Capitolo 53

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Mi alzai in fretta, sotto gli occhi del Capitano e della rossa, sperando di poter raggiungere la porta, prima che le loro mani mi riacciuffassero. Mi aiutai con lo sgabello, per riprendermi dalla botta alla testa che avevo preso, sbattendo sul pavimento, aggirai il tavolo polveroso, con il libro che aveva tanto cercato la ragazza, e corsi per tutta la lunghezza della stanza, passando accanto ai due licantropi, fin troppo vicina ed in modo pericoloso: avrebbero potuto toccarmi spostandosi appena.
Tuttavia, l'istinto di sopravvivenza mi diceva di andare dritta verso le scale, uscire da quella stanza e cercare un posto sicuro, dove nessuno sarebbe potuto entrare. Poco era dire che non avrei trovato un posto del genere lí.
Salii le scale come se stessi scappando da un vero lupo, inciampando anche un paio di volte. Sentivo gli sguardi dei due su di me, erano penetranti.
Le scale sembravano non finire piú, erano un gradino piú difficile dell'altro, con il vestito che si impigliava nelle scarpe e nei miei passi affrettati, quando, finalmente, giunsi alla porta di legno, la aprii e mi buttai fuori di lí, letteralmente, mentre la porta si richiudeva dietro di me, silenziosamente. Era l'unica porta che non scricchiolava, in quel posto.
Mi rialzai da terra e mi guardai attorno: dove sarei potuta andare? Tornare nella mia stanza? Bastava un cenno della rossa e le guardie si sarebbero fatte da parte in un attimo. Andare nella sala da pranzo? Era l'ultimo posto in cui sarei mai andata. Andare nella cella di Dimitri?
Ok, ritiro: questo è davvero l'ultimo posto in cui andrei. Ma non avevo scelta. Ne avevo mai davvero avuta?
Decisi di prendere il corridoio di destra, quello da cui eravamo venute la rossa e io. Svoltai l'angolo e, come pensavo, trovai le due guardie affianco alla porta della mia stanza, impettite e che guardavano fisso davanti a sè, una pietra del muro per ciascuno.
Perlomeno, mi avrebbero protetta, almeno un po'.
Corsi da loro, trafelata, mi aggrappai al braccio robusto e ricoperto da una maglia aderente nera, disperata, cercando di concedergli l'espressione piú ferita di tutte, anche se sentivo che tutto ció che ero riuscita ad ottenere era una smorfia di confusione, timore, disperazione e richiesta di aiuto.

"Vi prego, proteggetemi! Lasciatemi entrare! Fate qualcosa!" li supplicai, con le lacrime agli occhi, tirando appena la manica dell'uomo davanti a me.
Non si mosse di un millimetro.
Guardai allora l'altro, piú nervoso e vulnerabile del primo, quello a cui erano tremati gli occhi, quando la rossa li aveva rimproverati.
"Vi prego! Aiutatemi! Fatemi uscire di qui! Aiuto...!" la voce, quasi, mi morí in gola, mentre sentivo delle voci avvicinarsi, una maschile, di rimprovero, ed una femminile, di lamento, provenienti dal corridoio del grande archivio.
Il Capitano e la rossa si stavano avvicinando.
Diedi una rapida occhiata al punto in cui il corridoio svoltava nella nostra direzione, assicurandomi che non fossi ancora nel loro campo visivo, quindi guardai, supplice, la seconda guardia. Mi alzai anche in punta di piedi, sperando che guardasse i miei occhi stanchi.
A quanto pare, funzionó, perchè la guardia si lasció sfuggire un piccolo sguardo nella mia direzione, lasciandosi convincere dalle mie parole, quindi aprí la porta della mia stanza e mi fiondai dentro, sbattendo la porta alle mie spalle.
Mi coprii la bocca con una mano, sconvolta, cercando di recuperare un minimo di autocontrollo, per non versare altre inutili lacrime di stress e sfinimento. Mi lasciai scivolare sulla porta, realizzando ció che era appena successo: la rossa aveva appena cercato di trasformarmi in una di loro. E perchè? Perchè diceva di essere mia nonna?
Nonna vive molto lontano da qui. È al sicuro. Non la puó raggiungere, per farle del male e farmi credere che lei sia veramente mia nonna e non quella umana.
Non ci stavo capendo piú niente nemmeno io.
Mi alzai e corsi allo specchio da tavolo, per controllare se avessi ferite sul collo, che non sentivo.
Forse, il morso di un licantropo è meno doloroso di uno vampiro, anche se era improbabile, dato che Mike era stato morso da un vampiro ed ancora zoppicava quando era venuto a prendermi, a casa mia, per condurmi in quel postaccio.
Accarezzai la pelle del mio collo, titubante, ma sia le mie dita sia la mia immagine riflessa nello specchio mi dicevano che il mio collo era completamente intatto. Sí, era completamente intatto. Ció voleva dire che la mia ferita era stata curata, da quando la rossa mi aveva tagliata con il coltellino, per far impazzire Dimitri, nella cella, una delle ultime volte in cui l'avevo visto.
Sobbalzai e portai lo sguardo sulla porta, distogliendolo da me stessa, quando dei battiti insistenti cominciarono a farsi sentire.
Mi allontanai ancora di piú dalla soglia.
Se non mi fossi fatta sentire, avrebbero creduto che fossi da tutt'altra parte?
Lo speravo, ma lo dubitavo.
Intanto, i colpi alla porta diventavano sempre piú potenti.

Regno ribelleWhere stories live. Discover now