Capitolo 49

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I due uomini mi trascinavano per corridoi a me sconosciuti, o che avevo già visitato, ma erano tutti uguali, perció non mi resi conto di dove ero già passata e dove no.
Non mi opposi alla loro forza trainante, nè provai a dissuaderli con parole dal loro intento. Non sapevo dove mi avrebbero portata. Ormai, non sapevo quasi piú nulla.
Il comportamento della rossa era alquanto strano: un momento prima, era subdola; un momento dopo, fragile come la carta. Senza contare il fatto che non sapevo ancora il suo nome. Era come se tentasse in tutti i modi di non dirmelo. Era una parola Taboo.
Diceva che avrei dovuto capire da sola qualcosa, che avrei dovuto prendere lezioni di galateo e, ora, che ero sua nipote?
Ci fermammo davanti ad una piccola porticina in legno, molto piú antica della porta in metallo della sala da pranzo, lo evidenziavano i solchi profondi nel legno.
Dall'interno della stanza, si sentivano delle voci sommesse.
I due uomini mi lasciarono, finalmente, e permisero alle mie braccia di riprendere ossigeno e sangue, dopo essere diventate viola, per mancanza di circolazione sanguigna. Appoggiai una mano sulla maniglia di ottone, ma mi bloccai, riconoscendo una delle due voci all'interno della stanza. Era acuta, terribilmente fastidiosa, lasciava trasparire una leggera nota acida, nel suo apparente suono gentile.

"Non dovrai fare nulla. L'unica cosa che farai sarà obbedirle. Ti viene difficile anche questo?" chiedeva Stacey sommessamente, ma abbastanza stizzita perchè io potessi sentire la sua voce, al di là della porta chiusa.
L'altra voce, piú profonda e morbida, maschile, quella che avevo sognato tanto per anni, non rispose subito.

"Dico solo che dovrebbe dirle tutto. È troppo misteriosa. A che cosa servirà? Non succederebbe nulla di male se Lilith conoscesse anche solo un piccolo pezzo di sè, senza mistero." obiettó, un po' timoroso, Mike.
Stavano parlando di me. E stavano parlando di argomenti delicati, quelli a cui stavo cercando risposta o anche solo una spiegazione. A quanto pareva, quei due ne sapevano piú di me.
Che cosa avrei dovuto conoscere su di me? Di che mistero stavano parlando? Perchè Mike mi stava difendendo?
Avrei voluto rimanere lí fuori, con l'orecchio appoggiato alla porta, per origliare la loro conversazione, ma i due uomini dietro di me mi misero fretta e fui costretta a bussare.
Ci fu un grande trambusto nella stanza, mentre Stacey parlava.

"Forza, nasconditi." intimava a qualcuno, probabilmente Mike, tra i denti.
Quando abbassai la maniglia, provocando un fastidioso cigolio, ed aprii la porta, fui accolta da una sgradevole vista: la stanza era minuscola, con appena una finestra, che dava su un dirupo, un letto minuscolo, appoggiato al muro, uno scaffale-libreria, vuoto, uno specchio da tavolo ed uno sgabello senza schienale, davanti a quello. Non c'era nient'altro, se non pietre e Stacey, che mi guardava sorridente.
Te lo stacco, quel sorriso.
Entrai di malavoglia nella stanza, con l'orribile sensazione dei due uomini, dietro di me, guardandomi intorno, assicurandomi di non aver trascurato alcun dettaglio della stanza abbastanza interessante.
"Che ci fai qui, Lilith?" mi domandó Stacey, irrigiditasi.
Non mi sfuggí quel suo movimento di spalle, quella sua rigidità, come se il mio ingresso in quella stanza l'avesse messa in soggezione.
Lo terró a mente.
Mi avvicinai al letto.

"È la mia stanza. Cosí mi hanno detto." la informai, guardando lo specchio da tavolo.
Nella parte in alto a sinistra della stanza, c'era una piccola sporgenza, un piccolo e stretto passaggio, tra le pietre, scuro, cosí non mi accorsi di Mike che si avvicinava.
Quando mi accorsi di lui, feci un balzo all'indietro e mi scappó un urletto per la sorpresa.

"Non sapevamo fosse tua la stanza. Vorrà dire che dovremo andarcene." disse Stacey, guardando, titubante, Mike.
I due si guardarono per un po' di tempo, come se parlassero leggendosi nel pensiero, il che mi dava molto fastidio: io ero una semplice umana; quell'abilità di leggere negli occhi di una persona era una dote riservata alle sole creature soprannaturali. Non sopportavo il fatto di venire esclusa da questi divertimenti. Perchè era divertente, giusto? Sapere i pensieri degli altri avrebbe aiutato molto la mia situazione, soprattutto con la rossa.

"C'è qualche problema?" domandai, guardinga, alternando lo sguardo dall'una all'altro.
Stacey andó all'armadio alla destra della porta, facendomi notare quel piccolo ripostiglio, pieno di vestiti, che non aveva nulla a che vedere con le cabine che avevo visto al castello di James o nella stanza vicina a quella con la vasca, che presumevo fosse il bagno. Lo aprí e dal suo interno uscí una ragazza, la stessa che mi aveva portato il cambio nell'enorme bagno, con la divisa nera ed una treccia che teneva sotto un pezzo di stoffa bordeaux, con qualche piuma colorata. Teneva gli occhi bassi, le ciglia le coprivano le iridi, impedendo al mio sguardo di giungere fino a lei. I suoi lineamenti erano fin troppo familiari, magri e di una bellezza naturale. Anche senza il minimo strato di trucco, era bellissima.
Tutti e tre uscirono dalla stanza in velocità, per prima la ragazza misteriosa, poi Stacey, infine Mike.
Questo, prima di uscire, mi rivolse un ultimo sguardo, carico di compassione e tristezza.
Non voglio la tua compassione.
Quindi, mi ritrovai da sola, nella piccola stanza, costringendomi a rimuginare su tutto quello che era appena successo: la rossa, i suoi discorsi, il banchetto, Stacey, Mike, i loro discorsi, la ragazza misteriosa. E questi erano solo gli ultimi pensieri che mi erano nati in testa. Sentivo che, a breve, avrei potuto commettere qualche errore, oltre a quelli che avevo già commesso, se non mi avessero detto tutta la verità.
L'armadio era aperto e vuoto.
Voltai lo sguardo verso la finestra chiusa, che non aveva modo di aprirsi: era solo una visione in tempo reale del paesaggio esterno.
In quel momento, era tutto bianco, ricoperto di un sottile strato di neve.
Strizzai gli occhi, per vedere meglio quanta neve ci fosse sugli alberi oltre il precipizio, dove riprendeva a spuntare la montagna, da sopra una coltre di nubi bianchissime. Un po' di neve cadde da un ramo di un pino, facendo muovere tutto l'albero, che oscilló, facendomi realizzare dove fossimo, almeno generalmente: ci trovavamo sopra il punto piú alto della montagna che sorgeva vicino alla mia cittadina, piú in alto rispetto al castello di James.
Si sarebbe dovuto ghiacciare, non ci sarebbe nemmeno dovuto essere quel pezzo di montagna. Eppure con il vestito bianco, che mi ritrovavo addosso, stavo benissimo. Inoltre, sembrava che ci fosse piú neve di quanta ne avessi vista l'inverno prima. Ma eravamo sopra la coltre di nubi, perció le precipitazioni sarebbero dovute cadere verso il basso. Allora, perché ogni centimetro di terra calpestabile, fuori da quel luogo di pietre, era ricoperto da bianca e morbida neve?

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