Capitolo 50

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Le finestre tremarono, scosse da una folata di vento gelido, che, peró, non giungeva fino a me. Le rocce erano silenziose, terribilmente silenziose, tanto che cominciai a trovarle noiose.
Mi sedetti sul letto, a mirare il soffitto sconnesso. Piú che una camera da letto sembrava la stanza di un servo.
Mi venne in mente la ragazza silenziosa, che mi aveva procurato i vestiti puliti, misteriosa ed esile. Ma, d'altronde, se i vampiri avevano dei servi, perchè anche i licantropi non potevano averne? I servi vampiri non mi avevano mai parlato. Perchè avrebbero dovuto farlo i servi licantropi?
Era tutto un grande déjà-vu, un grande e terribile déjà-vu. Tutti erano misteriosi, io ero ferita e temevo che potesse succedere qualcosa di brutto da un momento all'altro. I licantropi erano i nostri nemici. Ma non lo erano stati anche i vampiri, per me, fino a qualche settimana prima?
Il mio compleanno si stava avvicinando, il mio diciottesimo compleanno, e pensare di passarlo chiusa in una stanza della servitú non era mai stato un mio sogno. Avrei dovuto farci l'abitudine, prima della data fatidica, altrimenti avrei sofferto per un nonnulla.
Mi sdraiai sulle coperte soffici, ma logore, sospirando.
A questo punto, al castello di James, sarei stata già nel mondo dei sogni, ignara di tutto ció che sarebbe accaduto dopo, pronta a credere alle bugie che mi avrebbero raccontato, pronta a donare il mio cuore a qualcuno. Ma non ora: dentro quella stanza angusta, cominciai a riflettere su tutto quello che mi era capitato da quando avevo visto per la prima volta la rossa. Erano state, per lo piú, domande senza risposta, dubbi crescenti, delusioni incontrollabili; avevo fatto piú di quanto avessi mai pensato in vita mia, come abbandonare qualcuno per ben piú di una volta, credere ad altre menzogne, rovinare una recita organizzata e rifiutarmi di fare qualcosa che non accettavo. Come lo stare chiusa in quella minuscola stanza.
Mi alzai subito, indispettita dalla mia situazione: mi trattavano come una debole, come un'umana.
Il vento soffiava ancora, piú forte di prima, sempre piú prepotentemente.
Aprii la porta e....
Mi bloccai, con la mano sulla maniglia: la porta era chiusa.
Riprovai, con piú forza, ma non si abbassó. Riprovai e riprovai, ma non riuscii a smuovere quel pezzo di ottone di un millimetro.
Che significa? Aprite!
Sbattei la mano sulla porta di legno, con forza, per richiamare l'attenzione delle guardie che, sicuramente, si trovavano fuori da quella porta, ai lati, che sentivano tutto.

"Aprite!" urlai, tirando ancora la maniglia, come per staccarla.
Mi ignoravano ed era terribilmente frustrante.
Provai ad allontanarmi un po', per prendere la rincorsa e buttarmi sulla porta, ma, appena lo feci, me ne pentii, per il forte dolore alla spalla, che aveva sbattuto contro il legno pieno di schegge. Non funzionó.
Mi accasciai a terra, sconfitta.
Avevo voglia di implorare aiuto? No. Avevo voglia di accettare le condizioni della rossa, pur di liberarmi? No. Avevo voglia di piangere? No.
Non ero piú la ragazza che era entrata nel castello di James. Non ero la fragile, la smarrita, la debole.
Avevo bisogno di pensare ad una strategia.
Con la schiena contro la porta di legno, cominciai a pensare: la finestra era fuori discussione, date le grate oltre il vetro ed il precipizio su cui si affacciava; chiedere aiuto un'altra volta avrebbe mostrato la mia debolezza, un'altra volta; chiedere altre spiegazioni, anche rimanendo in quella stanza, non sarebbe servito a niente.
Chiusi l'anta dell'armadio, nell'angolo, aperto, sbattendola per la frustrazione, lasciandomi scappare un verso di rabbia. Per poco, quello non cadde a pezzi, da tanto vecchio era. Magari, se si fosse rotto quello, avrei potuto chiedere di farmene portare un altro, approfittando, poi, dell'occasione offertami dalle guardie, per fuggire.
Mi rialzai, capendo che rimanere seduta contro la porta non avrebbe fatto altro che farmi perdere tempo. Mi allontanai, camminando per la stanza, poi mi ricordai del piccolo corridoietto, in cui si era nascosto Mike, poco prima.
Mi avvicinai, curiosa di sapere cosa ci fosse dall'altra parte di quella piccola porta.
E se avessi trovato qualche lupo, pronto ad attaccarmi? E se avessi trovato la rossa? E se avessi trovato la camera del capitano? Sempre ammesso che ce l'avesse, la camera. E se avessi trovato un'altra stanza per il bagno? Non sarebbe servito a nulla, ma, per lo meno, avrei avuto modo di lavarmi.
Aprendo quella porta, avrei potuto incontrare pericoli peggiori di quelli che avevo incontrato fino a quel momento, ma avrei potuto anche perdere una grossa occasione.
Posai la mano sulla maniglia.
Apro o non apro?
Abbassai la maniglia.
Tirai un calcio alla porta, quando scoprii che anche quella porta era chiusa a chiave.
Tenere tutti quei segreti, con me, non li avrebbe aiutati con il mio carattere ribelle.
Ero sotto il controllo di due regni contemporaneamente, uno che si stava disgregando, l'altro che stava nascendo. Io ero una ribelle.
Non appartenevo a nessuno dei due regni.

Regno ribelleWhere stories live. Discover now