Indifferente

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I caldi raggi del sole illuminavano la mia triste stanza cupa e malinconica.
La luce del giorno tornava a svegliarmi dalla lunga e pigra agonia che da sempre contraddistingueva le mie giornate. Tutte uguali, tanto tristi, tanto scontate. Poco avventurose, poco coinvolgenti.
L'unica gioia, per me, a quei tempi, era la scuola.
Un imponente ma allo stesso tempo decadente edificio dai muri gialli, con l'intonaco a pezzi, era l'unico luogo in cui mi era concesso sentirmi una ragazza come tutti gli altri.
Mi piaceva la scuola, o perlomeno mi teneva impegnata per gran parte della giornata.
Le ore trascorrevano più velocemente, tra espressioni aritmetiche e parafrasi di poesie di cinquecento anni fa. Tra guerre puniche e monti e fiumi più importanti d'Europa. Tra formule chimiche e regole di lingue straniere.
Seguivo più o meno attivamente le varie lezioni, ponevo domande critiche e prendevo voti alti nelle verifiche e nelle interrogazioni.
I miei compagni di classe erano spesso gentili con me, ma una volta terminate le lezioni, smettevano di essere miei amici.
Li sentivo ridere ed accordarsi su feste ed incontri che puntualmente organizzavano per trascorrere insieme serate e pomeriggi. Io non facevo davvero parte del loro gruppo, dunque venivo esclusa da questi eventi extra scolastici.
Ma a me andava bene così. O, perlomeno, ci ero abituata.
Dai tempi della scuola materna mi ero sempre sentita diversa. Come se un'inibizione mi frenasse ogni volta che mi si presentava l'occasione per divertirmi.
Non avevo problemi a socializzare, semplicemente me ne stavo per conto mio, cercando di non recare fastidio ad alcuno.
La mia vita era piatta, non provavo mai emozioni forti, ed ormai avevo acquisito la triste consapevolezza che nulla sarebbe mai cambiato.
Ero troppo diversa dai miei coetanei, e non provavo neanche più a fargli comprendere quali fossero gli elementi della vita che mi rendevano felice, che contavano per me. Non capivano, mi reputavano strana. Allora scrollavo le spalle e tornavo a starmene in silenzio, ad annuire pacatamente ad ogni richiesta e a rispondere in modo educato ogni qualvolta mi veniva posta una domanda.
Indifferente, era questo l'aggettivo che usavano per descrivermi. Ed io scrollavo le spalle, sempre.
Nessuno dei miei coetanei aveva tempo per fermarsi insieme a me a chiudere gli occhi e lasciarsi cullare dal dolce venticello fresco primaverile che muoveva, con la sua forza, foglie e capelli. Alberi e gonne.

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