Capitolo 16. "Le porte dell'inferno."

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Era una giornata fatta di nebbia, le aspre cime dei monti erano appuntite come canini che spuntavano dalle rosse gengive, nuvole basse e cioè.
Il terreno era così intriso d'acqua salmastra che si insinuava tra le pieghe degli stivali come un parassita.
Nei giorni passati, successivi al mio incontro segreto con Helena, avevo avuto modo di rileggere più e più volte il libro.
Il signor Stoica ed Eliana erano fuori città da giorni e la situazione sarebbe rimasta tale anche nei prossimi giorni, ciò mi rincuorava, la loro presenza era costante ed invadente.
Pareva essere normale in quella casa controllarsi compulsivamente, tutti lo facevano; e ben presto,
cominciai a farlo anche io.
Iniziai, ogni volta con più attenzione, a contemplare con ammirazione e sospetto i comportamenti degli altri famigliari come in una caccia all'uomo, eppure nemmeno io sapevo chi ne sarebbe stato vittima.
Notai ad esempio che Elvira, ogni sera, sorseggiava una tazza di acqua calda con all'interno erbe aromatiche e tisane.
Dopo qualche tempo, quando finalmente potei tralasciate il contesto è concentrarmi sui dettagli, il profumo di biancospino si fece più presente tanto che mi sembrò essere perennemente nell'aria, eppure nessun altro oltre a me sembrava farvici caso.
Ad ogni modo, queste non sono le uniche stranezze che ho da riportare riguardo quei giorni di assenza dei padroni di casa.
Quando la luna era ancora calante e la stagione più tendente all'autunno piuttosto che agli imminenti freddi, Victor aveva bussato alla porta e dopo essere stato accolto come fosse stato un caro amico cresciuto tra le stesse mura delle giovani Stoica, congedò Orazio con un'amichevole pacca sulla spalla e attese spaparanzati sul divano del sontuoso salotto.
Dumitra alla vista del ragazzo si illuminò, era genuinamente felice della visita glielo si leggeva nei grandi occhi scuri.
Si sedette accanto a Victor con discrezione e per mia sfortuna quasi fui scoperta a spiare l'incontro dalla penombra delle scale.
Victor rispondeva agli sguardi di fuoco di Dumitra con disinteresse, schivava ogni suo tocco e parlava velocemente senza lasciarle modo di rispondere.
Victor aveva una voce tanto roca e bassa che dovetti scendere altri tre scalini per origliare.
Inciampai sul tappeto rosso che rivestiva gli scalini di marmo, trattieni il respiro tappandomi la bocca con entrambe le mani mentre scovolavo sino quasi il confine tra buio e luce soffusa che traspariva dalle finestre velate.
Sono certa, anche a distanza di tempo, di non aver causato alcun rumore nella mia caduta; nessun sospiro, nessuna botta o lamento da parte mia.
Socchiusi gli occhi e mi rannicchiai contro l'angolo della stanza nella speranza di non essere notata.
Dumitra era volta verso di me e ascoltava il ragazzo seduto accanto a lei estasiata, non si accorse di niente.
Victor, che invece mi dava le spalle, si bloccò di scatto e si voltò puntandomi contro pupille strette e dilatate.
L'iride dell'occhio sinistro luccicò per l'incontro con la luce solare, poi, come niente fosse accaduto riprese a parlare.
A lasciarmi sgomenta fu l'indifferenza di Dumitra.
Ebbene, dopo questo strano episodio, Victor salutò con freddezza Dumitra e non tornò più per giorni.
Victor era un ragazzo magnetico, aveva un qualcosa di speciale nello sguardo e nel modo di esprimersi.
Una forza della natura, uno sputo libero privo di morale umana: così lo definirei.
Sembrava avere qualcosa di selvaggio non solo nell'aspetto ma persino nell'animo e ciò mi attraeva notevolmente anche se odiavo ammetterlo dopo aver assistito alla manifestazione del lato peggiore di lui: la violenza.
Quando parlo di violenza, non mi riferisco ad una persona che tende a sistemare le proprie dispute con le mani o con toni di voce aggressivi ed irrispettosi, quel corpo forte e agile appariva sul punto di scatenare una tempesta.
Le mani di Victor erano calde e le vene in rilievo erano come disegni sulla pelle coperta di cicatrici.
Anche questa era una della mie scoperte frutto di quel periodo di libertà.
Dumitra non mi aveva mai parlato di quella caduta ne tantomeno giustificato il comportamento di Victor di conseguenza, tutto mi risultò tornato alla normalità:
sino alla notte del 10 novembre.
Durante tutto il giorno Orazio non aveva proferito parola, se n'era rimasto zitto,zitto, sulla soglia di ogni porta della casa.
Fluttuava da una camera all'altra come uno spettro con lo sguardo dritto dinanzi a sé.

"Buongiorno Orazio."

Il maggiordomo non rispose.

"Orazio? Ti senti bene?"

Mi avvicinai a lui e lo scossò con delicatezza, poi, difronte alcuna risposta, gli strinsi le scapole con le dita e la testa iniziò a ciondolare.

"Mio Dio, Orazio, Dumitra! Corri-"

Mi spinse la mano sulla bocca facendo una pressione tale da farmi lacrimare gli occhi.
Mi dimenai tra esili braccia strette attorno al mio petto spingendo con i gomiti ma caddi addosso ad Orazio.
Le sue mani fredde come metallo inaspettatamente mi sorressero senza sforzo.
Rabbrividì non appena si fece strada in me la consapevolezza di quel che era successo.

"Orazio! Come stai?"

L'uomo si scostò da me e mi rivolse uno sguardo tanto compassionevole! Aveva un luccichio, una lacrima gli scorreva sulla guancia.
D'istinto mi venne di prendergli la mano e stringerla con affetto.
Mi domandai se avesse qualcuno; un figlio, una madre, un amico.

"Elvira, cara, devi fare più attenzione."

Annuì e rimasi sola nel corridoio, persa tra pensieri lontani dalla realtà.
Mi risultò difficile ricordare le sensazioni che quell'attimo mi provocò per diversi giorni a seguire.
La giornata passò lentamente tra libri e poche chiacchiere.
L'università era iniziata oramai da un mese ed io seguivo con interesse le lezioni giornalmente.
Tuttavia, da qualche tempo, Dumitra mi invitava alle sue lezioni private così che, come diceva lei, non avrei avuto bisogno di rendere conto a sconosciuti di ciò che ero in procinto di fare.
Preferivo seguire i corsi di persona e avere modo di conoscere meglio le mie origini, pensare a mio padre era così doloroso!
In ogni caso, Dumitra sapeva essere persuasiva e le sue argomentazioni erano di certo più convincenti dei miei sentimentalismi imprevedibili.
Quando però giunse la sera e l'oscurità piombò su ciascuno di noi le mura di Villa Stoica divennero una prigione misteriosa e nefasta inviolabile.

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