermi stretta a lui. Ed è in questo momento che succede, tutta la fortezza che ho costruito con fatica in questi anni viene sgretolata in un secondo, e immediatamente mi sento debole e vulnerabile tra le sue braccia, con ogni difesa ormai al suolo. Sto crollando tra le sue braccia, e le lacrime che iniziano a scorrermi sulle guance senza alcun preavviso ne sono la dimostrazione.

Ma mi sento bene, stranamente in pace con me stessa, nonostante il mio corpo sia scosso da singhiozzi che non riesco a controllare. Sto crollando, mi sto facendo piccola piccola rifugiandosi nel petto di una persona che a stento conosco, ma che mi infonde una profonda sicurezza. Tutta la forza che ho finto di possedere, ostentandola talvolta, nel corso di questi anni è improvvisamente svanita, e non dover più recitare la parte di quella dura, con le spalle larghe, che può farcela benissimo da sola, mi rende così dannatamente serena.

Mi sento me stessa mentre una sua mano continua ad accarezzarmi i capelli per tranquillizzarmi. Sto lasciando che sia la vera me ad agire, quella fragile, debole, spaventata da qualsiasi cosa. Quella che è dovuta sparire nell'esatto momento in cui ha scoperto di dover aspettare e crescere un bambino completamente da sola, potendo contare soltanto sull'aiuto dei propri genitori.

Ora sono per davvero io, mentre stringo Ermal forte a me, cercando in lui la forza che non ho mai avuto nonostante l'abbia finta per tutto questo tempo.

E tutta quella paura che ho sempre provato costantemente ogni giorno da quando Gabriele è uscito dalla mia vita, in questo momento mi sembra come scomparsa. Per qualche minuto, al riparo contro il petto di Ermal, mi concedo di non preoccuparmi di ciò che succede all'esterno della mia piccola bolla, che ora non è più soltanto mia ma nostra. E so che tra pochi istanti esploderà e tornerò a dovermi guardare da sola le spalle, ma in questo momento voglio soltanto pensare al senso di protezione che il suo abbraccio riesce a donarmi.

Alla paura che tornerà irrimediabilmente non appena le sue braccia lasceranno andare il mio corpo, per adesso, non ci voglio pensare.

L'altra metà || Ermal MetaМесто, где живут истории. Откройте их для себя