Capitolo 8

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Arretrai di un passo. L'oscurità, attorno a me, non faceva che complicare le cose: come avrei potuto affrontare un nemico al buio? Nè James nè io fiatavamo.
Vidi solo un luccichio, un piccolo bagliore, scaturito dalla fiammella di una candela, appena accesa. Dietro quella piccola fiamma, c'era il viso di un bambino. Mi sembrava familiare. Mi era familiare. Lo conoscevo.
I suoi capelli arancioni come il fuoco, corti, rilucevano di una luce spenta, come se quei lievi filamenti rispecchiassero tutto ció che aveva dovuto affrontare quel suo corpicino esile. La sua carnagione era bianca come il latte.
Mi guardava con occhi arrabbiati, la sua bocca era piegata all'ingiú, come fanno i bambini quando sono arrabbiati, con il labbro inferiore all'infuori. Tuttavia, lui non era per niente un bambino.

"Sei il fantasma di mia sorella?" sussurró.
Avevo temuto di non sentirlo piú. Avevo temuto di non poter udire ancora la sua voce. Avevo temuto di non poter piú vedere i suoi capelli, i suoi occhi grandi e le sue labbrucce.
Avevo temuto di dimenticarlo.

"T-Theo?" formulai, prima ancora di rendermi conto che stavo parlando.
Lí, a pochi passi da me, c'era un piccolo ragazzino, seduto, illuminato da una candela. Era lui, ne ero sicura.
Mi accucciai e spalancai le braccia, come aspettandomi un abbraccio.
"Theo..." non riuscivo a credere ai miei occhi, "Theo, sono Lilith. Sono tua sorella. Mi riconosci?".
La mia bocca si allargava sempre piú in un sorriso di stupore.
Lui, peró, sembrava scettico. Mi guardó a lungo, guardó le mie mani, le mie braccia.
Infine, si abbassó ulteriormente, davanti a sè.

"Priscilla, penso possa bastare." mormoró.
Subito, il ringhio si fermó, mi ricordai solo allora del verso canino che incombeva su di noi.
Priscilla? Quella Priscilla?

"Priscilla? Theo, c'è anche Priscilla?" gli chiesi, ancora piú stupita.
Una palla di pelo bianca passó affianco alla candela accesa, minacciando sia di prendere fuoco la palla di pelo, sia di spegnere la piccola fiammella. La nuvola svolazzante arrivó fino a me, posando le sue zampine sulle mie ginocchia piegate, che stavano attendendo l'abbraccio di un ragazzino, ma anche una leccata di faccia da parte di un barboncino mi andava bene.
La sua saliva umida e la sua lingua ruvida mi accarezzarono la guancia, accompagnati da un guaito di gioia: mi stava facendo le feste.
Non riuscii a trattenere un sorriso, mentre tentavo di fermare Priscilla.
"Priscilla! Basta!" risi.
Per tutta risposta, lei mi abbaió felice, muovendo la sua codina pelosa, che sbattè contro la mia gamba, provocando un'altra mia risata.
A quel punto, il ragazzino si avvicinó a me, aiutandomi a togliermi Priscilla dalla faccia. Lo guardai bene. Sí, era proprio come me lo ricordavo. Non era nemmeno cresciuto: mi arrivava all'ombelico, come sempre.
Gli sorrisi, tenendo le braccia aperte.

"Come si chiama il mio supereroe preferito?" mi domandó.
Theo era sempre stato un po' infantile, un po' giocherellone e monello, ma era molto, molto intelligente: non si sarebbe fatto ingannare facilmente da un estraneo.
Mi stava mettendo alla prova? Gli avrei dato la risposta che sua sorella gli avrebbe dato.

"Io sono il tuo supereroe preferito." pronunciai, sciogliendomi dentro.
Me l'aveva sempre ripetuto, fin da quando aveva cominciato a formulare le prime frasi di senso compiuto.
Molti bambini dicono che i supereroi sono Spider-Man, Batman, Superman. Altri dicono che sono i loro papà. Per Theo, ero io il suo supereroe. Il perchè era un segreto suo, che aveva sempre gelosamente custodito.
Senza aggiungere altre parole, mi si buttó tra le braccia, mi strinse, mi nascose il viso contro la spalla e mi riempí di calore. Non era calore per la temperatura elevata. Era calore vero, calore familiare. Era un calore che mi era mancato, un calore che nemmeno mille coperte possono dare. Era ció che nessun altro avrebbe potuto darmi, se non la mia famiglia.
Ricambiai l'abbraccio del mio fratellino, avvolgendolo con le braccia, come per assicurargli che ci fossi, che fossi reale e non una mera illusione. Quanto mi era mancato. L'avevo abbandonato. Avevo lasciato colui che dovevo proteggere.
In quel momento, i miei occhi si abbagliarono, non per un sogno improvviso o per un giramento di testa, ma per le luci alle pareti, nelle lampade a muro, che si accesero improvvisamente. Mi staccai da Theo, coprendomi gli occhi doloranti con una mano, cercando di adattarmi alla luminosità.
Sbattei le palpebre una decina di volte, prima di poter vedere bene la cucina in cui mi trovavo: era piccola, grande abbastanza da far passare le persone attorno al grande tavolo di legno che troneggiava, al centro della stanza. Su tutte le pareti, c'erano mobili di legno scuro, alcuni erano ripiani da cucina, altri ripiani dove c'erano foto della nostra famiglia. Il muro bianco non mi aiutava a vedere bene la situazione, riflettendo la luce.

"Theo, cos'è successo, stai bene?" riconobbi una voce femminile, profonda, di una donna profonda e premurosa.
I suoi capelli rossi erano sciolti e leggermente spettinati.
"Lilith." sussurró.
I suoi occhi, solitamente truccati, ora, erano struccati e spalancati, come se avesse visto davvero un fantasma. La sua bocca era aperta, senza il solito rossetto rosso ciliegia che usava per conquistare tutti. La sua pelle non mostrava i segni dell'età.
Le si inumidirono gli occhi.

"M-Mamma...." riuscii a mormorare, prima di accorgermi che anch'io avevo gli occhi lucidi.
Era in piedi, sulle scale, con la sua camicia da notte, lunga fino alle ginocchia, bianca, a fiori blu chiaro, a maniche corte.
Dietro di lei, comparve un uomo, anche lui apparentemente giovane, con i capelli e la barba corti, castano chiaro, e con dei piccoli occhi marroni corteccia.
Entrambi scesero le scale, stupiti come non li avevo mai visti.
"Papà...." biascicai.
Sarei dovuta essere felice. E allora perchè piangevo?
Non piangere.
Mamma si avvicinó a me, mi accarezzó la guancia, mi passó l'indice sugli angoli degli occhi umidi, sulla punta del naso, che lei amava tanto, e sulle labbra tremanti.
Tremavo.
Avevo davanti a me i miei genitori. Eppure tremavo.
Perchè tremavo? Tremavo. Perchè?
Non piangere. Io sono felice.

"Tesoro...Lilith...piccola mia!" mi abbracció mamma.
Se prima, avevo sentito calore, con il piccolo abbraccio di Theo, che ora ci guardava affianco a me e mamma, ora, sentivo il sole brillare, dentro di me.
Stavo bene. Finalmente, dopo tanto tempo, mi sentivo libera e protetta. Mi sentivo a casa.
Allacciai le braccia alla sua vita, ricambiando l'abbraccio, e nascondendo il viso contro la sua spalla.
Non piangere.
Perchè avevo un bisogno fortissimo di piangere? Ero felice di rivedere i miei genitori. Allora, perchè sentivo salire le lacrime sempre piú?
All'abbraccio, si uní anche papà, che, come al solito, non disse niente, lasciando parlare solo i gesti.
"Lilith, tesoro, come stai? Cos'è successo?" mi prese il viso tra le mani mamma, coi suoi occhi azzurri preoccupati, che scrutavano ogni parte di me.
"Oddio, Lilith, ma...cos'è?" mi guardó il vestito, che, ormai, doveva essere sgualcito e sporco.
Come tante cose, a me poco importava. L'importante era che stessi bene.
"Lilith, questo è sangue?" mi prese un lembo del vestito e me lo alzó, strofinandolo tra pollice ed indice, con fare da investigatore, com'era sempre stata.
Perspicace, mamma.
"E questo dove l'hai preso?" chiese, prendendo un lembo del mantello nero che avevo addosso.
Guardai il mantello. Mi ricordai, allora, di avercelo ancora addosso.
Levai lo sguardo all'istante da quella meraviglia.
Che cos'avevo fatto?

Regno ribelleWhere stories live. Discover now