Capitolo 98

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Lasciai che l'acqua mi abbracciasse. Nascosi la testa sulle gambe piegate. Avevo lasciato James da quasi un'ora. Ma sentivo già le lacrime agli occhi. Le sue labbra, il suo sorriso. Mi mancava tutto di lui. E non sapevo se l'avrei rivisto presto.
Mi dispiace, aveva detto. Ma non mi aveva detto a cosa si riferisse. Con lui, era sparito anche Mike. Cosí, avevo detto alla folla che sarei andata a prepararmi per la cena. Loro mi avevano sorriso, i bambini abbracciato e io ero tornata in camera. Ero corsa in bagno e mi ero immersa nella vasca, una volta che l'acqua era diventata calda. E, ora, ero lí, a ripensare agli ultimi momenti con James.

La rossa non si accorse di nulla. Nessuno, tra le persone presenti a cena, menzionó il padre di mio figlio, nè mi parló, nè mi guardó.
Ma le guardie non c'erano. I posti vuoti, accanto a noi, mi fecero capire che, forse, avevano trovato Dimitri. Nemmeno ai muri c'erano guardie.
Avrei voluto chiedere alla rossa spiegazioni, ma temevo che mi avrebbe chiesto qualcosa di quel pomeriggio. Perció, non dissi nulla.
Quando la cena finí, la rossa si alzó, seguita da me, ed uscimmo insieme. Passammo tra la folla, in corridoio, che mi guardó e mi sorrise. Io cercai di ricambiare i loro sguardi, ma temevo che avrebbero parlato. Ignorai i bambini.
La rossa non si fermó, nè si voltó a guardarmi. Lo fece solo quando fummo davanti alla porta della mia stanza.

"Buonanotte, Lilith." mi disse solo.

"Buonanotte." risposi, prima di entrare nella mia stanza.
Chiusi la porta alle mie spalle. E, prima che potessi rendermene conto, mi ero già addormentata.

"Lilith." sussurró qualcuno.
Aprii gli occhi. Attorno a me, la stanza era buia. Davanti a me, un paio di occhi fulminanti mi stavano guardando.
Non fui sorpresa di trovare il Capitano nella mia stanza, in piena notte. Non avrebbe disobbedito alla rossa.
Scesi dal letto e presi i vestiti dell'allenamento dall'armadio, in silenzio, poi andai in bagno a cambiarmi. Legai i capelli in una coda ed uscii dal bagno.
Dopodichè, uscimmo dalla mia stanza.
Il Capitano mi portó nella stanza bianca, per l'allenamento. La luce era accesa. I paletti e le pistole erano disposti sul tavolo, davanti a noi. Il Capitano si avvicinó al tavolo e posó la pistola argentata, dopo averla presa dall'interno della giacca.
Poi, si voltó. Il suo sguardo era divertito. Gli comparve un sorriso sulle labbra.

"Che ti è preso, oggi?" domandó, prendendo un paletto dal tavolo.
Osservai il paletto. Mi ero quasi dimenticata di aver evitato un paletto, quella mattina.
Mi voltai, dove il paletto aveva colpito il muro. A terra, il paletto non c'era.
Tornai a guardare il Capitano. Quella mattina, mi aveva lanciato un paletto contro.

"Che è preso a te?" gli chiesi, stizzita.
Quel paletto andava troppo veloce, perchè io potessi evitarlo. E lui lo sapeva.
"Avresti potuto uccidermi!" gli ricordai.

"Consideralo un avvertimento. Ieri, non sei riuscita a toccarmi nemmeno una volta." mi rispose.
Lo guardai, stupita.

"Un avvertimento?! Quel paletto puntava dritto al mio cuore! E sapevi che non avrei potuto evitarlo!".
Lui scosse la testa e si avvicinó.
Mise il paletto poco lontano da me, che puntava al cuore. Poi, lo fece ruotare, lentamente.

"Il paletto sarebbe passato nel buco tra te e il tuo braccio." mi spiegó.
Fece passare il paletto tra me e il mio braccio. Notai che il paletto aveva una leggera rientranza, su un fianco, che lo avrebbe fatto passare esattamente nel punto in cui diceva il Capitano.
Quello di quella mattina era stato davvero un avvertimento. Anche se non mi fossi spostata, il paletto non mi avrebbe colpita.
"Perció, che ti è preso? Un'umana come te non avrebbe potuto spostarsi abbastanza velocemente." mi sorrise, stupito.
Ma il suo sorriso mi stava sfidando. Non poteva credere che avessi davvero evitato il paletto.
Ma non sapevo nemmeno io come avessi potuto farlo. Eppure, ció che aveva visto il Capitano era la verità.

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