Capitolo 31. "La nuova Itsuko: Elvira." (Elvira's POV)

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L'indomani, ancora persa tra i ricordi di quell'intenso pomeriggio, mangiai con gusto, attenta a non essere vista, vigile.
Davo un morso veloce alla pasta zuccherata e masticavo schiacciando violentemente il cibo tra i denti, tanto da far sì che digrignassero rumorosamente.
Attesi con ansia l'arrivo di qualche membro della famiglia Stoica, come di routine,ma ciò non accadde.
Mi domandai quale potesse essere la causa di questo strappo alla tanto rigida organizzazione della casa.
Un imprevisto, una casualità, una sorpresa di cattivo gusto?
La luce timida dei raggi solari trapelava tra le spesse nuvole e si insinuava tra i risvolti delle tende rosse, scure come il sangue, scure e colanti sullo sfondo bianco della mia pelle, del cielo annebbiato.
Sospirai.
Lo scricchiolio del portone in noce mi fece sobbalzare sulla sedia, mi voltai con movimento meccanico e improvviso.

"Elvira, cristo santo."

Imprecò Victor alle mie spalle facendo due passi indietro, tornò alla soglia della porta.

"Scusami."

Il ragazzo appariva scosso, appoggiato alla pesante porta, teneva le mani giunte e mi scrutava.

Ha visto i documenti.
Mi azzardai a pensare. Il cuore mi saltò in gola.

"La finestra è aperta."

Disse.

"Come scusa?"

Con la testa china sui suoi stessi piedi si limitò a ribadire lo stesso concetto, con le medesime parole, con identico sconcerto.

"La finestra è aperta-" allungò le lunghe braccia come eleganti fenici spiegherebbero le ali-" devi ricordarti di chiuderla sempre, quando sei sola."

Quando sei sola. "Devi ricordarti di chiuderla sempre quando sei sola."

La finestra cigolò con un lamento assordante per quanto avuto, poi sbatté sul marmo del davanzale e finalmente si richiuse aderendo alle inferriate.

"Come stai?"

Quella domanda mi spiazzò notevolmente, poiché, perlomeno all'apparenza, pareva costernato all'idea che potesse essermi accaduto qualcosa di spiacevole.
Riflettei. Per qualche istante furono udibili solo il tintinnio delle posate che venivano accuratamente riposte nella cucina di Villa Stoica e il tintinnio insistente dell'acida pioggia sui vetri ingialliti.
Una voce, sì, una presenza vigile nella mia mente, aggrappata ai miei pensieri, alle mie volontà, smaniosa di riservatezza e golosa di razionalità, mi suggerì di tacere.

"Ieri ho dato lezioni di tedesco alla piccola Oana, ho aiutato Orazio in giardino e, domani, poco dopo pranzo, dovrò andare dal Dott. Brunch."

Il Dott. Brunch, ecco cosa avevo tralasciato.

Victor esitò, era particolarmente irrequieto, gli occhi chiari erano come specchi.

Chi era Itsuko? Cosa era accaduto ai gemelli? Chi avevo incontrato quella notte in cui mi avventurai nel corridoio alla ricerca del bagno?
Cosa mi era accaduto quella notte a seguito dell'incidente?

"Elvira."

Ero in grado di percepire la sua voce, ne colsi l'indifferenza, il disappunto, lo stupore, la preoccupazione, la disperazione.
Quella casa era maledetta e lui lo sapeva.
Le mura ti soffocavano, i pavimenti crollavano sotto i tuoi piedi divorandoti, Villa Stoica assorbiva il maligno su cui vegliava.
Villa Stoica era come un diavolo che se ne stava accucciato all'inferno in attesa di un pasto, di una vittima.
Una vittima come Itsuko, una vittima come me.
Victor mi stringeva al suo petto, mi cullava il battito veloce ma regolare del suo cuore. Le sue mani calde mi accarezzavano dolcemente la fronte, si arrotolavano lunghe ciocche dei miei capelli sulle dita.
Non ebbi il coraggio di parlare.
La realizzazione di ciò che stava accadendo fu tanto sconcertante da lasciarmi incapace di intendere o di afferrare ciò che avevo di fronte per poi metabolizzarlo e comprenderlo per quanto bizzarro o surreale fosse.

"Morirò."

Sì, come Itsuko. Ecco perché Jane vuole proteggermi.

Puntai i miei occhi in quelli del giovane che mi teneva a se.

"Lo sai anche tu che morirò ma hai scelto di non dirmi niente. Dumitra lo sa, Jane lo sa, persino Helena lo sa."

Avrebbe voluto controbattere.
Lasciò che parlassi.
Le mie parole erano farfugliate, timidi sussurri che nella mia mente erano rovinosi ruggiti.

"Tu li stai aiutando, il Dott. Brunch li sta aiutando. Ecco perché tormenti Helena: lei avrebbe parlato."

Mi dimenai, lo colpii prima nello stomaco con il gomito spigoloso che mi ritrovavo, poi gli sferrai un colpo sul collo, un altro sul naso, che prese, in modo copioso, a sanguinare; gocce dense di un rosso scuro mi ricaddero sulla sottana bianca, la macchiarono permanentemente.
Rotolai sul pavimento di marmo piagnucolando.

"Non ci sono crocifissi in questa casa!"

Gridai fino a che non mi ronzarono le orecchie, fino a che non percepii uno spiacevole sapore di ferro nella mia gola.
Victor rise, non era Victor, lui era divenuto pallido come un lenzuolo, come la mia sottana rossa di sangue scuro.

"Ti sbagli. Uno c'è."

Il signor Stoica indicò un angolo dietro di me.
Un crocifisso meraviglioso era appeso, un crocifisso d'argento, un crocifisso costoso.
Un crocifisso era capovolto.

Gridai.
Victor abbassò lo sguardo, il signor Stoica mi si avventò contro, non mi colpì, mi oltrepassò frettolosamente e afferrò il crocifisso.

"Non toccarlo! Sei un diavolo!"

Rimasi senza fiato, stremata, mi accasciai.

"Elvira!"

Fa che sia mio padre. Fa che sia tutto finito. Fa che io sia morta.

"Cara, come ti senti?"

Mi sforzai di alzare le palpebre.

"Vanessa?"

La donna sorrise, aveva ancora indosso il grembiule che usava in cucina.

"Victor mi ha domandato di portarti un bicchiere d'acqua con un po' di zucchero."

Disse con fare materno.

Mamma.

"Ero preoccupato per te, avevi cominciato a farneticare cose strane."

Fui costretta a mentire, quella voce la sentivo sempre.

"Davvero? Non ricordo. Ad ogni modo, grazie."

Gli sorrisi mostrandomi compiaciuta della sue attenzioni. Non menzionò i brutti colpi che gli avevo sferrato.

"Mi avete cambiato la sottana?"

Victor arrossì tremendamente e si schiarì la voce.

"Ho chiesto a Vanessa di cambiarla, io sono uscito a medicarmi nel frattempo. Per sbaglio mi avevi colpito e si era macchiata di sangue."

Arrossii a mia volta vedendolo così in imbarazzo per la prima volta, l'evento doveva averlo sconvolto.
Chissà se ne avrebbe parlato con il signor Stoica. Cosa mi sarebbe accaduto dopo ciò che avevo detto?

"Mi dispiace di averti ferito. Mi farò perdonare, sono mortificata."

Vanessa si congedò lasciando che mi poggiassi allo schienale della sontuosa poltrona su cui ero stata adagiata lasciandoci da soli.

"Non ti preoccupare tesoro, sei piuttosto forte, non l'avrei mai detto."

Victor mi guardava con i suoi occhi fascinosi e mi rendeva più mansueta con la sua roca voce.

"Perché mi guardi così?"

Mi domandò.

"Sono una buona ascoltatrice, tutto qui."

Nascosi la mia scoperta con un elegante e sottile flirt, dietro di lui, proprio accanto alle vecchie e polverose enciclopedie che abitavano gli scaffali della libreria, nascosto da un disgustoso soprammobile da mercato delle pulci, c'era un grazioso album di famiglia, o almeno così era stato denominato.

"Sarà una bella giornata."

Mi ripescò dai miei pensieri, fui costretta a rispondere, aveva notato la mia disattenzione altrimenti, si sarebbe sicuramente voltato.

"Non vedo l'ora."

Risposi con fare civettuolo.

If I Was Your VampireWhere stories live. Discover now