Capitolo 22. "Segreti da mantenere."

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Jane si voltò verso la Zia.
Helena risplendeva di una luce ultraterrena, nei suoi occhi chiari era riflessa l'immagine di una pietra spigolosa.
Un cuore di malachite poggiava sul petto nudo sollevandosi sopra lo sterno.
Era una pietra meravigliosa,non solo per il suo aspetto lucente ma anche per l'affinità che vi era tra lei e la sua proprietaria, tale da renderla viva.
Era un legame profondo quasi come quello tra due fratelli gemelli, solido, amorevole,ma sopratutto, istintivo.
Così il mio sguardo si poggiò sul collo della giovane Jane e scese sul suo petto.
La ragazza non esitò a notarlo e fece scivolare tra la stoffa del suo abito scuro un cristallo grosso quanto il bocciolo di una rosa.
Rimasi a bocca aperta quando la pietra prese ad assorbire i raggi lunari privandone il cielo per poi emanare riflessi violacei potenti quanto quelli solari.
Il bagliore durò pochi istanti, pur sempre abbastanza lunghi da rimanere impressi nella mia memoria come inchiostro su carta.
Feci una giravolta per essere certa di aver scrutato ogni singolo centimetro della foresta, per essere sicura di ciò che avrei poi scritto nel mio diario la notte successiva, una volta tornata a casa.

"Come avete fatto?"

Le due donne, l'una giovane e vigorosa, nel pieno della sua età fertile, l'altra, matura e saggia, si scambiarono occhiate d'intesa, quasi cose se attraverso esse potessero comunicare più agilmente.

"Cosa tesoro?"

Il mio corpo era pesante e libero in uno stato di sonno profondo.
Le coperte calde e profumate mi avvolgevano ricordandomi i sabati mattina nella mia casetta di montagna, in Germania, eppure, ero certa che quello non fosse il mio letto marrone intagliato dal nonno.

"Tesoro?"

Insisteva una voce dolce e famigliare scuotendomi leggermente dalle spalle.

"Cara? Elvira?"

Aprì gli occhi dolcemente mentre un profumo zuccherato si insinuava nella stanza come una presenza ,tanto infestante, quanto piacevole.

"Simon?"

La donna mi sorrise e mi porse un vassoio lilla con fiori stampati.
La fragranza dolciastra che proveniva dai biscotti attraversava le mie narici causandomi brividi di piacere assieme a travolgente solletico.
Un grosso bicchiere traboccava di latte caldo aromatizzato con zenzero e dondolava pericolosamente.

"Elvira, Jane mi aveva chiesto di non svegliarti quindi ho aspettato.
Spero di non averti fatta dormire troppo. Insomma, non avevi impegni questa mattina mi auguro."

Era titubante, pronunciò le ultime parole quasi come avesse una lama che le accarezzava il collo, la rassicurai, ringraziandola per le troppe premure.
Simon era una donna buona e non esitava mai quando si trattava di aiutare anche la persona a lei più ostile.
Era questo a renderla una visione tanto dolce ai miei occhi.
Si sistemò con le mani consumate dal lavoro il grembiule e poi si congedò trotterellando di nuovo in cucina.
Aveva molto lavoro da fare, i dolcetti non si sarebbero certo impastati da soli.
La notte era volata tra un pettegolezzo e l'altro lasciandomi pochi ricordi sfumati, cosa a cui mi ero abituata da quando ero giunta a Brasov.
Era una sensazione nuova, dispersiva e confusionale che pareva sparire a comando di qualcuno o qualcosa, come la realtà che si cela dietro ogni inganno.
Presi lentamente un biscotto dal vassoio e lo spezzai in tre piccole parti compatte seppur sbriciolate, un rito di passaggio che mi ero portata dietro dall'infanzia, era stato mio padre a consigliarmelo e ad insistere finché ne aveva avuto modo perché lo rendessi parte di me come lui aveva fatto da bambino.
Il latte era quasi troppo caldo e mi pizzicò un poco la bocca, proprio sotto la lingua, dopo averlo bevuto, a causa dei rimasugli di zenzero che vi aveva lasciato, percepì una polverina piccante per diversi minuti.
Era un pizzicore piacevole, una sorta di presa di coscienza della mia esistenza travagliata.
Mi rivestì in tutta fretta non badando neppure al numero indicato sull'orologio, temevo di sapere che ora si fosse fatta, temevo, vista la rigidità del signor Stoica, una meritata ramanzina, tant'è che anziché salutare di persona la cara Jane mi limitai a poche parole farfugliate nelle orecchie di Simon e un biglietto leggermente scarabocchiato.
Mi dileguai sperando di non aver offeso nessuno e ricapitolai gli avvenimenti della notte precedente.
Ricordai il bagliore delle pietre, i raggi insistenti della luna scomparire nella penombra, la chioma corvina di Jane alzarsi sulle spalle cullata dal vento e gli occhi chiari di Helena spalancarsi difronte quel bizzarro avvenimento che poi si erano ricomposti.
Le pupille dilatate erano tornate alla forma normale, nulla la stupiva più, tutto le era famigliare e caro.
Correvo facendomi strada tra la gente del posto, sopportavo occhiatacce e mi rimettevo dritta e alzavo il capo dopo gli spintoni che ricevevo da passanti distratti: la mia unica preoccupazione era giungere a casa e passare inosservata.
Ciò che stava avendo luogo in quel piccolo villaggio era surreale, non potevo crederci, se non fosse che, avevo visto tutto con i miei stessi occhi.
Quando finalmente giunsi dinnanzi il portone di Villa Stoica la meridiana della cappella, quella del cimitero dietro il giardino, segnava poco più delle due, le due del pomeriggio.
Sulla collina abitata dagli Stoica il sole sembrava aver già abbandonato quel lato del globo per via dei pesanti banchi di nebbia chiara che fluttuavano.
La Villa era abbracciata dall'oscurità dalla foresta sottostante e sorvolata da splendidi corvi gracchianti dalle piume nere come la morte.
Per la prima volta da quando mi trovavo a Brasov vidi un uomo nei pressi del cimitero, ci avrei giurato.

"Buon pomeriggio Elvira! Come è andata?"

Dumitra spalancò la porta con nonchalant rivelando un largo sorriso.
Prese a tempestarmi di domande ed io a rispondere inventando piccoli dettagli per sostituire buchi nella trama, parti di quella nottata che non sapevo se fossi autorizzata a raccontare.
In verità, sentivo di dover tenere ciò che era accaduto per me, lo avrei trascritto nel mio diario, poi sigillato con cura, senza farne parola a nessuno, per il bene di Jane ed Helena, per il bene mio.

"Quindi una nottata tranquilla tutto sommato."

Dumitra mostrò due fossette sulla pelle candida e si voltò per guardare la sorellina.
Oana se ne stava raggomitolata sul lato sinistro del divano rosso bordeaux, era esausta, teneva gli occhioni da cerbiatto socchiusi, li strizzava ad occhi riflesso di luce improvviso.

"Oana non ha dormito?"

Chiesi a Dumitra mentre mi avvicinavo con premura alla piccola.
Non appena questa si accorse della mia presenza si mise a sedere poggiando poi la testa sulla mia spalla.
Tentò di prendere la parola non curandosi della sorella che era pronta a fornire una risposta gentile e ben studiata, e ci riuscì, la colse in un momento di distrazione, o forse di stanchezza.

"Ho sentito rumori nel seminterrato e non sono riuscita a dormire, Orazio mi ha raccontato una fiaba e poi è andato a dormire, sono rimasta sola tutta la notte ad aspettare."

Lo sbigottimento sul volto di Dumitra era oramai palese.

If I Was Your VampireWhere stories live. Discover now