Capitolo 42. "Ossessioni, fobie e paranoie." (Elvira's POV)

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Le notti a Villa Stoica erano tanto intense da sembrare interminabili, ciascun istante di esse era saturo di inquietudine, emanava energie disturbanti, persisteva fino a che non si era insinuato all'interno delle tue membra.
Che il diavolo fosse nella mia mente?
Il suo potere mi controllava, era più forte della mia vacillante fede, delle pratiche oscure che avevo visto compiere nel bosco ad Helena e Jane, delle creature che avevo incontrato nell'oscurità di codesta casa.
Annotai una serie di pensieri, un vero e proprio flusso di coscienza, il frutto di una rinnegazione della realtà dei fatti, e non di ciascuna cosa che era considerata soprannaturale presa singolarmente,che si era protratta troppo a lungo.
Scrissi questo sul mio diario prima di abbandonarmi alla più totale pazzia.

Buongiorno, l'oscurità data dall'assenza di Dio, che questa casa ha apertamente ripudiato nella sua più totale forma religiosa e umana, è padrona oramai del mio corpo.
Mi sono successe numerose stranezze da quando sono giunta a Brasov,tanto che, anche volendo, elencarle tutte sarebbe pressoché impossibile; molti avvenimenti sono stati poi da me dimenticati,hanno lasciato buchi nella narrazione, dettagli mancanti nella trama di questo bizzarro racconto che non attendono altro che essere svelati.
Ricordo molto vividamente quando tutto cominciò, circa tre mesi fa, tutto ebbe inizio con una catastrofe: la morte di mio padre.
Partii senza che mia madre conoscesse troppi dettagli,anzi, senza comunicarle la mia meta; non mi fu difficile interrompere i contatti con amici e parenti, dopotutto,ero decisa a ricominciare una vita altrove.
Dumitra mi parse una giovane colta e posata,Orazio, un uomo d'altri tempi,Oana, una bimba dall'educazione impeccabile e di spiccata curiosità, forse, persino un po' troppa per una Stoica: poi arrivarono i veri padroni di casa.
Fu allora che cominciò codesta vicenda.
Le criptiche conversazioni tra Victor e Dumitra, i miei frequenti svenimenti e,un aggiunta non di poco conto, l'incidente che mi capitò e i momenti confusi che ne seguirono.
Ciò è tutto quel che poteva essere considerato "nell' ordinario", vi erano poi, anche se ne ho pochi rimasugli nella mia mente, gli incontri notturni, i sinistri libri di Helena e le mie visioni.
Quei dannati passi non cessano di tormentarmi.
Farò anche io la fine di Istuko? Chi era "lui"?

A colazione nuovamente mangiai poco e niente, paranoie assurde mi costringevano ad abbuffarmi nella sicurezza,(per così dire),della mia camera e a contenere ogni bisogno primario in presenza di estranei.
Il legno marcio di quella maledetta casa scricchiolava sotto i miei passi assieme alle mie ossa, sempre più fragili a causa della denutrizione,la polvere si alzava ad ogni mio passo, soffocava compiaciuta ogni mio respiro.
Le musiche suonate da Dumitra e Oana poi divenivano lugubri e come voci nella testa di un matto si prendevano gioco di me.
Era troppo tardi per mostrare brama di solitudine, non sarei stata mai più sola.
Il mio corpo era scosso da tremolii costanti, facevo persino fatica a muovere i 616 passi che mi avrebbero condotta fuori da quella casa, né tantomeno ero agile nel fare i 15 passi necessari per raggiungere la scala che conduceva ai sotterranei: li avevo maniacalmente contati, come se questi numeri significassero qualcosa, quasi come se ciascun avvenimento fosse parte di un piano  fuorviante che era già strato attuato in passato.
Ogni qualvolta mi imbattevo in un membro della famiglia Stoica i miei occhi divenivano colmi di follia, la mia bocca sfigurava il mio volto con un ghigno prima terrorizzato, poi divertito.

Vi ho scoperti. Sto aspettando, mi sto divertendo.

Ero divenuta piuttosto loquace, era mia abitudine farneticare, era eccitante l'idea che gli Stoica sapessero che il loro gioco mi compiaceva.
Non temevo più nulla di soprannaturale, temevo solo le persone; la follia mi rendeva impavida, imprudente, non avevo paura di rinnegare la mia stessa religione bestemmiando contro Dio per la sua mancanza di protezione.
Gli uomini di fede non osano guardare cosa accade fuori, una rigida morale li costringe a restare nel loro porto rivolgendosi alla croce.
Ma io, invece, ero in mare aperto, facevo appello a divinità arcane, attendevo che Lucifero in persona,che, come me era stato un essere ribelle, bussasse alla mia porta.
Il crocifisso non mi dava più conforto, mi inquietava tanto quanto gli uomini che con innocente ignoranza gli si prostravano dinnanzi.
Oana, nonostante la mia crescente irrequietezza, faceva enormi progressi con le lezioni.
A proposito, non avevo fatto a meno di far caso alle conversazioni che aveva avuto con la cara Jane.
Non sapevo se fosse il caso di riporre fiducia in quella ragazza, forse mi voleva morta persino lei; dopotutto, l'essere umano, generalmente, tende a parlar sempre troppo.

Non sarò mica pazza?

Erano poche le ore di sonno che avevo collezionato nelle ultime settimane.
Ogni sera, dopo aver preso parte alla cena, solo come dovuta forma di rispetto e non per consumare realmente il pasto, mi aggiravo furtiva per Villa Stoica sino alla mia stanza.
Mi rintanavo poi sotto le coperte e dondolavo per ore, avanti e indietro, tenevo gli occhi aperti sorreggendo le palpebre con le dita, fino a che, stremata, non mi accasciavo nell'aria afosa che si era creata in quel freddo austere.
Se di giorno l'ossessione mi rendeva instabile e incapace di ragionare con lucidità, di notte, al contrario, entravo abitualmente in uno stato di trans o forse sarebbe meglio dire di semi-coscienza dove era una ponderata razionalità e una consapevolezza cinica della morte a controllarmi .
Non ero più al sicuro nemmeno con me stessa.
Tra i tomi più pregiati degli Stoica e qualche libro esageratamente datato trovai un saggio che illustrava la teoria delle Idee di Platone in maniera tanto egregia che lo lessi ininterrottamente per giorni, ricominciando ogni volta da capo.
Mi convinsi che, come avevo da sempre desiderato, la mia bontà era stata ripagata e che per questo avevo raggiunto una tale saggezza da essermi elevata al di sopra di ciascun altro essere umano, di essere diventata così scaltra e raffinata anche nei ragionamenti più complessi da potermi concedere di trascurare la "falsa realtà" per concentrarmi invece sull'Iperuranio che, riconosciuti i miei meriti, mi aveva gentilente aperto le porte dell'immutabilità e della perfezione.
Cominciai a credere di star contemplando le idee stesse, di non dover più badare agli enti terreni e agli uomini, esseri imperfetti e corrotti: io ero superiore.
Presi anche a sfogliare con interesse una raccolta di foto di famiglia che avevo sottratto con sfacciataggine agli Stoica tempo fa; molte cose mi confondevano, non quadravano, e, non era tutto frutto della mia malattia.

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