Capitolo 44. "L'inganno dei sensi"(Elvira's POV)

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Percepii nuovamente quel sapore tra le labbra, poi sulla punta della lingua, infine cominciai a percepirne la fragranza dolce e il fetore acre.
Anche quella notte di poco tempo prima avevo deglutito istintivamente e avevo assaporato quella bizzarra sensazione.
Forse si trattava dunque di una semplice percezione, nulla di reale.

Come potrei mai dimenticare quel liquido giallognolo che bruciava come fuoco vivo sulla mia pelle.
Ogni qualvolta mi capitava di sentire la lingua legata da quella sostanza misteriosa era a seguito di una delle mie frequenti sincopi seguite da amnesie.
Gli svenimenti facevano sì che il mio corpo rimanesse in quello stato dormiente per un tempo indefinito, per poi, a seguito di qualche risveglio qua e là dell'udito, risvegliarlo in maniera brusca senza alcuna traccia di ricordo.
Solo quel grottesco sapore rimaneva, quasi come fosse una traccia inobliabile con cui l'autore aveva voluto firmare la sua opera.
Villa Stoica era avvolta, cosa che era di sua consuetudine, da una nube sinistra e confusionale; non la si poteva propriamente definire "nebbia" poiché, a differenza di quella che stringeva nella sua presa la collina , non appariva morbida e scura, ma aveva le parvenze di sinuose strisce fluttuanti di fumo inodore e argentato.

Pur percorrendola tutta quotidianamente, anche se se ne fosse fatta una mappa tanto accurata da tracciarne ogni angolo, non sarebbe stato possibile scongiurare la possibilità di perdervisi all'interno.

Fatta eccezione per il tanto insigne corridoio che si fa strada tra le stanze da letto, Villa Stoica non fu costruita seguendo minuziosamente una pianta moderna come un qualsiasi costruttore odierno si preoccuperebbe di fare, ebbene, varcando una porta si giungeva in una stanza e così via, fino a che non si aveva raggiunto il perimetro opposto della casa.
Cominciai a camminare, percorsi i 15 passi necessari, e raggiunsi la scala che mi avrebbe condotta senza eccessivi intrecci e inganni al piano inferiore.
Inalai il fumo leggero che proveniva dal sigaro di Orazio.

Che uomo bizzarro.

Risi tra me e me ripensando a quanto fosse veritiero e lucido il mio pensiero.
Orazio si voltò a guardarmi e il tempo mi parse indugiare, rallentare progressivamente, srotolarsi e rotolare a terra come un gomitolo scuro.

Eppure era bianco.

Ora è intriso di sangue coagulato e in stato di decomposizione, alcune mosche dalle zampe sporche lo rincorrono sorvolando i tappeti puliti con attenzione maniacale.

Vogliono giocare anche loro. Chissà se lui permetterà loro di partecipare.

La colazione fu servita in grande stile. Vanessa si premunì di farmi arrivare dei mucenici ancora caldi. Notai tuttavia che la consistenza dei dolci era lievemente cambiata rispetto all'ultima volta che li avevo addentati con curiosità. Quel giorno, ne sono certa, erano appena stati sfornati quando Simon me li porse. La donna, indaffarata quanto una formica in procinto di far provviste prima dell'inverno, non mancava mai di gentilezza.


"Sono ancora caldi, cara. Se avessi saputo che saresti passata tanto presto li avrei infornati tempo prima!"


Scosse il grembiule intriso di latte e macchiato di farina e mi sorrise con un'espressione d'amore che solo una madre sarebbe stata in grado di rivolgere;ricordo l'onda di dolore che avvolse il mio corpo. Era alimentata da ricordi felici, sereni, nostalgici.

La nostra piacevole conversazione fu poi interrotta da un cliente particolarmente esigente e, a mio parere, persino sgarbato. Fermo sulla porta attese che Simon lo invitasse ad entrare con un contenuto benvenuto. Si guardava spesso intorto, stava forse attendendo qualcuno?

L'uomo vestito di tutto punto, con la cravatta bordeaux, un bastone da passeggio in ottone, una bombetta e le scarpe lucide, aveva un'aria infastidita nonostante il sole non fosse nemmeno sorto, ancora. Mi domandai di che cosa si potesse mai occupare per essere tanto nervoso e frettoloso già all'alba. Sebbene l'abbigliamento di sartoria, i baffi grigi arricciati e la figura slanciata gli conferissero un aspetto tutt'altro che ordinario e il suo linguaggio corporeo suggerisse una provenienza nobile, la pelle bianca quanto l'avorio e i solchi violacei tracciati dalle occhiaie gli donavano un che di trascurato e malaticcio.

Jane varcò la soglia della porta proprio in quel momento, il cliente in questione non si voltò al cigolio che essa, spinta con irruenza dalla ragazza, provocò; le diede le spalle senza preoccuparsi di porgerle un saluto o un semplice cenno. Approfittai così dell'incuranza dell'uomo per smorzare la tensione con il tono sarcastico che mi aveva da sempre contraddistinta.


"Sai, quel gentile signore è proprio il ritratto della salute e della socialità. Non può che essere un parente del signor Stoica."


Le sussurrai nell'orecchio mentre tenevo lo sguardo fisso sul corpo gracile e allungato di lui. Scrutava ogni specialità della casa senza mai prendere una decisione, faceva domande di continuo, domande molto specifiche per un uomo che di pasticceria avrei detto non saperne niente.

Jane non rise alla mia battuta, non coprì il suo sorriso genuino con le lunghe dita.


"Cosa hai detto?"


Parlò con un tono ancor più basso di quello che avevo usato per timore di essere udita, quasi impercettibile; dovetti fare affidamento sul labiale.

E, anche una volta compreso ciò che mi aveva chiesto, non seppi rispondere ad una domanda tanto semplice, né, ebbi il coraggio di ripetere quel che avevo detto in precedenza.

Non ricordai come proseguì il tutto, per molto tempo rimase nell'ombra della mia mente assieme a tanti altri frammenti di ricordi spiacevoli o surreali a tal punto da essere scambiati per sogni di troppa poca importanza nell'atto pratico per essere mantenuti.


Diedi un morso svogliato ad uno dei dolci, avevo oramai constatato che dovevano essere stati scaldati ma decisi di non farlo presente a Vanessa; ne avrebbe sofferto, teneva tanto ai nostri pasti nonostante non ricevesse mai complimenti dai padroni di casa.

I signori Stoica si muovevano come spettri all'interno della villa e non consumavano i pasti assieme alle figlie. Non erano abitudinari ma nemmeno caotici nei modi.

Rimanevano tuttavia freddi e debitamente distaccati.

La signora Eliana, talvolta, si univa a noi per la cena e mangiava con tanta voracità da sembrare una morta di fame mentre il marito ancora riposava. Definirei, in effetti, gli orari del signor Stoica piuttosto sfasati e poco salutari vista la sua tendenza a dormire per breve tempo nelle ore diurne per poi passare le notti a vigilare attento sul cortile spoglio della casa o a girovagare con l'animo in pena seguito da Orazio e Vanessa, esausti e silenziosi come morti.


"Mi dovete scusare, mi è appena venuta la giusta ispirazione per leggere un buon libro."

Dissi rivolta agli altri commensali, il mio sguardo però aveva già avvinghiato quella robusta raccolta di fotografie di famiglia rivestita in cuoio un poco graffiato che avevo bramato per molto tempo.

If I Was Your VampireUnde poveștirile trăiesc. Descoperă acum