Capitolo 46. "Vecchie storie di famiglia". (Elvira's POV)

4 1 0
                                    

La copertina era decorata in maniera raffinata e pareva essere robusta eppure si sfilò  in poco tempo rivelando quella originale di fattura assai più vecchia e pacchiana.
La fantasia a fiori era scura e grossolana, gran parte dei dettagli che dovevano essere stati un tempo in rilievo si erano staccati ed erano andati perduti. Non potei ignorare l'aspetto decadente che aveva e che, come ogni cosa là dentro, si abbinava a perfezione con  l'atmosfera della casa.                                      
Mi rigirai la raccolta di foto tra le mani nel tentativo di apparire disinvolta nel caso in cui qualcuno avesse fatto irruzione nel salotto senza lasciarmi modo di nascondere il mio bottino. Mi tentava e io lo bramavo, in circostanze diverse non avrei mai ceduto ad una tentazione tanto maleducata.
Questo era quel che mi ripetevo come mantra  nel tentativo di giustificare la mia improvvisa  sfrontatezza.
Come se suonasse una musica mi incantava e scatenava una danza dentro il mio cuore.
Mi lanciava artifici, era il loro maleficio.
Mi domandai come avesse fatto Itsuko a resistere a un richiamo tanto forte e invadente. Ebbene, dopo tempo, giunsi alla conclusione che semplicemente non doveva averlo fatto.
Percepivo il mondo attorno a me come rallentato.
I miei soavi movimenti dettati dalla follia erano delicati e spezzavano la quiete sinistra che vi regnava.
Il mio cervello poi, il più caotico di tutti gli esseri, balzava da una persona all'altra facendone un disordinato profilo personale: Dumitra, Orazio, Oana, Simon, Jane, Helena, Victor..
Avrei voluto dare un nome anche alle sottili apparizioni che si insinuavano nei miei sogni, nei miei momenti di solitudine in codesta casa.
Riporto dunque una parte del mio diario così che esso spieghi per me le sensazioni che provai al tempo.

«Oramai è giunto da tempo dicembre, non è caduta la neve. Gli alberi hanno perso tutte le loro foglie e ora sono più spogli che mai; anche il mio animo è spoglio d'ogni emozione e ricordo.
Spero anche io in una rinascita in questa primavera.
Villa Stoica non è una casa normale, è un'entità.
Quando ero bambina mia nonna mi raccontava una strana storia che aveva come argomento principale l'archetipo della casa infestata: quella di Baba Yaga.
La nonna non azzardava a rivelar più di quel che riteneva sicuro e non rispondeva quasi mai alla mie domande a riguardo.
Tuttavia, una sera in cui la sua pazienza doveva essere stata più generosa del solito, si abbandonò a particolari succulenti riguardo la dimora e la vecchia Baba Yaga.
Essa aveva tre forme:la prima veste rappresenta un'anziana gentile e civettuola ma dallo sguardo minaccioso; nella sua seconda forma i suoi rituali fanno sì che sia lei stessa a tessere i fili del fato e a controllare gli astri, le nascite, a dare consigli;
l'ultima forma è quella malvagia con artigli e denti affilati poiché cannibale e guardiana delle anime, dell'oltretomba.
Nei panni di quest'ultima ha il potere di contenere la morte nel suo dominio (come ci suggerisce simbolicamente con il recinto di ossa umane attorno alla sua casa.)
Vive inoltre da sola nel bosco con la sua mitologica casa dotate di ripugnanti zampe di gallina e i suoi figli servitori: lupi, serpenti e draghi.
È un'antica dea legata alla magia che diede vita alla dee, a loro volta legate a questa,di tutti i pantheon.
Se solo mia madre avesse saputo ciò di cui parlavamo io e la nonna!
Oh, Dio solo sa come si sarebbe infuriata. Sono certa che mi avrebbe vietato di vederla.
Helena mi ricordava molto la nonna, mia madre la detesterebbe con tutto il cuore.
Ad ogni modo, tanto per farmi più concisa riguardo i miei intenti, è opportuno dire che se ho parlato di questa nostalgica storiella è chiaramente per una ragione che abbia a che fare con Villa Stoica e non per uno sfizio momentaneo.
In effetti la dimora di Baba Yaga sarebbe più ospitale, ai miei occhi, di questa casa.
Fa molto freddo e sto scrivendo da molto tempo; temo che qualcuno possa bussare alla mia porta per invitarmi a prendere posto attorno al camino.
Non voglio che ti vedano.
Cari saluti, la tua Elvira.

L'album era ancora poggiato sulle mie ginocchia, si era formata una leggera patina di polvere sulla superficie nel frattempo. Mi decisi ad aprirlo e, facendolo, feci cadere sul sontuoso tappeto una serie di foto tanto sbiadite da essere irriconoscibili e qualche documento; uno in particolare catturò in maniera maniacale la mia attenzione: un certificato di morte.
Era colmo di increspate pieghe e un poco macchiato di marrone ma nulla che lo rendesse indecifrabile aveva arrecato danni.
Era ripiegato in quattro così, attenta a non causare tagli nella carta già di per sé fragile, lo aprii spiegandolo.
La calligrafia era piuttosto complicata e arricchita da dettagli prettamente decorativi, (qualche punto o ricciolo in più, che io avrei tralasciato senza pensarci due volte).
Le prime frasi erano troppo strutturate perché io riuscissi a capirne il contenuto nonostante i miglioramenti che avevo compiuto con il rumeno.
Passai dunque oltre.
Furono sufficienti poche parole per dare un senso logico e coerente a ciò che avevo davanti.
Proprio in fondo, a piè di pagina, era incastrata una firma compiuta da una mano tremolante e incerta: «preot» seguito da qualche nome di battesimo e un cognome che non mi diceva niente.
Non fu la sola cosa a esser degna della mia attenta analisi.
Ebbi la fortuna di trovare i nomi dei gemelli sul certificato e una data che non corrispondeva con quella incisa sulla lapide; essa, risaliva infatti a tre giorni dopo.
Controllai più volte la data riportata prima di abbandonarmi a paranoie che sarebbero state altrimenti ingiustificate.
Passai più volte l'indice su di essa e pescai dai miei ricordi l'immagine di quel disgustoso cimitero e di quella sepoltura spartana.
Ne ero certa ora: non solo le date non corrispondevano ma, con la sorte a mio favore, avevo anche ottenuto il nome completo del prete che prese a carico il funerale dei gemelli.
Per mia sfortuna, però, ero conscia del fatto che l'uomo non avrebbe potuto svelarmi alcun segreto dato che anche lui, assieme a due bambini, riposava beatamente due metri sotto terra.

If I Was Your VampireWaar verhalen tot leven komen. Ontdek het nu