Capitolo 71

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No!
Uscii dalla sala tremando, accompagnata da forti braccia, che mi cingevano la vita e mi garantivano di stare in piedi, senza il rischio di cadere a terra e contorcermi dalla nausea. Provavo rabbia. Non riuscivo a capire che cosa fosse successo. Non volevo capirlo. Ma il mio cervello era troppo sveglio, ormai, per lasciarsi sfuggire un avvenimento del genere: Reinold, un ragazzo innocente e giovane, era morto. E la persona che l'aveva ucciso era il Capitano. Eppure, aveva ammesso lui stesso che non era stato colpevole. Sembrava averlo letto nel suo sguardo. E Reinold non sembrava un ribelle.
Le lacrime mi scendevano sul viso, rigandolo senza sosta, lentamente e silenziosamente. Non avevo nemmeno la forza per gridare o per urlare contro il Capitano, che era ancora dentro alla sala, assieme al resto della folla.
Appoggiai la testa ad un petto caldo. Non riuscivo a capire di chi fosse, ma era caldo e rassicurante. Mi piaceva.
Il preside Stantford era rimasto lí, tra i licantropi, a guardare la scena. Non era intervenuto. Perció, cominciai a pensare che, forse, la Cerimonia del Cambiamento fosse davvero tutta una farsa, una tradizione che serviva solo a far passare dalla parte dei licantropi sempre piú persone. E Stantford ne era il portavoce, tra gli umani.
Ebbi un sussulto, un singhiozzo interiore, troppo profondo per poterlo far sentire ad altre persone, a quella che mi stava tenendo.

"Sh...." sussurró la voce di questa.
Una mano mi accarezzó i capelli.
Era un gesto cosí dolce, cosí rassicurante, che mi fece piangere ancora di piú: era da tempo che qualcuno non mi trattava cosí dolcemente. Perció, capii esattamente di chi si potesse trattare: una delle poche persone che erano state quasi sempre sincere con me e la persona con cui avevo condiviso il mio essere donna, anche se non volevo ancora ammetterlo a me stessa.
La mano continuó ad accarezzarmi, nello stesso punto; ogni volta che avevo un singhiozzo, le sue braccia mi stringevano di piú, per farmi sentire meglio il calore del petto. Ma, nonostante questo, le immagini di Reinold che cadeva, il rumore di un corpo che cade e lo sguardo determinato del Capitano mi ronzavano nella mente. Ancora non ci credevo: un ragazzo, appena quindicenne, era appena stato accusato di un crimine non suo e, pur sapendolo, il Capitano aveva deciso di condannarlo comunque.
Ebbi un altro singhiozzo.
Poi, la grande porta della sala cigoló, preannunciando l'arrivo della folla.
Sentii che i muscoli di James si irrigidirono, la sua testa si mosse a destra e a sinistra, cercando qualcosa, poi si mosse.
"Di qua." sussurró.
La porta si stava aprendo, quando James cominció a correre, per i corridoi bui, non una corsa normale, ma veloce, come quella che aveva fatto nel bosco, per portarmi via dai licantropi, tanto veloce da non riuscire nemmeno a distinguere le porte di legno, alle pareti. E si fermó subito. Davanti ad una stanza in cui non avrei voluto mettere piede mai piú. E la porta era chiusa. Le guardie non c'erano. Entrare nella stanza sarebbe stato un gioco semplicissimo. L'unica difficoltà era avere la voglia di entrare nella stanza, sapendo che, oltre la porta, mi aspettava non un vampiro qualsiasi, ma quel vampiro. Perció, non saremmo entrati, volenti o nolenti.
Proprio quando formulai questo pensiero, la porta si aprí, da sola, rivelando niente di meno che un vampiro, un po' magro, un po' pallido, un po' sporco, un po' spettinato. Tuttavia, quel vampiro magro, pallido, sporco e spettinato avrebbe potuto fare ció che aveva appena fatto il Capitano con Reinold, a mani nude. Ma il vampiro aveva ancora gli occhi chiusi. Forse, se non mi avesse vista, avrebbe richiuso la porta.
Come non detto.
I suoi occhi si aprirono in quel momento.
Fu come se mi avesse preso il cuore e lo avesse stretto nelle mani, premendo, poco a poco, sempre un po' di piú. Oppure, come se mi avessero infilzato il coltellino della rossa dritto nel cuore. O come se il Capitano mi avesse sparato in pieno petto.
Non c'era un modo per descrivere ció che lo sguardo di Dimitri mi stava facendo. Faceva solo molto male. I suoi occhi turbinosi erano piú scuri della pece, i canini belli in vista. Sembrava che con il solo sguardo mi facesse affogare in un oceano. Il suo oceano, dentro di lui. Temevo di non riuscire ad uscirne.

"Guarda chi si rivede." sputó veleno Dimitri, con una voce non sua.
Era una voce piú acida. Non era piú la persona che avevo lasciato nella cella. La persona che avevo lasciato era debole, con una ferita profonda al petto, protettiva e, a suo modo, dolce, anche se non lo ammettevo. Questa, invece, era un re tiranno, determinato e spregiudicato, pronto a tutto per i propri scopi. Ma, soprattutto, si reggeva in piedi. Sembrava stare benissimo.

"Allora è vero." non riuscii a controllare la mia bocca.
Dimitri non mi rispose.
"Allora qualcuno ti ha davvero aiutato." sussurrai, un soffio a malapena udibile.
La bocca di Dimitri si allargó. I canini e i denti bianchi fecero la loro grandiosa comparsa totale. Il suo sorriso era uno dei peggiori che avessi mai visto.

"Il mio potrà anche essere un regno ribelle, ma quella ragazza non sa che si sta creando gruppi di ribelli da sola." sibiló.
"Quel ragazzo, quello che è stato appena portato via, quello accusato di aver aiutato il nemico? Non sapevo chi fosse. Eppure, quella ragazza sembrava convinta che fosse stato proprio quel ragazzo ad aiutarmi. Perció, perchè smentirla? È lei la sovrana qui." aggiunse dopo una piccola pausa.
Non ero sicura di aver sentito davvero quelle parole. Credevo di essermele inventate. Non potevano essere vere. Di sicuro, mi sbagliavo. Dimitri stava dicendo che la rossa aveva avuto ragione ad accusare quel giovane?!

"Sai anche tu che era innocente!" esclamai, stupita.
Lui non smise di guardarmi negli occhi.

"Se la sovrana ha deciso cosí, questo si deve fare. Ed è ció che dovresti fare, che avresti dovuto fare, anche tu, fin da quando ci siamo incontrati: obbedirmi." strinse gli occhi e divenne serio.

"Basta cosí." mormoró James, alle mie spalle, mentre io avrei voluto poter ribattere qualcosa.
Invece, tutto tornó confuso, le pareti, il volto di Dimitri. Mi ritrovai in una piccola stanza buia, senza letti o tavoli. Era una stanza vuota. Senza porta.
Mi strinsi a James: mi aveva portata via ancora una volta da Dimitri, mi aveva aiutata di nuovo. Lui mi cinse la vita con un braccio e mi fece appoggiare la testa sulla sua spalla, lasciando che le lacrime, che avevano ripreso a scorrermi, lo inzuppassero.
Dimitri aveva appena dato ragione alla rossa. Ma come era potuto succedere? Stava diventando ció che gli umani temevano. Ció che erano stati portati a temere.
Dopo qualche singhiozzo rumoroso, ripresi a piangere silenziosamente. Poi, non scesero piú nemmeno le lacrime. Era come se Dimitri mi avesse davvero preso il cuore e ce lo avesse ancora in mano. Ero sotto il suo controllo. Nemmeno il braccio di James riusciva a farmi ritrovare il controllo delle mie emozioni.
Fuori, da qualche parte, probabilmente, la rossa mi stava cercando. Ma da dove mi trovavo, con James, non si sentiva alcun rumore: c'era silenzio.

"Raccontami qualcosa di bello." mormorai, dopo alcuni istanti.
Avevo bisogno di quello sciocco giochino che avevo sempre fatto.
James si mosse, forse pensando a cosa dirmi. Io aspettai.

"A volte, mi era sembrato di vedere le cime degli alberi muoversi, al castello, anche se non soffiava un filo di vento. In quei momenti, gli uccelli smettevano di cantare e il silenzio regnava. Mi sembrava di stare sopra le nuvole. Mi sembrava di star facendo un lungo viaggio insieme alla persona che amavo." disse, lentamente.
Era una cosa che avevo già sentito. Ma mi bastó per far smettere alle mie lacrime di scendere.

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