Prigioniera

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Prigioniera della quotidianità, avevo cercato da sempre emozioni nelle piccole cose. Il cielo limpido e celeste, le nuvole dalle mille forme strane, il vento che soffiava sui miei capelli quasi come se volesse trasportarmi, invitarmi a ballare, in una corsa sfrenata con sè.
In fondo, la mia vita non era stata contraddistinta da eventi eccezionali. Nè belli, nè brutti.
Nè gioia, nè dolore.
Non avevo molti amici, probabilmente neanche uno, all'infuori delle mura scolastiche, e l'unica persona con cui ero cresciuta era la mamma.
Chiusa nel suo silenzio, nella sua stanza, mi aveva messo al mondo e mi aveva cresciuto, non facendomi mancare mai cure e cibo.
Sapevo che in fondo mi voleva anche bene, ma il suo malessere le impediva di vivere appieno la vita. Sopravviveva, ed io ero cresciuta ligia al dovere, calma, silenziosa.
Sempre in punta di piedi, chiedevo il permesso per svolgere qualsiasi faccenda, non volevo disturbare, ero fatta così. Non c'era scintillio nei suoi occhi tetri e spenti, sempre rossi e gonfi di lacrime, costantemente pronti ad un nuovo impeto d'ira. Ad una nuova crisi.
Il medico la invitava ad assumere medicine, pillole, ma lei rifiutava ogni cura le venisse proposta. I sensi di colpa non andranno via con queste stupide bombe chimiche inventate dai medici, diceva.
Andiamo via, Cosima, continuava. Mi prendeva per mano e, borbottando qualche parola incomprensibile, tornavamo nuovamente in quella galera che lei chiamava "casa".
Prigioniera della sua malattia, di quelle quattro mura domestiche, della mancanza di emozioni.
Era così che mi ero sempre sentita.
E mi ero sempre chiesta la ragione per cui avesse deciso di mettermi al mondo.
Leggevo, leggevo racconti di ogni genere, nelle tristi giornate di pioggia, e spesso capitava di incontrare personaggi, in quelle storie, che tanto somigliavano alla mia mamma. Per ogni loro comportamento, però, c'era una ragione, e la quasi totalità delle volte il romanzo si concludeva con la rivelazione della ragione per cui il personaggio era stato per così tanto tempo chiuso in se stesso. Spesso si trattava di delusioni amorose, ed allora la storia si concludeva col ritorno della persona amata.
Io, tuttavia, non pensavo si trattasse di questo. Il caso della mia mamma era diverso da quelle menzogne scritte sui libri per ingannare i lettori. Lei era affranta dai sensi di colpa, e per di più, quello che doveva essere mio padre, se n'era andato prima ancora che io nascessi, ma la mia mamma sosteneva di comprenderlo. Di non biasimarlo, che lei avrebbe fatto la stessa cosa.
Non osavo farle ulteriori domande, poiché dopo pochi anni mi ero resa conto che, nel caso in cui avesse voluto parlarmi di qualcosa, lo avrebbe fatto di sua spontanea volontà. Era inutile farle domande: non avrebbe risposto, e sarebbe tornata a chiudersi nel suo dolore, fatto di pianti e lamenti senza un'apparente fine.
Ed intanto io, l'ormai adolescente Cosima-L'-indifferente, rimanevo lì, prigioniera di quella vita che mi aveva donato la mia mamma tredici anni prima, ma della quale non sapevo che farmene. Non l'avevo chiesto io di nascere!
Prigioniera di un dono che io non avevo chiesto.

Il volo dell'angeloWhere stories live. Discover now