Capitolo 8. "Sognare ad occhi aperti."

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Non ricordo nulla di quegli attimi, se non quel sapore tra il dolce e l'amaro sulla punta della lingua. Mi risvegliai di mia spontanea volontà, se così possiamo dire.
La prima cosa che i miei occhi scorsero dopo quel lungo pisolino fu un soffitto affrescato e nella penombra.
Tentai di guardarmi intorno, quella non era Villa Stoica, assomigliava ad una taverna elegantemente arredata, ma pur sempre una taverna.
Sentì le mie forze venire meno, persino muovere lo sguardo mi causava dolore.
Il mio cuore pulsava con insistenza nel mio collo bagnato.
Qualcosa su di esso stava scorrendo copiosamente.

"Hai finito? Non possiamo mica farle dimenticare tutto."

Erano lievi sussurri quelli della ragazza, quasi impercettibili che nelle mie orecchie si amplificarono, percepivo il respiro ansimante di lei.
Nessuno rispose alle sue parole o forse semplicemente non le udì, questo non lo potrò mai sapere.
Caddi nuovamente in un sonno abissale che mi paese incessante.
Un susseguirsi di sogni lucidi occupò la mia mente. Tentai di toccare ciò che in sogno appariva, di sfiorarlo che la punta della dita, ma questo spariva al mio tocco disssolvendosi.
Erano sogni tremendi, sogni capaci di mozzarmi il fato facendo pressione sul mio petto.
Questi mi terrorizzavano facendo reali i miei peggiori incubi, riportandomi agli occhi i miei peggiori sbagli, facendomi rimuginare su immeritati traguardi.
I sensi di colpa divoravano il mio animo approfittando della mia mente racchiusa nel sonno più profondo dei tempi.
Ero forse morta?
Mai mi ero sentita così viva nonostante mi sembrasse di percepire la vita scorrermi come granelli di sabbia tra le dita e sfuggire via.
Come potevo essere cosciente e morta contemporaneamente? Il cuore non pulsava più violentemente nel mio collo.
Si dice che quando si è in coma o perlomeno in fin di vita si possano vedere le porte del paradiso, una luce,un segnale.
Eppure io vidi solo sangue.
Solo maledetto sangue scendere a goccioloni da cascate.
Io vidi le porte dell'inferno; ma qualcosa mi salvò.
Delle braccia forti e avvolgenti mi strinsero, mi accostai al suo petto, non sentì il suo cuore battere.
La sua stretta fu famigliare, mi ricordò gli abbracci calorosi di mio padre alla me bambina e indifesa.
Non ricordo altro di quel sonno tremendo, so solamente che mi risvegliai nella mia stanza.
Percepì subito una pressione al collo, con un dito mi avvicinai a quella che pensavo fosse una ferita ma non notai nulla, nulla se non un piccolo livido violaceo.
Decisi che avrei chiesto spiegazioni agli Stoica ma imprudentemente non avvisai mia madre.
Semplicemente, scattai una foto dell'ematoma siccome non erano presenti specchi nella camera.
Non ebbi il tempo di guardarla per valutare la ferita che qualcuno bussò con insistenza alla porta.
"Avanti!" La porta si aprì cigolando, l'ospite stava indugiando.
"Elvira, come ti senti?" La signora Stoica entrò nella mia stanza e mise occhiali dalle spesse lenti.
"Ho un forte bruciore al collo, una macchina mi è arrivata addosso mentre risalivo la collina e mi sono risvegliata in una taverna ma poi-"
La donna non si scompose ma notai le sue pupille dilatarsi velocemente. Di certo ciò che  avevo detto doveva averla turbata per qualche motivo.
"Cara, dopo l'incidente Orazio e Dumitra ti hanno portata nell'ospedale locale. A proposito di questo."
Mi porse un referto medico firmato da un certo Dott. Brunch che attestava la presenza di contusioni su collo e petto causate dallo scontro con una vettura ancora non identificata.
Prima di lasciarmi sola nella stanza la signora Stoica,il cui nome ho scoperto in seguito essere Eliana, mi disse che Dumitra mi avrebbe accompagnata ad una visita il giorno a seguire raccomandandosi di fare il nome del medico e di nessun altro.
La ringraziai per la premura e le promisi che così avrei fatto.
Durante tutta la giornata ogni membro della famiglia si preoccupò della mia salute.
Oana mi portò persino dei dolcetti mandati in regalo da Symon e Jane, che pensiero gentile, non le dimenticherò mai.
Presi tra le mani gli zuccherini, in fondo alla scatola scorsi un bigliettino sporco di glassa con su scritto: "Guarisci presto e fai attenzione, con tanto affetto, dalla pasticceria del Centro!"
Fare attenzione alle auto era sicuramente un ottimo consiglio che avrei dovuto seguire con maggiore attenzione in futuro, forse non solo a quelle.
La giornata passò velocemente tra un pisolino e l'altro, tant'è che quando arrivò l'ora di dormire per davvero mi sentivo più sveglia che mai.
Augurai una buonanotte a tutti, Oana mi abbracciò ricordandomi del suo pomeriggio tra ragazze, e bambole, organizzato per l'indomani.
Attraversato il corridoio con il pigiama e una vestaglia simile ad un accappatoio nella speranza di passare inosservata.
"Oana non dovresti essere a letto?" Orazio si avvicinò con una torcia in mano, oltre ad essere il collaboratore domestico era anche il guardiano della villa a quanto pare.
"Scusami tanto Orazio, sono decisamente sbadata."
Orazio però mi interruppe facendomi segno di fare silenzio e mi strinse la mano.
"Devi fare più attenzione Elvira. Tu non conosci questo posto, anche io quando arrivai qui dall'Italia ne rimasi stordito. Ma ti consiglio di tenere gli occhi aperti cara ragazza."
Mi presi un secondo per osservare l'uomo. Quando non recitava la parte del maggiordomo accomodante e soddisfatto del suo lavoro il suo sguardo era spento e stanco a tratti persino disturbato.
I capelli grigi brillavano di luce propria ma sotto i raggi lunari che penetravano dalle finestre affrescate s'illuminavano d'argento.
Mentre parlava si guardava intorno furtivamente.
La luce della sua torcia puntata sul mio volto cominciava a mettermi a disagio, metteva a dura prova il mio sguardo.
"Ascolta ciò che ti ho detto Elvira, nessuno qua ti insegnerà come vivere perciò ricorda ogni mia parola."
Detto ciò scomparve nella penombra del corridoio di Villa Stoica.
Mi domandai se a nascondere più segreti qui fossero la casa o forse i suoi proprietari.
Ogni notte ai miei occhi quel corridoio in cui tutti scomparivano dopo una breve chiacchierata diventava interminabile, sconfinato e buio come l'universo.
Molto scenografico non è vero?

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