Capitolo 12

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Sfiorai la fronte di Theo con la punta delle dita. Il suo viso era rilassato, privo di qualsiasi preoccupazione. Probabilmente, ora, era in un altro universo, a combattere i malvagi e a salvare la sua città, come il supereroe dei suoi sogni.
Ero io il suo supereroe.
Le mie dita proseguirono lungo le sue guance morbide, i suoi zigomi, toccarono anche il suo piccolo nasino, che si alzava ed abbassava ad ogni respiro.
Nonostante avessi appena spento la luce, dopo avergli letto la favola della buona notte, Cappuccetto Rosso, la sua preferita, lui era già nel suo mondo, preso in avventure impossibili.
A volte, mi raccontava i suoi sogni, la mattina dopo che li aveva fatti, non perdendosi nemmeno un particolare. La sua gioia era contagiosa, in quei momenti.
Le mie dita scivolarono di nuovo sulle guance, poi sul mento.
Poi, si persero nel vuoto, nello spazio che c'era tra il suo mento e il suo collo sottile.
Per me, il momento dei giochi era finito. Avevo troppo a cui pensare, per poter permettermi anche il divertimento di stare con il piccolo Theo. E lui era troppo piccolo per poter stare con me, rischiando la vita per nulla.
Dimitri non era riuscito a tenere a bada quella manciata di licantropi che vivevano vicino al castello in cui alloggiava. Figurarsi se riusciva a tenere a bada due interi regni, il suo e quello dei suoi nemici.
Il risultato era stato quello che era stato.
Sono stata io a volerlo.
Ero stata io a mandarlo via da me, a dimostrare che non era adatto a fare il re.
Voleva prendermi come sua principessa.
E io ero in grado di governare due regni?
La porta si aprí scricchiolando.
Voltai la testa in quella direzione, per vedere solamente James, che se ne stava lí, a braccia incrociate, appoggiato allo stipite della porta, a guardare il mio fratellino.
Mi girai di nuovo verso Theo.
Non c'era nulla da dire: era stupendo, anche se era solo un bambino.
Da grande, sarebbe diventato un bel ragazzo.
Appoggiai una mano sulle coperte del letto, per tirarmi su, dalla posizione inginocchiata in cui ero.
Avevo la netta impressione che James volesse parlarmi, anche se non sapevo esattamente di cosa.
Mamma e papà mi avevano lasciata a leggere Cappuccetto Rosso da sola, concedendomi un momento di ritrovo tra me e mio fratello, con la luce soffusa e il silenzio.
Dopo tanto tempo, finalmente, c'era stato un po' di silenzio. Le mie orecchie ne erano grate.
Mi allontanai dal mio fratellino, rannicchiato sotto le coperte, per andare da James.
Dopo aver dato un'ultima occhiata a Theo, chiusi la porta il piú delicatamente possibile, senza, peró, evitare uno scricchiolio.

"I tuoi genitori mi hanno dato una stanza in cui stare." cominció lui.
Rispetto allo sguardo arrabbiato di poco prima, ora, i suoi occhi sembravano quasi euforici.
Quasi perchè nemmeno lui era cosí ingenuo e sciocco da dimenticare tutti i pericoli che incombevano su di noi. Ma, considerando quel quasi in senso positivo, era quasi euforico perchè era da molto che qualcuno, genitore, non gli rivolgeva qualche attenzione.
Era stato abbandonato da suo padre e sua madre, dai suoi genitori, non perchè avessero voluto, ma perchè erano morti. E, quando qualcuno è morto, nessuno lo porta piú indietro. Nemmeno se si trattava di Sylver. Nemmeno di Mike. Nemmeno di Dimitri.
Sentii un'altra enorme crepa, nel mio cuore, farsi sempre piú profonda, come una lama. Mi stava dilaniando dall'interno, come uno spillo che si faceva sempre piú grande.
Mi portai una mano al cuore e strinsi quel punto del petto, in cui sentivo perdere dei battiti.
Faceva male perdere qualcuno. Soprattutto se quel qualcuno mi era caro.
Sentivo le lacrime risalirmi agli occhi.
"Vieni." mi prese la mano James e mi condusse verso la camera degli ospiti, occupata da un solo letto, piccolo e con coperte semplici e bianche, e da una scrivania; una finestra, grande, e con un piccolo balconcino, apriva la vista della casa verso la foresta.
Chissà se si vedeva il castello di James?
È stato bruciato.
Sentivo le gambe molli, tremavano, sarei collassata da un momento all'altro.
Quello che avevo avuto con i miei genitori era stato un piccolo momento di pazzia, in cui mi ero addossata la colpa di tutto, in parte anche ingiustamente. In confronto, ora, avevo bisogno di qualcuno che mi facesse sentire al sicuro, mi facesse dimenticare che persona orribile fossi e che mi facesse accettare che, ormai, la mia migliore amica e, probabilmente, due dei miei pretendenti erano morti. Non era facile da digerire. Per niente.
James chiuse la porta lucida, di legno, e mi accompagnó al letto. Mi fece sedere affianco a lui, guardando verso il muro e dando le spalle alla finestra, poi mi prese le mani tra le sue.
Mi ero dimenticata che ci fosse un armadio in quella stanza. Forse, anche uno specchio?
Non servivano luci: c'era già la luce dell'alba che ci illuminava, ormai il sole era quasi sorto del tutto. Erano piú o meno le cinque del mattino.
"Sfogati." mi disse, d'improvviso.
Lo guardai, non capendo.
"Sfogati." Ripetè. "Non ti giudicheró, se vuoi non ti ascolteró nemmeno, ma sfogati.".
Non aspettai oltre ed appoggiai la fronte alla sua spalla, scoppiando in un altro pianto amaro, il terzo della giornata, ormai. O forse il quarto?
Non riuscivo a smettere di piangere, di lamentarmi, mi sembravo una bambina. Lo ero: per un mio capriccio, avevo fatto sí che Dimitri prolungasse l'attesa, che permettesse ai licantropi di organizzarsi per l'attacco a sorpresa; avevo permesso a Mike di impicciarsi nei miei affari, complicando ulteriormente la situazione; avevo spezzato il cuore a Sylver; avevo fatto sí che Dimitri si illudesse, gli avevo fatto credere di poterlo amare; avevo fatto credere a James di poter rimanere insieme a lui, ma il fatto era che, anche ora che avevo bisogno di lui non solo come persona, ma anche carnalmente, non avrei potuto fare niente con lui, o saremmo stati banditi entrambi.
Da che re?
Chi sarebbe stato al comando, ora? Chi avrebbe sostituito il carattere fermo di Dimitri?
La risposta la sapevo già senza chiedere: nessuno.
L'artefice di tutto quel caos ero io. Nessuno avrebbe potuto negarlo. Nemmeno James.

La mia gola era secca, le lacrime si stavano fermando, salate ed umide. La maglietta di James era bagnata, sulla spalla, per colpa del mio pianto ininterrotto. Sentivo il sapore della sconfitta sulle labbra, immerso nell'acqua dei miei occhi. Era salato come il sale su una ferita. Faceva male.
Mi asciugai, con la manica sporca del vestito ormai sgualcito, il viso, tentando di cancellare i miei errori con una passata. Non ci sarei riuscita.
Ora, vedevo il sole, coperto dalle nuvole, appena sopra la montagna, al di là dei vetri della finestra, che illuminava il muro bianco davanti a noi.
Mi girai verso di quello. Il cielo era grigio.
Attraversai il letto, gattonandoci sopra, fino a sedermi al bordo opposto a dove era seduto James.
Dopo poco, mi raggiunse anche lui.
Anche se non si vedeva il sole, il panorama era comunque bellissimo: il grigio-bianco contrastava con il verde fitto della foresta, che, con i suoi pini a punta, infilzava le piccole nuvole innocenti. Il sole sembrava conferire alle piccole un'aria candida. Ma quelle coprivano il sole; anche se sembravano non colpevoli, lo erano.
Cosí mi sentivo io: da fuori, potevo sembrare la vittima, ma non lo ero per niente.
Appoggiai la testa sulla spalla asciutta di James. Lui non protestó e rimase a guardare con me il sole che si alzava.

"Raccontami qualcosa di bello." gli dissi.
Sentii i suoi occhi puntati sulla mia testa spettinata.

"Cosa?" chiese, confuso.

"Raccontami qualcosa di bello." Ripetei. "Lo dicevo sempre da piccola a mio papà quando mi sentivo giú, per tirarmi su di morale. Mi aiutava a non pensare alle cose tristi. Di solito, funzionava.".
Tirai su con il naso, ripensando ai piccoli momenti tra papà e me. Lui mi aveva sempre aiutata, quando ero stata in difficoltà; quando mi sentivo triste, mi aveva fatto sempre ridere.
James si mosse a disagio, sul letto. Forse, non sapeva cosa dirmi.
Poi, si rimise nella posizione di prima, lasciandomi contro la sua spalla.

"A volte, mi era sembrato di vedere le cime degli alberi muoversi, al castello, anche se non soffiava un filo di vento. In quei momenti, gli uccelli smettevano di cantare e il silenzio regnava. Mi sembrava di stare sopra le nuvole. Mi sembrava di star facendo un lungo viaggio insieme alla persona che amavo.".

Regno ribelleWhere stories live. Discover now