Capitolo 52

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Continuammo a camminare fino ad una porticina di legno, molto simile a quella della mia nuova stanza. La rossa prese le chiavi e l'aprí, poi si immerse nell'oscurità di una piccola scalinata in roccia, abbastanza antica da poter crollare da un momento all'altro. Senza aspettare oltre, la seguii, cercando di non perderla di vista, anche se non c'era la minima possibilità che potessi vederla. A dire il vero, non vedevo nemmeno i gradini su cui camminavo.
Dopo un tempo che mi parve fin troppo lungo, dopo aver avanzato nel nulla, comparve una piccola scintilla, seguita da altre, tutte simili alla prima, fino a che non si accesero delle piccole lampade a led, sul soffitto in roccia. A vederle, il mio viso si contrasse in una smorfia: l'alternanza antico-moderno degli oggetti, in quel posto, mi dava ancora la nausea. Inoltre, lí sotto, c'era molto piú caldo, rispetto alla mia camera, il che era strano, perchè, di solito, il calore va verso l'alto, non verso il basso. Dovevano esserci per forza dei camini o un qualche tipo di riscaldamento elettrico. Non volevo pensarci.
In ogni caso, la stanza, ai piedi della scala era tutto fuorchè moderna: antichi scaffali di legno ornavano le pareti rocciose, pieni di libri vecchi e consunti, con le pagine ingiallite dal tempo. Al centro, si trovavano quattro tavoli, disposti su due file parallele, abbastanza distanti da creare lo spazio sufficiente per ospitare un'altra scaffalatura di libri. Sui tavoli, delle piccole lampade da tavolo illuminavano il legno segnato.
La rossa si muoveva come se avesse passato ogni giorno della sua vita in quella stanza, andando ad esaminare i libri sulla scaffalatura piú a sinistra, piena di libri con la copertina dalla rilegatura dorata.
Poi, passó a controllare i libri con la copertina cosí usata da non riuscire nemmeno a leggerne i titoli; arrivó, poi, alle copertine ingiallite, quelle marroni, quelle nere, rosso scarlatte e bianche.
Infine, si fermó sulla scaffalatura piena di libri senza copertina, senza titolo. Non avevano nemmeno un autore. Sembravano piú libri di appunti, taccuini o diari. Eppure, qualcuno doveva averli pur scritti.
Erano cosí fini che non si riusciva a distinguere il punto in cui finiva un libriccino e ne iniziava un altro.
La ragazza ne prese uno in mano e cominció a sfogliarlo velocemente, tanto da farmi temere che le pagine potessero strapparsi, sotto le sue dita veloci e sicure. Tuttavia, lei era esperta, sapeva bene come maneggiare quelle sottilissime pagine, che sembravano fatte di carta velina, tanto erano fini. Il suo dito scorreva sulle parole nere, scritte in un corsivo antico, incomprensibili ai miei occhi. Quando capiva che il libro che aveva in mano non le sarebbe servito, lo chiudeva in fretta e lo riponeva sulla scaffalatura, insieme agli altri simili a lui.
Passava la punta delle dita sulle copertine consunte, ne prendeva uno, lo leggeva e lo rimetteva giú.
Continuó cosí per qualche minuto, poi riuscí a trovare ció che stava cercando: riuscii a capirlo grazie al bagliore dei suoi occhi e al suo sguardo, che divenne pensieroso.
Si allontanó dalla libreria e si appoggió sul tavolo con il libriccino. Prese una sedia e si sedette, leggendo e riflettendo sulle parole che aveva davanti.
Io la imitai, non sapendo bene come comportarmi.
Ogni parte di lei sembrava essere andata in fibrillazione, come se avesse appena trovato la soluzione a tutti i suoi problemi.
Mi allungai verso di lei, cercando di sbirciare qualche parola, anche la piú piccola, ma lei non aspettó oltre e richiuse il libro, lasciandolo sul tavolo. Si alzó e giró lo sgabello girevole, su cui ero seduta, in modo che ci potessimo parlare faccia a faccia.
Non sapevo cosa aspettarmi, ero preoccupata. Eravamo da sole, in una stanza abbastanza grande da non fare troppo rumore, nè avremmo potuto sbattere contro qualcosa, anche volendo. Non sapevo che cosa volesse da me, nè, tantomeno, chi fosse. Lei era un licantropo. Tutto ció che avrebbe potuto fare, a quel punto, era uccidermi. O trasformarmi.
Deglutii.
Ormai, sapevo già di aver combinato abbastanza guai da aver suscitato la sua rabbia. Quindi, perchè trattenersi?
Le sue iridi macchiate si soffermarono sulle mie, ricordandomi quanto fossimo simili.
Fin troppo.
Tuttavia, non volli interrompere la miriade di pensieri che le passavano per la testa, in quel momento. Avrei aspettato una sua parola, poi, forse, avrei provato a chiederle, per l'ennesima volta, spiegazioni.

Regno ribelleWhere stories live. Discover now