Capitolo 40. "Questione di destinazioni." (Jane's POV)

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Floris,Elvira.
Come stelle lucenti nell'oscurità del firmamento splendevano dando luce al mio cuore, donandogli una ragione valida per svolgere il suo compito senza esitare.
Mi guidavano nel corso del mio pericoloso cammino come angeli custodi e io, in cambio, li proteggevo.
O almeno ci provavo.
Non avrei lasciato che lui li rendesse sue sporche marionette, quella lurida creatura che si aggirava per i locali più remoti della Villa non si sarebbe nutrita del loro puro sangue.
Elvira non avrebbe dovuto patire alcun male, non avrebbe portato in grembo il frutto di quelle azioni demoniache.
Avrei donato la mia stessa vita per loro, per lui.
Floris era per me il segreto più prezioso da mantenere, il sogno più felice a cui avessi mai aspirato, la voce più dolce che avessi mai udito e con piacere ascoltato mentre mi incantava con surreali miti e leggende a cui avrei creduto senza esitare se solo mi avesse domandato di farlo.
Floris era tutto per me eppure, questo, lui non lo sapeva.
Il nostro amore non era cosa reale, non vibrava con dolcezza nell'aria rendendo il patimento consolazione.
Come rami grigi di un albero oramai morto i nostri corpi si intrecciavano e i germogli erano d'un tratto di nuovo in fiore, la mia sofferenza mutava in viscerale amore.
Ciò accadeva nei miei pensieri.
Quando incrociai il suo sguardo, fu in quel momento che, per la prima volta, nei suoi occhi sinceri, vidi un futuro per me.
Un futuro che non contemplasse il dolore che da sempre aveva infestato la mia esistenza, un futuro sereno e colmo delle più umili speranze.
Eppure lui non vedeva.
A Floris era più caro un sorriso smagliante, ascoltava più volentieri una voce melodiosa e preferiva alla mia cupa razionalità, frutto di un primitivo e ponderato istinto, una natura più spensierata e ingenua.
Come avrei potuto fargliene una colpa.
Strinsi al mio petto il vassoio d'argento, emanava un profumo piacevole ed inebriante, mi pareva di percepire il sapore avvolgente dei dolcetti sulla punta della lingua; ne assaporavo con la mente la consistenza pastosa e godevo del calore che lasciavano sulle mie labbra congelate dall'aria pressoché invernale.
Mi preparai a bussare sul pesante portone di Villa Stoica in attesa di risposta, distesi le gambe e alzai la testa con fare orgoglioso.
Sentii lo scatto provocato dallo spioncino che veniva spostato con modi frenetici dall'interno.

Non devono essere particolarmente abituati alle visite odierne.

Mi allontanai così dall'ingresso affinché il maggiordomo (o la giovane Dumitra) mi vedesse in volto e si decidesse ad aprire prima che il mio corpo divenisse freddo quanto il marmo.
Fui invitata a entrare da Orazio che, con formale cortesia, mi chiese di attendere nel corridoio del piano inferiore in attesa di essere  ricevuta da Dumitra e poi, eventualmente, (così mi aveva detto), anche da Elvira.
Mi spiegò che quella notte era stata piuttosto "movimentata", se questo è il termine giusto,e disturbata da numerosi inconvenienti.
Non indagai ulteriormente per paura che Orazio, sentendomi tanto interessata alle questioni di quella famiglia e, sopratutto, di quella casa, si mettesse sulla difensiva.
Il maggiordomo fece ritorno dal piano di sopra con un'espressione di disappunto stampata in volto che poi sciamò in un'aria del tutto incurante e distaccata.
Non feci a meno di notare i sontuosi arredi che erano stati scelti per vestire Villa Stoica.
Possenti candelabri erano posizionati su tavoli  ricoperti di stoffe scure, la loro luce era soffusa, bastava appena a compensare l'oscurità causata dai tendaggi impenetrabili che ricoprivano con cura ogni finestra.
Villa Stoica si distingueva per il suo aspetto colto e vittoriano, accoglieva una biblioteca tanto fornita da fare invidia a quella di Brasov; le pareti già di per sé adorne di decorazioni, seppur coperti da spessì strati di polvere, erano costellate di dipinti ritraenti scene cruciali della guerra che vide partecipe Vlad III contro i turchi nel quindicesimo secolo.
Notai con interesse l'assenza di un simbolo religioso qualsiasi, un crocifisso o un testo sacro, per intendersi.
Tutti chiamavano la casa con il suo nome per riconoscerne l'autorità, quasi non volessero farla adirare,  come se temessero che la malvagità che racchiudeva potesse in qualche modo dilagare.
Eppure nessuno, tantomeno il prete che offriva le consuete benedizioni, osava varcare i cancelli di sua maestà Villa Stoica.
Non vi era un'auto sulla strada che, attraverso due diverse diramazioni, risaliva la collina su cui essa sorgeva.

"Mi dispiace, la signorina Dumitra ed Elvira stanno riposando.
Può lasciare a me il suo pacchetto."

Provai un senso di nausea così forte che mi provocò dei conati di vomito e delle fitte insopportabili.

"Si sente bene, signorina?"

L'uomo poggiò la mano rugosa sul pacchetto che stringevo, tentò con gentilezza di prenderlo ma non ci fu modo per lui di sottrarmelo fino a che non lo lasciai quasi cadere.

"Lui è qui".

Sussurrai parlando tra me e me.
Promisi a me stessa, a Elvira, che sarei tornata; ma non mi era possibile restare, sarebbe stato eccessivamente imprudente.
Senza mostrarmi esitante mi feci accompagnare all'uscita e schizzai fuori dai confini di quella maledetta casa correndo fino a che mi fu possibile, fino a che non persi il fiato.

Devo essere più attenta.

Come se ciò non bastasse a mettermi in allarme, in lontananza, poco lontano dall'incrocio che separava la via per giungere alla dimora degli Stoica a quella per il cimitero, vidi Victor che risaliva la collina in compagnia del dottore, d'un lato, e, il prete dall'altro.
Senza pensarci mi spostai in modo tale da imboccare la strada opposta, quella del cimitero, così da non incontrare Victor e il dottore.
Con mia sorpresa, non solo Victor e il dottore non erano diretti verso Villa Stoica ma bensì verso il cimitero oramai sconsacrato,ma, anche il prete aveva preferito una destinazione diversa rispetto al solito.
Ripensai al nostro incontro al cimitero, qualcosa non era chiaro e non mi riferivo all'imminente visita agli Stoica.
Cosa stesse facendo in quel cimitero un prete mi era ignoto;dopotutto, come era indicato all'ingresso, proprio al di sotto della scritta «carpe diem» (che avevo sempre inteso come un' invito beffardo), quel campo santo era sconsacrato.
In egual  maniera anche gli altri due compagni di viaggio attirarono la mia attenzione.
Il cimitero, così come Villa Stoica, non era mai stato tanto frequentato.

If I Was Your VampireWhere stories live. Discover now