Lino

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Stavo ancora ripensando al giorno precedente: avevo compiuto tredici anni e nessuno dei miei compagni di classe aveva ricordato questa ricorrenza. Il compito di matematica, poi, non era andato come previsto: un misero sei e mezzo mi aveva abbassato la tanto sudata media del nove.
Neanche il suono della campanella riuscì a tirarmi su di morale. Afferrai di malavoglia la cartella e mi diressi, stanca e delusa, verso casa.
La primavera manifestava i suoi frutti con tutta la forza possibile. Un dolce venticello muoveva le foglie, che frusciavano lentamente come se danzassero calme. Ma niente, neanche la romantica atmosfera di marzo, coi suoi colori sgargianti e i profumi tanto decisi quanto dolci, riusciva a distogliermi da quello stato senti comatoso in cui versavo.
Avevo tredici anni, e il giorno del compleanno era un evento importante per me. Ed i bei voti sulla pagella erano la mia unica soddisfazione, a quei tempi. Ero una comune adolescente coi suoi problemi esistenziali, e somigliavo tanto ai miei compagni, anche se solo in questi dettagli negativi.
Avevo già oltrepassato la struttura di cemento abbandonato, quando qualcosa attirò la mia attenzione.
Mi risvegliai improvvisamente dai miei pensieri malinconici e posai lo sguardo proprio in direzione della pista abbandonata.
Con mio stupore, notai che, per la prima volta da quando avevo memoria, era occupata da qualcuno.
Lisci capelli biondi ed un completino rosso, furono questi i dettagli che più mi colpirono di lui.
Mi avvicinai di soppiatto alla balaustra quasi arrugginita, cercando di fare meno rumore possibile, e cominciai ad osservarlo.
Dovette accorgersi quasi immediatamente che qualcuno lo stava fissando, poiché girò il capo e guardò nella mia direzione.
Era un ragazzino pallido e magro, ma dagli occhi di cristallo. Doveva avere all'incirca la mia età, constatai.
Si rivolse verso di me e accennò un sorriso.
Ancora sorpresa dalla situazione inusuale, ci misi un po' per ricambiare il sorriso, poi notai i suoi pattini.
Leggermente diversi da quelli che ero abituata a vedere, terminavano all'altezza della caviglia e le ruote erano disposte in modo più spazioso.
Sembravano professionali.
Dopo avermi fissato per qualche secondo, il ragazzino percepì la mia sorpresa, così venne, pattinando, verso di me.
Una lieve spinta di lato col pattino destro, poi lo stesso gesto ripetuto col pattino sinistro, si era piegato sulle ginocchia con fare sicuro ed aveva pattinato dolcemente verso di me.
Poi si appoggiò alla balaustra e, con un singolo movimento delle gambe, frenò un attimo prima di scaraventarsi contro il metallo arrugginito e mi rivolse un secondo sorriso. Poi mi fece l'occhiolino e si presentò.
Ciao, mi chiamo Angelo, ma se preferisci puoi chiamarmi Lino, aveva pronunciato con tono incerto. Poi, mi aveva teso la mano, evidentemente aspettando che anch'io facessi la stessa cosa.
Allora decisi di presentarmi anch'io.
Cosima, mi chiamo Cosima, e beh, non ho soprannomi, quindi chiamami pure, semplicemente...Cosima!
Trattenne a stento una risata, comunque mi strinse la mano con vigore e mi invitò ad entrare in pista.
Esitai, poi decisi di seguirlo all'interno. Iniziai a scavalcare la balaustra, con movimenti sicuri, dettati dall'abitudine. Recarmi alla pista abbandonata era un rituale che ripetevo ogni volta che ne avevo occasione! Era come il mio posto segreto, l'unico luogo dove trovavo la pace ed osservavo il cielo e le nuvole senza essere disturbata!
Notai subito che le piastrelle erano, per la prima volta, sgombre. Non una foglia, un insetto.
Tutto sembrava essere stato accuratamente pulito.
Lino dovette notare il mio stupore, poiché attaccò a parlare di quanto fosse stato duro ripulire la pista prima di cominciare l'allenamento.
Gli chiesi di mostrarmi quanto fosse veloce, facendo un giro dell'intera pista. Rimasi a bocca aperta guardando i suoi movimenti così soavi, tanto decisi quanto dolci, quel suo modo di dominare le ruote che c'erano sotto le piante suoi piedi. Terminò il giro in meno di un minuto, che a me parve interminabile per quanto rimasi estasiata. Dopodiché si congedò velocemente rendendosi conto che era giunta ormai quasi l'ora di cena.
A quel punto mi accorsi che la mamma doveva essere ormai in pensiero non vedendomi rincasare, dal momento che mai era accaduto che mi trattenessi con qualcuno lungo la strada del ritorno.
Tuttavia, quando entrai in casa di corsa cercando di giustificarmi in ogni modo, non notai neanche l'ombra di preoccupazione o ansia nel suo sguardo. Come al solito, si affacciò pian pianino sulla porta, e con un flebile gesto del capo tornò a chiudersi nella sua stanza.

Il volo dell'angeloWhere stories live. Discover now