Capitolo 63

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Vagavo senza una meta. Ogni parte di quel posto era misteriosa e mi tendeva una trappola, ben nascosta, perchè io ci cadessi. Sentivo le gambe tremare per l'agitazione.
Per prima cosa, svoltai a sinistra, da dove eravamo venute Stacey e io, poi di nuovo a sinistra, infine a destra. Svoltai di nuovo a destra. O sinistra? O avrei dovuto proseguire dritto?
Mi trovai presto di fronte ad un incrocio, che aveva vie laterali ed una di fronte a me. Avrei potuto svoltare a destra, a sinistra o proseguire dritto. Purtroppo, quando Stacey mi aveva accompagnata in bagno, avevo prestato piú attenzione a fingermi malata che alla strada che avrei dovuto percorrere per tornare nella mia stanza.
Spostai lo sguardo su tutte le direzioni che avrei potuto prendere. Stacey mi aveva ripetuto piú volte di svoltare a destra, perció, probabilmente, avrei dovuto prendere la strada che portava a sinistra, per tornare indietro? Mi soffermai con lo sguardo su questa. Era uguale alle altre due strade. Sarebbe cambiato qualcosa se avessi sbagliato strada?
Mi voltai a sinistra, decisa e pronta ad intraprendere quel percorso. All'ultimo, peró, tentennai.
E se ci fosse qualcuno che mi sta aspettando, lí? Se mi ritrovassi di fronte Stacey? Se mi trovassi da sola con la rossa? Proverebbe a rimordermi?
Alzai le spalle.
La rossa non mi avrebbe piú fatto del male.

Smettetela! Vi ho detto di smetterla! Quando la finirete? Vi farete sentire!
Stavo litigando con i piccoli tacchi delle mie scarpe, che, ad ogni passo, mi facevano riconoscere ed attiravano l'attenzione.
L'attenzione di chi? Non c'è nessuno.
Non c'era nessuno, nel corridoio, e mi sembrava strano poter girare da sola per la struttura. Solo altre poche volte era successo, ma, in ogni caso, c'era sempre stato qualcuno ad attendermi. I miei viaggi, quindi, erano programmati. Non mi era stato permesso di vedere niente. Ora che ci pensavo, in quel momento, avrei potuto cercare porte o passaggi che dessero all'esterno e che mi permettessero di scappare, senza sguardi indiscreti. In effetti, mi sentivo un po' osservata, come se qualcuno mi seguisse.
Probabilmente, è solo un'impressione.
Cominciava a fare freddo. Mi strofinai le mani sulle braccia, per scaldarmi, ma non serví a molto. Finalmente, dal fondo del corridoio, cominciarono a levarsi delle voci. Erano, per lo piú, maschili, ma si sentivano anche delle voci di bambini, quindi non ero sicura che fossero tutti maschi. Questo voleva dire che non avrei ricevuto violenze, data la presenza anche di bambini: sarebbero stati capaci di farmi subire violenze anche di fronte ad occhi innocenti come i loro?
Sono licantropi, non umani. Sono diversi da noi.
Spesso, mi dimenticavo che i licantropi erano i nostri nemici. Anche se, fino ad allora, avevano solo provato a mordermi, una cosa che aveva già provato a fare anche James. A proposito, chissà dov'era?
Mi avvicinai al piccolo gruppo, felice di aver trovato, finalmente, qualcuno, in giro.
Piú mi avvicinavo, piú notavo quanto fossero alti e scolpiti i ragazzi, severi e maliziosi gli adulti, solo maschi i bambini. Parlavano tra di loro ridendo, con un sorriso subdolo sul volto. Non sapevano nemmeno del mio arrivo. Dai colli delle loro maglie, non compariva alcun segno scuro, non come alle guardie della cella di Dimitri o al Capitano. Non sapevo che significato avessero quei segni scuri, ma qualcosa mi diceva che loro non fossero benintenzionati come il Capitano o le guardie. Forse, avrei dovuto ascoltare il mio istinto, che mi diceva di scappare.
Quando i miei tacchi riuscirono a far abbastanza rumore da attirare la loro attenzione, loro si girarono, con gli occhi leggermente assottigliati e sospettosi.
Scappa, mi ripetei. Non so perchè non mi ascoltai. Rimasi lí, a guardarli, speranzosa, quasi aspettandomi di vedere un accenno di comprensione. Non avrei potuto sbagliarmi di piú.
I due adulti rimasero a guardarmi, sospettosi, mentre i due ragazzi si scambiarono un'occhiata d'intesa. Poi, questi ultimi tornarono a rivolgere la loro attenzione su di me.
In quel momento, commisi un altro enorme sbaglio: i due ragazzi mi sorrisero, entrambi con lo stesso sorriso attraente e quasi sincero, che mi fece fidare di loro quel tanto che bastó a cacciarmi nei guai. Ma quelli arrivarono dopo.
Una volta che furono abbastanza vicini, uno dei due cominció a parlare.

"Ti sei persa?" chiese, con un tono dolce e sincero.
Cancellai subito tutti i brutti pensieri che avevo avuto su di loro. Ma c'era di piú: avevo davvero la faccia di una che si era persa?
Ricambiai il sorriso timidamente, abbassando lo sguardo sulla punta delle mie scarpe leggermente rialzate. Mugugnai un , ma ero sicura che i due ragazzi me l'avessero chiesto piú per cortesia che per il bisogno di una vera risposta: sapevano già che non sapevo minimamente dove fossi.
Dietro di me, avvertii una folata d'aria, perció mi girai, sospettosa: lí, non c'erano finestre; come poteva esserci anche solo un soffio d'aria?
Tuttavia, venni fermata dalla mano del ragazzo di fronte a me, che mi alzó il mento, posandomi un dito sotto di esso. Mi ritrovai presto a pochi centimetri dal suo viso. Subito dopo, avvertii chiaramente un calore anche da dietro, un corpo che si stringeva alla mia schiena, due mani grandi che mi avvolsero la pancia.
Scappa!
Ormai, era troppo tardi.
Il cuore cominció a saltare battiti, il respiro mi divenne accelerato, non riuscivo quasi piú a pensare lucidamente.
"Se vuoi, ti accompagnamo a casa noi." propose il ragazzo di fronte a me, con un tono malizioso e facendomi sentire il suo alito rancido, soffiandomelo in faccia.
Provai a spingerlo via, ma, cosí, non facevo che dare la possibilità al ragazzo dietro di me di catturarmi sempre di piú nella sua presa famelica. Sentivo il suo fiato caldo e disgustoso sul collo.

"Lasciatemi." sussurrai.
Avrei voluto ordinarlo, come avevo fatto tante altre volte, ma, in quel momento, non avevo altro fiato se non quello.
Il ragazzo di fronte a me mi schiacció contro il ragazzo dietro di me. Per caso, mi capitó lo sguardo sulle persone piú lontane: i due adulti e i due bambini. Mi ero sbagliata: gli adulti avrebbero fatto qualunque cosa, anche di fronte ai bambini; i bambini non erano innocenti come sembravano, anzi, sembravano piú furbi e subdoli di tutti gli altri quattro presenti messi assieme.

"Come ti chiami?" ebbe anche il coraggio di domandarmi il ragazzo di fronte a me.
Aveva i capelli scuri, un colore indefinibile, color cedro, e due occhi cosí scuri da sembrare i fondali del mare.
Si abbassó a baciarmi il collo, mentre quello dietro di me sorrideva, sentivo le sue labbra sulla nuca. Mi trattenni dal fare una smorfia di disgusto.
Poi, mi tornó in mente un particolare, in tutto quel disordine: mi aveva chiesto chi fossi. Ció voleva dire che non aveva partecipato ai festeggiamenti della rossa. Ció voleva dire che avrebbero potuto anche essere umani. Ció voleva dire che avrei potuto batterli.
Avvenne tutto troppo velocemente: il ragazzo dietro di me si staccó improvvisamente, portandomi quasi via con sè, ma fui trattenuta dal ragazzo davanti, che mi circondó le spalle con le braccia, ma non fu abbastanza veloce e sentii che qualcuno mi stava portando via, prima ancora di vedere il ragazzo davanti cadere per terra di schiena. Per poco, non caddi anch'io ma riuscii a mantenermi in equilibrio, prima di vedere un completo elegante, capelli tirati indietro e degli occhi color ebano fulmineggianti puntare una pistola lucidissima, fino a sembrare d'argento, contro il ragazzo dai capelli color cedro.
Ma che stava facendo? Avrebbe voluto ucciderlo, uccidere un componente del suo regno?
Poi, peró, tiró via la pistola e lo spinse appena con il piede, sorridendo, disgustato.

"Sta oltrepassando il territorio." lo avvertí qualcuno, forse uno degli adulti, ma non riuscii a capire chi fosse, mentre il Capitano mi avvolgeva le spalle e mi riportava nella direzione da cui ero venuta.

Regno ribelleWhere stories live. Discover now