Capitolo 87

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Era vero. Non sapevo niente di lui. E questo lo rendeva estremamente pericoloso.
Mi voltai verso la bambina, che era seduta affianco a me. Ma la bambina non c'era. Mi irrigidii, sulla sedia.
Dov'era finita?
Allungai lo sguardo sulla folla, che, lentamente, si stava ingrandendo. Ma era difficile vedere una bambina della sua statura, in mezzo a tutte quelle persone.
Dov'è, dov'è, dov'è?
Il mio sguardo correva, sui vestiti eleganti e sui volti sorridenti. Nessuno di loro aveva perso una bambina. Questa non sembrava da nessuna parte. Fino a quando non la vidi: era in braccio ad una persona, girata di spalle, che stava camminando tra la folla; questa, al suo passaggio, si apriva.
Mi alzai dalla sedia, preoccupata.
Qualcuno lo fermi!, avrei voluto urlare alla folla, per fermare l'uomo che stava portando via la bambina. Perchè nessuno stava facendo niente?
Poi, me ne accorsi: l'uomo era vestito elegantemente, come molti uomini, nella sala; i suoi capelli erano pettinati all'indietro; sul collo si intravedevano due punte nere, le punte di un tatuaggio. Era il Capitano.
Mi lasciai ricadere sulla sedia. Il Capitano l'aveva presa per metterla sotto la tutela di una guardia. Non stavano portando via la bambina, non era in pericolo.
Gli invitati presero posto, continuando a parlare. Sembrava che non sapessero nulla su ció che stava accadendo fra i licantropi e i vampiri. Notai che molte delle persone presenti erano sulla trentina; c'erano pochi bambini e bambine; nessuno di loro sembrava avere piú di cinquant'anni. Molti di loro avevano un viso familiare, come se li avessi visti già da qualche parte. Riconobbi il preside, seduto ad un tavolo, che si guardava attorno, preoccupato. Stare in un posto pieno di licantropi non lo rendeva a suo agio. Non potevo biasimarlo. Fino a poco prima, anch'io tremavo, alla vista del Capitano. Da quel pomeriggio, peró, qualcosa, dentro di me, era cambiato: avevo capito che la rossa non avrebbe permesso che le disubbidissi; e io non avrei potuto disobbedirle. Perció, perchè opporsi? Se ció che diceva su di me era vero, avrei preso il posto che mi spettava.
Subito dopo che tutti i tavoli si furono riempiti, dalle porte aperte, entrarono dei camerieri, in divisa, con dei vassoi colmi di cibo, che, da lontano, non riuscivo nemmeno a riconoscere: non erano cibi semplici, ma elaborati.
Proprio in quel momento, si accostó a me una delle guardie che stava alla mia porta, quella piú severa. Allontanó la sedia dal tavolo, quella su cui era seduta la bambina, e si sedette. Alla sinistra della rossa, invece, straordinariamente, non si accostó il Capitano, ma una di quelle che dovevano essere le guardie. Lo osservai meglio e riconobbi che era una delle due guardie che erano rimaste a guardia della porta della cella di Dimitri.
La guardia si abbassó, per sussurrare qualcosa all'orecchio della rossa, che aggrottó la fronte ed annuí. Le sue labbra erano tese.
Quindi, la guardia spostó la sedia dal tavolo e si sedette, a sua volta. Era la prima volta che vedevo la rossa cosí tesa. Incroció le braccia sul tavolo e cominció a pizzicarsi la pelle del braccio con le dita di una mano. Il suo sguardo vagava tra la folla, che stava già cominciando a mangiare, velocemente.
Provai a guardare anch'io la folla, curiosa di cosa potesse far agitare tanto la rossa. Poi, mi venne in mente: la mia famiglia.
Guardai la rossa.

"Dove sono?" le chiesi, in un soffio.
Avevo già scrutato ogni viso, in quella sala, ma nessuno era quello di mia madre o di mio padre.
Lei ricambió il mio sguardo, scettica.

"Chi?" domandó.

"La mia famiglia. Mia mamma. Mio papà." risposi velocemente.
Prima che sia troppo tardi.
Quando ero entrata nella sala, erano presenti poche persone, che parlavano tra di loro, ridendo. I miei genitori non potevano essere già stati attaccati.
Lei alzó gli occhi al cielo.

"Quello. Non c'è la tua famiglia.".

"Ma-".

"Avevi bisogno di una motivazione. Ma non è servita a molto.".
Tornó a guardare la folla, preoccupata.
Per un attimo, immaginai di darle uno schiaffo. Sul viso, quel bel viso che si ritrovava, per farle sentire come mi ero sentita quando lei mi aveva detto che la mia famiglia sarebbe stata presente, in mezzo a tutti quei licantropi, a cena. Rischiando di suscitare i licantropi ad attaccarli.
Lei mi aveva mentito. Credevo non l'avrebbe fatto, ma l'aveva fatto. Nonostante fosse un licantropo, non era diversa dai vampiri.
Trattenni i miei pensieri e tornai a guardare di fronte a me, la folla che mangiava. Sembrava cosí tranquilla.
Poi, li vidi: occhi dorati, che stavano guardando dritto verso di me. Conoscevo quegli occhi. Li avevo visti da vicino. Era Mike. Era nascosto nell'ombra, fuori dalla sala, ma era inconfondibile. Si mossero un attimo, un movimento quasi impercettibile, verso la mia destra. Anche il suo dito indicava la mia destra. Indicava un punto vicino al nostro tavolo, sul muro. Lentamente, voltai la testa verso quel punto, titubante. Voltai anche lo sguardo.
Stavo per urlare, ma mi premetti una mano sulla bocca, per non destare sospetti: accanto alla guardia, appoggiato al muro, c'era un uomo, che mi stava guardando, con le braccia incrociate, i capelli scuri spettinati, gli occhi furibondi ed una grossa macchia insanguinata sul petto. Dimitri.
Sbattei le palpebre, stupita, impaurita, confusa, e scomparve. Il muro era vuoto.
Spostai la mia attenzione, subito, sulla sala. Ma, di Dimitri, nessuna traccia.

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