Capitolo 39. "Sogni, ricordi e realtà." (Elvira's POV)

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La riconobbi, mi fu immediatamente famigliare.
Una scintilla di luce nascosta negli antri più remoti del mio subconscio mi riportò a momenti passati in stanze a me sconosciute, tra braccia ignote, sotto le luci di candelabri retti da Nosferatu in persona.
La pietra gelida delle pareti, i lamenti sommessi, voci roche che mi erano parse lontane.
Amare codesto luogo era come amare la morte, era come bramare l'anticristo e desiderarne il sapore acre tra le labbra e il calore infestante nella vene.
La creatura era svanita nel buio dell'interminabile corridoio che era per la verità molto più simile a delle catacombe ben conservate;se non fosse che, stranamente, l'aria non era umida.
L'aria era tanto secca da rendermi difficoltoso anche il più debole respiro, era soffocante, afosa.

Mio Dio, cos'è questo posto? L'Inferno?

Notai numerosi quadri finemente incorniciati che ritraevano quelli che immaginai essere antenati degli Stoica; i ritratti celavano dietro le espressioni corrucciate o impassibili dei protagonisti un intento sinistro.
Incrociando lo sguardo con ciascuno di loro per poco più di un istante (il tutto accadeva per una disgraziata fatalità) era poi impossibile distogliervi l'attenzione senza provare un dolore viscerale, una stretta allo stomaco seguita da un offuscamento crescente della vista.
La penombra dei sotterranei si richiudeva a cono sul tuo corpo inerme e, in preda a deliri e visioni demoniache, persino gli orologi a pendolo cessavano di scandire i secondi con il loro lugubre rintocco.
Decisi che non sarei caduta nel medesimo tranello una secondo volta, perciò, mantenendo a fatica l'equilibrio,rincorsi quella lontana luce in cerca della mia compagna.
Nonostante ciò, ad ogni passo che muovevo, la mia destinazione si faceva più lontana.
Presi a piangere nel vano tentativo di farmi strada tra le alte colonne che reggevano il soffitto, cercavo una strada alternativa.
Ogni qualvolta mi allontanavo dal sentiero delimitato da archi posti in un ordine consecutivo e senza fine la via piombava nell'oscurità più profonda divenendo così impossibile da percorrere.
Vi erano arazzi rossi e altri di un blu scuro come il cielo notturno che svolazzavano senza che nessuna corrente li muovesse; urtavano dell'edera un poco secca che si arrampicava a fatica e creavano così un fruscio insopportabile e costante.

"Tesoro, devi tornare a dormire."

Mi disse all'orecchio una voce dolce come il miele.
Mi voltai, pronta a reagire con violenza animalesca, e indietreggiai rischiando di sbilanciarmi.
Difronte a me si ergeva la figura statuaria di una donna dalle fattezze tanto perfette da essere troppo bella per essere umana.
Eppure la sua pelle, tanto chiara da illuminarle il volto, lasciava trasparire le differenti colorazioni del sangue che scorreva al di sotto di essa.
Anche se, a guardarla bene, nulla di quella donna faceva pensare a caratteristiche umane quale può essere la regolare circolazione sanguigna.
I vasi erano gonfi e in rilievo, scendevano dall'appuntita attaccatura dei capelli sino al petto, si insinuavano al di sotto della scollatura del corsetto e sbucavano poi dalle maniche: il viso era solcato da profonde occhiaie nere come tormalina, le iridi avevano assunto il colore del sangue.

"Non sopporto la passione del padrone per la monogamia, sai?"

Continuava a sussurrare mentre faceva scendere un dito sul mio collo e lo accarezzava con movimenti delicati e al contempo voraci.
Il fetore del suo alito bollente era in contrasto con il suo tocco glaciale, le sue mani leggere mi cingevano la vita con forza sovrumana nella speranza di avvicinarmi.
Avrei voluto domandarle chi fosse così come avrei voluto gridare o dimenarmi per sfuggire dalla sua presa;purtroppo, però, quell'essere era dotata di abilità esasperate alla massima potenza.
Come un gatto in trappola mugolavo stringendo forte gli occhi, cosicché, qualora avesse deciso di torturarmi in qualche sadica maniera, non avrei visto il mio corpo né tantomeno il suo volto.
Ciò che accadde dopo rimase un segreto custodisco dai meandri della mia mente per molto tempo, nell'immediato, l'unica cosa che ricordai dopo essermi comodamente risvegliata tra calde coperte era la stretta altrettanto rassicurante di una creatura, ( così la definii nella mia mente a seguito di ciò che avevo visto, così da non escludere nulla), che mi aveva salvata.
O almeno, questo è quel che mi è parso.
Non appena mi risvegliai da quel sonno simile ad un breve stato comatoso tastai ogni parte del mio corpo in cerca di ferite, ematomi, dei segni delle unghie affilate di quella "donna" sul mio collo: non trovai nulla.
Nulla eccetto per dei piccoli solchi rossi sulla pianta dei piedi lasciati dai sassi che avevo calpestato nelle catacombe di Villa Stoica.
Questa fu la prova che cambiò la mia prospettiva riguardo questa infausta vicenda: questo dimostrava la veridicità di quel che era accaduto,o, perlomeno, mi confermava che ciò che era accaduto la notte precedente non era frutto di un sogno tanto ingannevole da esser confuso con i miei ricordi ma una sinistra realtà a cui mi sarei dovuta abituare.
Il tacco della calzatura in pelle di vitello di Orazio produceva il tipico tacchettio a quei mi ero piacevolmente abituata, in quanto, era l'unica cosa che mi ricordasse una famiglia ordinaria.
Un suono molto comune che a casa, in Germania, mi aveva infastidita per anni; quando, ogni mattina, mia madre si incamminava di fretta e vestita di tutto punto verso la porta di ingresso per andare a lavorare nella piccola libreria locale.
Villa Stoica era ancora immersa nel buio, il mio orologio da polso segnava poco più delle sei del mattino, eppure, come ogni mattina, Dumitra era già vestita di tutto punto e trotterellava per i corridoi alternandosi meccanicamente con Orazio.
Mi stupii di non averla incontrata quella notte, poiché abitudinaria com'era mi parse un'anomalia piuttosto che una rara coincidenza.

"Buongiorno Orazio".

Dissi per accompagnare il gesto abituale con cui spalancavo la massiccia porta della mia stanza.

"Elvira!"

L'uomo mi rivolse un sorriso genuino, i suoi occhi vitrei riassunsero un aspetto sereno, per un istante, mi sembro quasi sollevato.

"Buongiorno a te."

Aggiunse poi con fare informale.
Infine, a seguito di un teatrale inchino, si congedò e girò l'angolo del corridoio.

Come ho fatto a non notarlo la scorsa notte?

If I Was Your VampireWhere stories live. Discover now